LE ERUZIONI RECENTI DEL VESUVIO, DAL 1631 AL 1944

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LE ERUZIONI RECENTI DEL VESUVIO, DAL 1631 AL 1944

Dal 1631 al 1944 il Vesuvio ha avuto un’attività pressoché continua, interrotta solo da periodi di riposo che non hanno mai superato i sette anni.

Esplora I vulcani Italiani
Testi e grafica a cura di L. Giacomelli

Più ci si avvicina al presente e più la documentazione diventa attenta e frequente, anche se un gran numero di eventi minori può essere stato trascurato proprio perchè il vulcano in attività era diventata una visione consueta.

Principali eruzioni dopo il 1631

Inizio dell’eruzione Tipo di eruzione Note
3 luglio 1660 esplosiva Caduta di cenere verso NE
13 aprile 1694 effusiva Lava verso Torre del Greco
25 maggio 1698 effusiva-esplosiva Caduta di cenere a Boscotrecase, Torre Annunziata, Ottaviano
28 luglio 1707 effusiva-esplosiva
20 maggio 1737 effusiva-esplosiva La lava invade T. del Greco; caduta di cenere e colate di fango
23 dicembre 1760 effusiva-esplosiva Apertura di bocche laterali sul fianco S (150 m slm); lava verso T. Annunziata
19 ottobre 1767 effusiva-esplosiva Lava verso T.Annunziata. e S. Giorgio a Cremano
8 agosto 1779 esplosiva Cenere e proietti su Ottaviano
15 giugno 1794 effusivae-explosiva Apertura di bocche a SO (470 m slm); la lava invade Torre del Greco
22 ottobre 1822 effusiva-esplosiva Lava verso T. del Greco e Boscotrecase
23 agosto 1834 effusiva-esplosiva Lava verso Poggiomarino
6 febbraio 1850 effusiva-esplosiva
1 maggio 1855 effusiva La lava invade Massa e S.Sebastiano
8 dicembre 1861 effusiva-esplosiva Apertura di bocche laterali a SO (290 m slm)
15 novembre 1868 effusiva
24 aprile 1872 effusiva-esplosiva La lava invade Massa e S. Sebastiano
4 aprile 1906 effusiva-esplosiva Lava verso T.Annunziata, forte attivita’ esplosiva
3 giugno 1929 effusiva-esplosiva Lava verso Terzigno
18 marzo 1944 effusiva-esplosiva La lava invade Massa e S.Sebastiano

 

L’eruzione del Vesuvio del 1807 in una gouache dell’epoca

Dalle descrizioni dell’epoca, le eruzioni sembrano seguire un’evoluzione che si ripete regolarmente per tre secoli: una fase di quiescenza è seguita dall’apertura di fratture sul fondo del cratere dalle quali comincia a fluire la lava. Moderate esplosioni scagliano in alto brandelli di lava che si accumulano intorno alla bocca formando un conetto all’interno della voragine. Il cratere si riempie lentamente e, una volta raggiunto l’orlo, la lava tracima all’esterno.

Il riempimento del cratere prima del 1926. La lava ha quasi raggiunto l’orlo della voragine lasciata dall’eruzione del 1906

Spesso si aprono nuove bocche anche all’esterno del cono, sempre però confinate tra il versante del Gran Cono e il recinto del Somma. Il tranquillo flusso di lava, accompagnato da sporadiche esplosioni con lanci di brandelli incandescenti, può durare anche mesi, ma al riempimento del cratere segue immancabilmente un’eruzione esplosiva più violenta. Questa inizia con fontane di lava alte da 2 a 4 km e termina con una colonna di cenere alta da 5 a 15 km, cui segue il collasso della parte centrale del cratere. Il vulcano entra poi in una fase di riposo che dura alcuni anni, fino a che riprende l’emissione di lava e la formazione di un nuovo conetto all’interno della voragine svuotata.

