Le tracce di cocaina presenti nei fiumi, soprattutto vicino alle grandi città, sono sufficienti a provocare effetti nei pesci, che potrebbero metterne in pericolo la sopravvivenza, come nel caso delle anguille. Lo afferma uno studio coordinato da Anna Capaldo dell’Università Federico II di Napoli, pubblicato da Science of the Total Environment.
I ricercatori hanno messo alcune anguille europee in delle vasche con una concentrazione di cocaina pari a quella trovata nei tratti urbani di alcuni fiumi, come ad esempio il Tamigi, analizzandone poi le carni. Dopo pochi giorni di esposizione la droga si era accumulata nel cervello, nei muscoli, nella pelle e in altri tessuti. I muscoli in particolare sono risultati danneggiati e con cambiamenti negli ormoni presenti, e il problema è rimasto anche dopo dieci giorni di ‘riabilitazione’ in vasca senza cocaina. “Abbiamo scelto le anguille perchè sono considerate in pericolo di estinzione e per il fatto che sono pesci molti grassi, il che favorisce l’accumulazione delle sostanze – spiega all’ANSA Capasso -. Questi animali affrontano migrazioni anche di 6mila chilometri, che richiedono riserve di energia e muscoli in perfetta salute per essere completate”.
In linea teorica, afferma l’esperta, i danni potrebbero riguardare anche altri animali marini. “Soprattutto i pesci stanziali – spiega – potrebbero avere conseguenze dalla presenza di cocaina nell’acqua a queste concentrazioni. Inoltre bisogna pensare che sono presenti anche molte altre sostanze pericolose, da altri stupefacenti a farmaci a metalli e l’effetto combinato è da valutare, cosa che vorremmo fare in uno studio successivo”.
Per quanto riguarda le possibili conseguenze per l’uomo del fenomeno la ricercatrice è cauta. “Abbiamo visto che c’è una certa bioaccumulazione nel muscolo, che è la parte che mangiamo – spiega -. Non sappiamo però cosa succede quando l’animale muore, e l’effetto che ha la cottura. Anche qui servono altre ricerche”.