Il cuore delle stelle di neutroni svelato grazie alle onde gravitazionali

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Il cuore delle stelle di neutroni svelato grazie alle onde gravitazionali

Analizzando le onde gravitazionali emesse dalla fusione di due stelle di neutroni rilevata quasi un anno fa, gli scienziati stanno mappando la struttura interna di questi oggetti esotici con una chiarezza senza precedenti e stabilendo nuovi limiti di massa per i buchi neri
di Joshua Sokol/Scientific American
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In una stella di neutroni – il relitto iperdenso dal diametro paragonabile a quello di una città lasciato da una supernova – la fisica precipita in un territorio per cui non c’è ancora una mappa. Lì, la gravità schiaccia la materia fino a densità molte volte più grandi rispetto a quelle che si trovano nel nucleo di un atomo, creando quello che i teorici sospettano possa essere un terreno fertile per particelle e interazioni esotiche mai viste. Ma una densità di questo livello non può essere misurata da esperimenti di laboratorio ed è anche troppo impegnativa per le simulazioni con i computer più potenti di oggi.

Così, quando l’universo si è degnato di dare un aiuto, gli astronomi ci si sono tuffati. Lo scorso agosto, l’Advanced Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (LIGO), insieme al rivelatore europeo VIRGO, costruito vicino a Pisa, ha rilevato onde gravitazionali che si riverberavano nello spazio-tempo in seguito alla fusione di due stelle di neutroni distanti circa 130 milioni di anni luce dalla Terra. Queste onde, ora rianalizzate in un nuovo articolo dal gruppo di LIGO-VIRGO, forniscono alcuni dei migliori indizi sulla natura dei progenitori della fusione, e su che cosa siano in realtà le stelle di neutroni.

Le onde gravitazionali rivelano il cuore delle stelle di neutroni

Illustrazione della fusione di due stelle di neutroni. (Cortesia NASA/CXC/Trinity University/D. Pooley et al; illustrazione: NASA/CXC/M.Weiss)

Mentre le due stelle orbitavano l’una attorno all’altra verso la mutua distruzione, riversando l’energia orbitale sotto forma di onde gravitazionali, hanno anche iniziato a generare onde di marea sulle rispettive superfici. Queste interazioni mareali hanno ulteriormente risucchiato energia orbitale, serrando l’orbita delle stelle di neutroni e accelerando la loro collisione. La forza di queste maree, rilevabile nelle onde gravitazionali osservate da LIGO-VIRGO, è legata alla struttura interna di ciascuna stella di neutroni, che i fisici hanno modellizzato usando un’equazione di stato. Per una stella di neutroni, un’equazione di stato descrive matematicamente il modo in cui le parti interne della stella reagiscono ai cambiamenti di densità, pressione e temperatura.

Il nuovo studio è successivo a un calcolo iniziale pubblicato lo scorso ottobre dallo stesso gruppo, che all’epoca non era riuscito a rilevare queste maree nel segnale dell’onda gravitazionale. “Le nostre prime analisi sono state basate quasi solo su quello che abbiamo visto, abbiamo fatto poche ipotesi,” dice Jocelyn Read alla California State University a Fullerton, che guida il gruppo Extreme Matter di LIGO.

In seconda battuta, però, la squadra ha considerato più orbite possibili dei due oggetti e imposto alcuni vincoli aggiuntivi. Vale a dire, gli autori hanno assegnato a entrambi gli oggetti equazioni di stato identiche, un’ipotesi ragionevole dato che tutti i dati disponibili sulla fusione indicavano che la fonte della collisione fosse una coppia di stelle di neutroni.

Successivamente, hanno testato possibili equazioni di stato che potessero spiegare i dati, aggiungendo altri significativi requisiti caratteristici della situazione reale. Per esempio, quello per cui i cambiamenti di pressione e densità non possono creare onde sonore che si muovano più velocemente della velocità della luce all’interno di una stella di neutroni (o di qualsiasi altro oggetto, del resto). L’equazione di stato doveva inoltre adattarsi alla stella di neutroni più pesante tra quelle note, la cui massa è circa 1,97 masse solari. Se il materiale della stella di neutroni non potesse sostenere pressioni sufficientemente elevate, un oggetto simile non sarebbe affatto una stella di neutroni, sarebbe collassato molto tempo fa in un buco nero.