Il conetto all’interno del cratere del Vesuvio nel 1934

Fedele a questo andamento, dopo il 1631 il Vesuvio rimase tranquillo fino al 1637. Alla ripresa dell’attività, per molto tempo il profondo cratere riuscì a contenere le colate di lava e i brandelli lanciati dalle esplosioni. Le opere di numerosi artisti dell’epoca ritraggono questa struttura concentrica, con l’ampia cinta del Somma che racchiudeva il Gran Cono, al cui interno si trovava il conetto in costruzione.

Una visione aerea del Vesuvio nel 1942. Le lave emesse dal conetto hanno riempito la voragine e, fin dal 1936, hanno cominciato a traboccare dal bordo orientale

L’attività incessante ebbe episodi più violenti nel 1649, 1652 e 1654. Nel 1660 un’eruzione esplosiva durò quasi tutto il mese di luglio e, quando ormai sembrava finita, un’ultima emissione di ceneri grossolane, formate quasi interamente da cristalli di augite a forma di piccole croci, destò grande impressione, non priva di presagi, su tutta la popolazione intorno al vulcano.

Un’eruzione del Vesuvio in una gouache del 1700

Gli episodi segnalati nel 1663 e 1670 furono ancora confinati all’interno del cratere. Fasi più violente avvennero nel 1680, 1682 e 1685, ma fino al 1688 all’interno del cratere restava molta più lava di quanta ne fosse lanciata all’esterno dalle esplosioni. Il fondo della voragine del 1631 continuava a crescere e, insieme, si alzava il conetto centrale. Nel 1689 la lava riempiva tutto il cratere e la punta del conetto emergeva dal bordo del Gran Cono, pur restando più bassa rispetto alla cresta del Somma. Nel 1694 per la prima volta la lava traboccò dal Gran Cono e raggiunse i paesi di S. Giorgio a Cremano, Torre del Greco e Boscotrecase. Ormai non vi erano più ostacoli per le colate che da qui in poi minacceranno sempre più spesso i paesi ai piedi del Vesuvio. Il vulcano tornò poi silenzioso fino al 1696, quando una nuova colata si sovrappose a quella di due anni prima e scese verso S. Giorgio a Cremano. Negli anni 1697 e 1698 altre colate arrivarono a Torre del Greco e Ottaviano.

Un’eruzione del 1700 in un dipinto di P.J. Volaire

Per tutto il 1700 incessanti colate di lava, alternate a spaventose esplosioni con emissioni di cenere, distrussero o danneggiarono i paesi vesuviani. Alle eruzioni dal cratere sommitale si aggiunsero altre ancora più pericolose da bocche apertesi lungo spaccature dei fianchi del vulcano. Nel 1760 le bocche si aprirono sul versante meridionale a 300 m s.l.m. I brandelli infuocati formarono lungo le fratture vari coni di scorie, di cui tre sono ancora oggi visibili.

Eruzione del 1771 vista dall’Atrio del Cavallo. Dipinto di P.J. Volaire

 Nel 1794 le bocche si aprono tra 480 e 320 m s.l.m. e le lave invasero, per la terza volta in 150 anni, Torre del Greco. Si salvò solo la parte orientale della città, peraltro già distrutta nel 1737.

Una colata di lava del Vesuvio, probabilmente dell’eruzione del 1794, tagliata dall’autostrada Napoli-Salerno

Nel secolo successivo le eruzioni continuarono col medesimo stile. Nel 1822, forti esplosioni ridussero il vulcano di 93 m, lasciandovi un ampio cratere che cominciò a riempirsi di lava dal 1826. Raggiunto il bordo, la lava traboccò all’esterno nel 1831. La successione era incredibilmente costante. Quando il cratere era svuotato da un’eruzione più violenta delle altre, questo funzionava da contenitore per l’attività degli anni successivi. Riempita la voragine, la lava tracimava e scendeva verso valle. Il successivo evento esplosivo svuotava nuovamente il cratere e, dopo un periodo di quiete, tutto riprendeva come prima. Le colate di lava riempivano la depressione tra il Gran Cono e le pareti del Somma e la morfologia del vulcano cambiava ad ogni eruzione.

