Ascoltare i ghiacciai per comprendere la loro velocità di scioglimento

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Ascoltare i ghiacciai per comprendere la loro velocità di scioglimento

Rilevando con microfoni subacquei gli scoppiettii e gli scricchioli prodotti dalla fusione del ghiaccio a contatto con il mare, è possibile stabilire se quei suoni provengono da un ghiacciaio o da un iceberg, e la velocità con cui si stanno sciogliendo
di Stephanie Pappas/Scientific American
www.lescienze.it

Le acque dei fiordi delle Svalbard, l’arcipelago artico tra la Norvegia continentale e il Polo Nord, sono note per gli schiocchi, i crepitii e i boati dovuti agli iceberg e ai ghiacciai che si sciolgono. Ora nuove ricerche hanno scoperto che lo sfrigolare di un ghiacciaio in disgelo è diverso dal brontolio di un iceberg che si ammorbidisce, e che questi suoni spia sono più intensi dove il ghiaccio si sta sciogliendo più velocemente.


Questi risultati, pubblicati di recente sulle “Geophysical Research Letters”, suggeriscono che i rumori in questione possano essere sfruttati come utili indizi per stabilire la velocità con cui i ghiacciai possono ritirarsi all’aumentare delle temperature e, quindi, quanto velocemente potrebbe aumentare il livello globale del mare. “Ora possiamo dire che ascoltare quel rumore non è solo bello, ma anche che possiamo trasformarlo in un vero strumento di lavoro per le ricerche future”, dice Oskar Glowacki, ricercatore post-dottorato alla Scripps Institution of Oceanography, che ha diretto lo studio.

A che velocità si sciolgono i ghiacciai? Basta ascoltarli

Fusione del ghiaccio di un iceberg nel mare delle Svalbard. (© Science Photo Library/AGF)

Per tracciare il ritiro graduale dei ghiacciai possono essere usati i satelliti, che tuttavia non possono esaminare da vicino il punto più critico dell’evento: la parte inferiore del fronte di un ghiacciaio, dove l’acqua di mare incontra il ghiaccio e ne facilita lo scioglimento. E lavorare lungo il fronte dei ghiacciai, dove enormi iceberg scivolano regolarmente in mare, è molto pericoloso per gli scienziati, dice Glowacki. Invece, inserendo in quelle zone degli idrofoni, ossia microfoni subacquei, si potrebbero ottenere in tutta tranquillità misurazioni accurate del cruciale processo di fusione.

Per testare questa idea, Glowacki e colleghidell’Accademia polacca delle scienze hanno piazzato idrofoni nel fiordo Hornsund delle Svalbard, vicino ai punti terminali dei ghiacciai Hans, Paierl e Stor. Nelle registrazioni, la differenza tra ghiacciai e iceberg è inconfondibile. I fronti dei ghiacciai sono pieni di bolle d’aria compressa che scoppiettano quando colpiscono l’acqua, creando un suono dolce e continuo come la pioggia su un placido lago. In un iceberg ci sono meno bolle perché sono molto più piccole, di quelle del ghiacciaio di provenienza, quindi il rumore che fanno è più irregolare. Somiglia a quello di una pentola d’acqua in ebollizione, in cui si può distinguere il suono delle di singole bolle che scoppiettano.

È stata una vittoria riuscire a separare i suoni del ghiacciaio e dell’iceberg, dice Glowacki, e distinguerli dagli altri rumori di fondo delle baie e dei fiordi delle Svalbard. Gli idrofoni, infatti, captano tutto, dal suono delle onde che lambiscono la riva alla pioggia che cade fino ai richiami dei mammiferi marini. Cosa ancor più entusiasmante, i ricercatori hanno scoperto di poter distinguere i suoni prodotti da un iceberg sul lato esposto alla corrente di superficie locale e quelli provenienti dal lato protetto. Lo scioglimento dovrebbe essere più rapido sul lato esposto, dove l’oceano va incontro al ghiaccio, traducendosi in un rumore più intenso nelle registrazioni. Il risultato suggerisce che l’intensità del rumore del ghiaccio può indicare agli scienziati dove il ghiaccio si sta sciogliendo più velocemente.

A che velocità si sciolgono i ghiacciai? Basta ascoltarli

Fronte di un ghiacciaio delle Svalbard. (© Juice Images / AGF)

I segnali acustici probabilmente non potranno mai competere con i dati visivi forniti dai satelliti, dice Mauri Pelto, professore di scienze ambientali al Nichols College e rappresentante degli Stati Uniti al World Glacier Monitoring Service. Ma Pelto, che non è stato coinvolto nello studio diretto da Glowacki, dichiara che il risultato rappresenta “un altro strumento nella cassetta degli attrezzi dei ricercatori per stabilire quando e dove sta raggiungendo il valore più elevato”.

Le baie glaciali artiche – che a causa del cambiamento climatico sono tra gli ambienti marini più rumorosi della Terra – sembrerebbero essere uno di questi luoghi degni di particolare attenzione, osserva Glowacki, e aggiunge: “Perché non approfittarne per ascoltare il pianeta?

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 29 maggio 2018. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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