Considerando tutto questo, la nuova analisi ha trovato che le due stelle di neutroni coinvolte nella fusione, ciascuna forse con massa di 1,4 masse solari, erano piuttosto piccole per quel “peso”: circa 12 chilometri di raggio. Questo corrisponderebbe a misurazioni controverse già effettuate nei raggi X riguardo alle dimensioni delle stelle di neutroni. E suggerisce che le stelle di neutroni di medie dimensioni hanno pressioni interne relativamente basse rispetto al peso massimo di 1,97 masse solari, che deve avere pressioni più elevate per offrire una spina dorsale compatta che contrasti la tremenda gravità.

Le onde gravitazionali rivelano il cuore delle stelle di neutroni

Trasposizione nel visibile delle osservazioni in raggi X effettuate dall’osservatorio Chandra della sorgente GW170817, frutto della collisione di due stelle di neutroni rilevata il 17 agosto 2017. L’immagine di sinistra è la somma delle osservazioni effettuate a fine agosto e inizio settembre 2017; l’immagine di destra è la somma di quelle effettuate all’inizio di dicembre. (Cortesia NASA/CXC/McGill/J.Ruan et al.)

Confrontati con misurazioni di laboratorio su materia a densità molto più basse, i nuovi dati mostrano cauti indizi di una tendenza all’aumento repentino della pressione via via che la materia è più densa. Un simile andamento non sarebbe prevedibile se le stelle di neutroni fossero composte solo di neutroni e protoni; in quel caso, la pressione dovrebbe aumentare solo dolcemente. “Dall’equazione di stato potrebbe emergere una struttura interessante”, dice Read, avvertendo tuttavia che i dati sono ancora coerenti con una crescita costante della pressione, corrispondente a una stella di neutroni “noiosa”, fatta di soli protoni e neutroni. Se però i fisici riusciranno a confermare una curva di questo tipo nell’equazione di stato, allora quel risultato potrebbe essere un indizio che a densità molto elevate la materia cambia fase, proprio come l’acqua che passa da liquido a solido a temperature sufficientemente basse. Nelle stelle di neutroni una transizione di fase simile potrebbe derivare dalla rottura dei neutroni in una zuppa delle loro particelle costituenti, i quark.

Il nuovo studio fa eco ai risultati di una precedente analisi dello stesso evento pubblicata ad aprile da un gruppo guidato dal Soumi De, ricercatrice alla Syracuse University, ma con una precisione doppia. “È incoraggiante, perché questo evento non è ancora stato sfruttato appieno”, dice James Lattimer, astrofisico alla Stony Brook University e coautore dello studio di Soumi De.

I gruppi di Lattimer e Read prevedono di continuare a rianalizzare il segnale dello scorso agosto. “Non abbiamo ancora tirato fuori tutto il possibile”, dice Read. È probabile che dai rivelatori di onde gravitazionali emergano presto segnali di ulteriori fusioni di stelle di neutroni, fornendo ancora più dati agli astrofisici che sperano di individuare l’equazione di stato di questi oggetti esotici.

Nel frattempo c’è un altro risultato utile, pubblicato su “The Astrophysical Journal Letters” la scorsa settimana. Subito dopo la fusione delle stelle di neutroni dello scorso agosto, altri astronomi ne hanno scrutato il relitto con l’osservatorio a raggi X Chandra, sperando di intravederne il risultato finale: una stella di neutroni singola e più pesante o un buco nero.

Una singola stella di neutroni gigante del peso di circa 2,7 masse solari avrebbe superato di gran lunga il precedente detentore del record, imponendo all’equazione di stato della stella di neutroni un vincolo ancora più stretto. Ma così non è stato: i dati di Chandra hanno rivelato relativamente pochi raggi X provenienti dal relitto della fusione, un’osservazione coerente con la formazione di un buco nero. Secondo Lattimer, questo è interessante perché impone un limite: ora gli astronomi sanno che la materia delle stelle di neutroni non è in grado di sopportare un simile peso. “Non credo di essere abbastanza fantasioso da immaginare tutte le cose che le fusioni saranno in grado di dirci”, dice Lattimer.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 5 giugno 2018. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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