L’eruzione del Vesuvio dell’8 agosto 1779 in un dipinto di P.J. Volaire

Nel 1855 la lava tracimò per la prima volta a Nord-Ovest, entrando nel Fosso della Vetrana e nel sottostante Fosso del Faraone, strada che sarà poi seguita da altre colate aggiungendo nuove aree a rischio nella già accidentata mappa dei paesi vesuviani. Nel 1858 si aprirono numerose bocche alla base del Gran Cono e una colata di lava invase la strada tra Resìna (Ercolano) e l’Osservatorio. L’eruzione durò fino al 1860 e le sue lave, con strutture superficiali a corde, tipiche delle lave fluide, sono oggi attraversate dalla strada che sale al Vesuvio.

Nel 1861 nuove bocche si aprirono a monte dell’abitato di Torre del Greco che sarà ancora una volta invasa dalla lava. Nel 1872, le colture e i paesi di Massa e S. Sebastiano, già colpiti dalle lave del 1855, furono seriamente danneggiati dalla lava uscita da fratture apertesi sui fianchi del Gran Cono. Le esplosioni avvenute nello stesso tempo al cratere lasciarono una voragine del diametro di 250 m, divisa in due da un muro di lava solidificata

Le lave dell’eruzione del 1858 (in primo piano) fiancheggiano per un lungo tratto la strada che sale al Vesuvio

Negli anni successivi, il Vesuvio attraversò una fase di attività insolita, caratterizzata da prolungate e lente effusioni di lava che formarono rilievi a cupola esterni al Gran Cono. Verso la fine del secolo si formarono il Colle Margherita (1891-94), ora ricoperto dai prodotti delle eruzioni successive e il Colle Umberto (1895-99) che raggiunse 150 m sopra il piano campagna (880 m s.l.m.) e che risalta ancora sul fianco occidentale del Vesuvio.

Colle Umberto visto dalle pendici del Vesuvio

Per una serie di circostanze, nei due secoli che seguirono l’eruzione del 1631, il Vesuvio monopolizzò l’attenzione del mondo culturale di tutta Europa. Mentre le sue eruzioni più violente infierivano sulla popolazione, riducendo interi paesi in miseria e disperazione, i lunghi periodi di attività moderata o di riposo, insieme alle modeste dimensioni del vulcano e alla facilità con cui lo si poteva avvicinare anche coi mezzi di allora, cominciarono ad attirare una incredibile quantità di visitatori. Considerando poi che Napoli era la capitale di un regno e che già dall’inizio del 1700 erano cominciati gli scavi per riportare alla luce le città romane sepolte sotto i prodotti dell’eruzione del 79 d.C., il Vesuvio e i suoi dintorni divennero meta irrinunciabile del “Grand Tour d’Italie” che tutti gli intelletuali europei, per potersi dire tali, dovevano compiere.

Il Vesuvio in una gouache del 1833

Dal 1800, il Vesuvio divenne non solo polo di esperienza culturale ma anche scientifica. Nel 1841, Ferdinando II di Borbone fondò il Reale Osservatorio Meteorologico Vesuviano, il primo istituto vulcanologico del mondo, la cui sede storica spicca ancora sulle pendici del vulcano. Il suo primo direttore, il fisico parmense Macedonio Melloni, inaugurò in occasione del VII Congresso degli Scienziati Italiani a Napoli l’importante istituzione, il cui edificio non era ancora terminato, ricordando come “noi abbiamo rapiti i fulmini al cielo, ma quel che è a poca profondità sotto questa terra che tutti calpestiamo è ancora un gran mistero”.

