Calo senza precedenti dei ghiacci marini in Alaska

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Calo senza precedenti dei ghiacci marini in Alaska

Nell’inverno appena trascorso, le condizioni meteorologiche e l’aumento del riscaldamento globale hanno portato a una copertura di ghiacci marini in Alaska eccezionalmente ridotta e sottile: appena la metà del precedente minimo invernale, registrato nel 2001, e di gran lunga la più bassa degli ultimi 168 anni
di Andrea Thompson / Scientific American
www.lescienze.it

Per gli indigeni dei villaggi che punteggiano la remota costa occidentale dell’Alaska, aprile dovrebbe essere la stagione migliore per la caccia al tricheco. Negli anni passati il ghiaccio marino invernale, dove gli animali riposano, era ancora abbondante, permettendo una buona caccia di sussistenza. Ma quest’anno, a partire dalla fine di aprile, la copertura di ghiaccio marino è stata più simile a quella prevista per metà giugno, ben addentro alla stagione dello scioglimento.

Queste condizioni sono la conseguenza della scarsità di ghiaccio marino nel mare di Bering che si è protratta per tutto l’inverno; questo declino così marcato ha stupito i ricercatori che da anni controllano la riduzione del ghiaccio marino artico a causa del cambiamento climatico.

Nel 2018 la copertura invernale di ghiaccio marino nel mare di Bering non solo ha raggiunto un minimo record, ma è stata appena la metà di quella del minimo invernale mai registrato prima (2001), afferma John Walsh, scienziato capo all’International Arctic Research Center dell’Università dell’Alaska a Fairbanks.

Negli ultimi 160 anni “non c’è mai stato nulla di neppur lontanamente simile per il ghiaccio marino” nel Mare di Bering, dice Rick Thoman, climatologo della National Oceanic and Atmospheric Administration che lavora in Alaska.

Calo senza precedenti dei ghiacci marini in Alaska

L’estensione dei ghacci marini nel mare di Bering (in miglia quadrate) nel corso degli ultimi 168 anni. (Cortesia Zachary Labe, University of California-Irvine and Heather McFarland, University of Alaska: https://www.climate.gov/sites/default/files/BeringStraitWinter2018.pdf)

Una concorrenza di condizioni – tra cui le alte temperature dell’aria e degli oceani, insieme alle persistenti tempeste – ha posto le basi per questa drammatica flessione in una regione che finora non era stata una delle principali cause della riduzione complessiva dei ghiacci marini dell’Artico. Mentre questo inverno straordinario è stato caratterizzato da una certa variabilità meteorologica, il riscaldamento di fondo dell’Artico è ciò che fornisce la “spinta in più” per raggiungere questi estremi mai visti prima, dice Walsh.

Ogni autunno, il ghiaccio marino si espande dal centro del mar Glaciale Artico verso l’esterno, mentre il Sole si abbassa nel cielo e le temperature scendono. Nei mari dei Chukchi e di Bering, al largo dell’Alaska, il congelamento era previsto per ottobre. Il ghiaccio si sarebbe spinto verso sud e per accumularsi per tutto l’inverno fino a raggiungere il picco in marzo quando il sole si arrampica di nuovo verso l’alto, per poi iniziare a sciogliersi.

Ma il congelamento autunnale nella regione è iniziato sempre più tardi, poiché le temperature nell’Artico sono aumentate a un ritmo doppio rispetto a quelle globali, alimentando un ciclo di perdita di ghiaccio che si autoalimenta: se lo scioglimento rilascia più acqua che assorbe i raggi del sole in estate, si riscalda ulteriormente l’oceano, facendo sì che si sciolga ancora più ghiaccio, ritardando ulteriormente il congelamento autunnale.

Negli ultimi anni il congelamento si era spostato nel mese di novembre, ma quest’anno le temperature erano così calde che nel mare dei Chukchi c’erano ancora acque libere a dicembre. “E questo,” dice Walsh, “non era mai successo prima d’ora” da quando ci sono le registrazioni.

