Un terzo delle aree protette della Terra è minacciato dalle attività umane
Costruzione di strade, pascoli e urbanizzazione sono un problema per il 32 per cento delle aree protette del mondo: la stima viene da uno studio pubblicato su “Science”. Secondo la Wildlife Conservation Society (WCS) occorre intensificare gli sforzi e gli investimenti per preservare la biodiversità, ancora in fase di declino catastrofico
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Un terzo delle aree protette del mondo, corrispondenti a circa 6 milioni di chilometri quadrati, cioè 20 volte la superficie dell’Italia, è attualmente sottoposto a una forte pressione da parte delle attività umane: costruzione di strade, pascoli e urbanizzazione.
Questa allarmante valutazione è frutto di uno studio pubblicato sulla rivista “Science” da una collaborazione tra Università del Queensland, Wildlife Conservation Society (WCS) e University of Northern British Columbia. E stride in modo evidente con gli impegni presi dalle nazioni del mondo sulla creazione di aree protette nella Convenzione sulla diversità biologica (CBD) del 1992.
Questi impegni, almeno sulla carta, sembrerebbero aver funzionato. Dall’anno di ratifica del trattato, l’estensione globale delle aree protette è raddoppiata e riguarda ora circa il 15 per cento delle terre emerse del pianeta. Siamo dunque sulla buona strada per arrivare all’obiettivo del 17 per cento di copertura fissato per il 2020.
Se si guarda il reale impatto delle misure protezionistiche sulla biodiversità, tuttavia, il quadro che emerge è un altro.
Gli autori hanno esaminato le mappe globali dello human footprint, cioè l’impronta delle attività umane, da cui emerge che il 32,8 per cento delle aree protette è molto degradato. Inoltre, per le aree protette create prima della ratifica della Convenzione sulla diversità la situazione è peggiorata: dal 1992 a oggi, il 55 percento di esse ha subito un incremento della pressione umana.
S’impone dunque una riflessione sull’effettiva gestione delle aree protette, tenendo conto che la perdita di biodiversità a livello mondiale è considerata ancora catastrofica.
Gli autori avvertono che gli obiettivi della CBD saranno gravemente compromessi se la pressione umana continua all’interno delle aree protette. “Una rete di aree protette ben gestite è essenziale per salvare le specie: se consentiamo di degradare la nostra rete di aree protette è indubbio che le perdite di biodiversità saranno esacerbate”, ha dichiarato Kendall Jones, dell’Università del Queensland, autore principale dell’articolo.
Secondo gli autori, le conclusioni dello studio non devono portare a credere che, in fin dei conti, gli sforzi per la protezione delle aree ad alto contenuto di biodiversità debbano essere allentati perché non proficui. Anzi, deve passare il messaggio contrario: è fondamentale che le nazioni riconoscano l’enorme valore della conservazione che può essere raggiunto ripristinando le aree degradate, nel rispetto dei bisogni delle popolazioni locali.
Un dato particolarmente significativo emerso dallo studio è che le aree protette con rigidi obiettivi di conservazione della biodiversità sono soggette a livelli significativamente inferiori di pressione umana. Alcune delle meno colpite includono il Santuario della fauna selvatica di Keo Seima, in Cambogia, il Parco nazionale di Madidi, in Bolivia, e la Riserva della biosfera di Yasuni, in Ecuador, luoghi in cui la Wildlife Conservation Society ha investito molto, superando con successo il degrado.
“Sappiamo che le aree protette funzionano quando sono ben finanziate, ben gestite e ben situate”, ha concluso James Watson dell’Università del Queensland e membro della Wildlife Conservation Society, autore senior dello studio. “La sfida è migliorare la gestione delle aree protette che sono più preziose per la conservazione della natura”.