Una sala nella sede storica dell’Osservatorio Vesuviano

A tutt’oggi l’Osservatorio Vesuviano lavora per indagare sempre più a fondo questo mistero, affiancando alla ricerca l’opera di sorveglianza. Il moderno centro operativo è stato trasferito da tempo a Napoli, ma la palazzina ottocentesca che ospitò importanti scienziati (oltre a Melloni, furono direttori, tra gli altri, Palmieri, Matteucci e Mercalli) e al cui interno sono conservati sismografi d’epoca perfettamente funzionanti, documenti e collezioni mineralogiche, rappresenta un simbolo per la ricerca scientifica.

All’inizio del 1900 il Vesuvio aveva raggiunto un’altezza di 1335 m s.l.m. e il cratere era completamente riempito dal conetto cresciuto al suo interno. Nel 1904 alcune esplosioni avevano demolito la parte superiore del conetto e nel 1905 le colate di lava erano uscite da due bocche apertesi sui fianchi del Gran Cono

Il Vesuvio visto da Napoli poco prima dell’eruzione del 1906

All’alba del 4 aprile 1906 la lava cominciò a sgorgare da una frattura che si era aperta alla base del Gran Cono, in corrispondenza delle bocche del 1751 e 1754. Nel pomeriggio dello stesso giorno, il conetto che riempiva il cratere franava e i suoi pezzi erano scagliati in alto da forti esplosioni. Intanto, la frattura da cui uscivano le lave si propagava verso il basso, fino alla quota di 800 m s.l.m. Il 6 aprile una terza bocca, a quota 600 m s.l.m., emetteva una colata di lava che si fermò il giorno seguente a poche centinaia di metri da Boscotrecase, dopo aver distrutto vigneti e case di campagna. Nello stesso giorno nuove bocche si erano aperte verso Est e verso Nord. La sera del 7 aprile l’attività divenne ancora più forte, con fontane di lava e colate che raggiungesero rapidamente Boscotrecase, attraversando il paese e tagliando anche la ferrovia Circumvesuviana.

L’eruzione del 1906 fotografata dal vulcanologo americano F.A. Perret

Nella notte tra il 7 e l’8 aprile due forti terremoti avvertivano che le viscere della terra, sconvolte dalla copiosa emissione di magma, stavano franando su se stesse. I franamenti sotterranei furono la probabile causa delle forti esplosioni che scagliarono all’esterno gas, brandelli di magma e una gran quantità di rocce. All’alba dell’8 aprile, diritta sopra il cratere, si formò una colonna di cenere, alta circa 13 km, che durò fino a sera.

L’eruzione del 1906

Dal giorno seguente, pur continuando ad emettere cenere, il vulcano cominciava lentamente a calmarsi. Gran parte della sua cima era distrutta e ribassata di oltre 100 m. In alcuni punti il ribassamento era addirittura di 200 m, mentre il cratere era profondo 250 m, con un diametro di 500 m.

Nel 1913, il fondo del cratere sprofondò di 75 m. Nella zona collassata, le esplosioni e i lanci di scorie cominciarono a costruire un nuovo conetto e la voragine riprese a riempirsi di lava. Nel 1926 la lava traboccò all’esterno e, nel giugno del 1929, avvenne una violenta eruzione, alla quale seguì la consueta moderata attività all’interno del cono svuotato.

Il cono del Vesuvio dopo l’eruzione del 1906

Nel 1943, ai piedi del conetto si aprì una bocca eruttiva che causò il crollo del conetto stesso. Le esplosioni, come potenti colpi di tosse, ributtavano verso l’alto i pezzi di lava solida che franavano, mentre il cratere cominciava a riempirsi lentamente.

Il Vesuvio negli anni ’30 visto dall’autostrada Napoli-Pompei, lunga 20 km e inaugurata nel 1929

Fine seconda parte
Per informazioni  scandone@amaldi.fis.uniroma3.it

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