Il calore insolito è continuato per tutto l’inverno, in parte a causa di un modello atmosferico che ha mantenuto l’aria calda e mentre da sud arrivavano periodicamente tempeste. Uno di questi eventi, a febbraio, ha contribuito a spingere la temperatura mensile sui mari di Bering e dei Chukchi a circa 10-12 gradi Celsius al di sopra della norma.

Di conseguenza, il mare di Bering ha perso metà della sua superficie ghiacciata in un momento in cui il ghiaccio avrebbe dovuto crescere ancora. Le tempeste hanno anche sospinto indietro il normale flusso di ghiaccio verso sud dal mare dei Chukchi a quello di Bering. I venti di tempesta hanno agitato le onde impedendo la formazione di nuovo ghiaccio, e rompendo lo strato sottile di ghiaccio che c’era.

Calo senza precedenti dei ghiacci marini in Alaska

Un gruppo di trichechi su una zattera di ghiaccio marino.

Queste condizioni atmosferiche sono state a lungo un fattore limitante per la crescita dei ghiacciai marini nel Mare di Bering, dice Thoman. Ma fino a poco tempo fa in autunno l’acqua era abbastanza fredda da permettere la diffusione del ghiaccio quando il vento soffiava da nord.

Negli ultimi anni, le acque oceaniche del mare di Bering sono state insolitamente calde. Il meteorologo Nick Bond e altri pensano che questo sia un postumo della “sbornia” rappresentata dalla potente ondata di calore marino – soprannominata “Il Blob” – che si era presentata al largo della costa occidentale degli Stati Uniti e del Canada continentale dal 2014 al 2016.

Bond, che lavora per il Pacific Marine Environmental Laboratory della NOAA, pensa che parte di queste acque calde abbia seguito le correnti oceaniche fino al Bering, lasciando una profonda riserva di calore che ha impedito la formazione di ghiaccio, anche se non ha ancora studiato formalmente questo aspetto.

Il verificarsi di queste condizioni insolite al largo dell’Alaska l’inverno scorso può essere in gran parte attribuito alle variazioni meteorologiche casuali in un sistema climatico caotico, dicono Bond, Walsh e Thoman, ma aggiungono che il riscaldamento globale ha probabilmente amplificato la gravità della situazione.

Uno studio apparso sul “Bulletin of the American Meteorological Society”, di cui Walsh è un coautore, ha scoperto che, sebbene il Blob sia stato il frutto di variazioni naturali, senza i cambiamenti climatici probabilmente non sarebbe stato così intenso. E mentre il mare di Bering ha visto molti inverni tempestosi come questo, la tendenza di fondo al riscaldamento comporta che, con il clima di oggi, gli inverni di questo tipo possono avere un impatto molto più grande sulla formazione di ghiaccio marino.

La mancanza di ghiaccio marino non colpisce duramente solo i cacciatori; durante l’inverno e la primavera le comunità costiere hanno assistito a inondazioni ed erosioni dovute alle tempeste, senza che il ghiaccio marino riuscisse a tamponarle. Quel poco che si è formato era molto sottile, quello che gli abitanti del posto chiamano “ghiaccio spazzatura”, dice Thoman: “Non è stato molto meglio dell’assenza di ghiaccio”.

Alla fine di aprile il mare di Bering era quasi libero dal ghiaccio, con quattro settimane di anticipo sui tempi previsti. Con il Sole che splende di nuovo sull’Artico, l’oceano aperto sta assorbendo una quantità di calore che potrebbe creare un altro ritardo nel congelamento il prossimo autunno. A causa del ruolo che delle condizioni meteorologiche, però, “non tutti gli anni saranno simili a questo”, dice Thoman. “Quasi certamente il prossimo anno [il ghaccio]non sarà così basso”. Ma mentre le temperature continuano ad aumentare, dice, “ci sono probabilità molto forti che non dovremo aspettare altri 160 anni prima di vedere di nuovo qualcosa di simile”.

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