La primavera è sempre più in anticipo, ma nell’Artico più che altrove

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La primavera è sempre più in anticipo, ma nell’Artico più che altrove

L’anticipo della primavera a livello globale è un fenomeno segnalato già da tempo, ma una nuova ricerca indica che la velocità del fenomeno è molto più grande di quella stimata finora, soprattutto al Polo Nord, con effetti su numerose specie animali
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In seguito al riscaldamento climatico, a livello globale la primavera meteorologica arriva in anticipo e questo anticipo è tanto più marcato quanto più ci si sposta a settentrione. In media ogni 10°di latitudine verso Nord i primi indizi di primavera arrivano con quattro giorni di anticipo rispetto a dieci anni fa, ma in realtà il fenomeno non ha un andamento lineare ed è sempre più marcato avvicinandosi all’Artico. A segnalarlo è uno studio pubblicato su “Scientific Reports” effettuato da Eric Post, dell’Università della California a Davis, e colleghi sulla base dell’analisi di 743 ricerche precedenti che coprono un arco di 86 anni (dal 1828 al 2013) in tutto l’emisfero settentrionale.

Per esempio, alle latitudini basse e medie come Los Angeles, che si trova a 34° di latitudine Nord, la primavera potrebbe arrivare con un solo giorno di anticipo rispetto a dieci anni fa. Ma più a nord, come a Seattle (47° N), potrebbe arrivare quattro giorni prima, e nell’Artico, addirittura fino a 16 giorni prima.

La primavera anticipa, ma nell'Artico più che altrove

L’anticipo della primavera era stato segnalato già da tempo, ma la nuova ricerca indica che la velocità del fenomeno è circa tre volte superiore a quella finora stimata.
La primavera fornisce importanti input biologici a molte specie vegetali e animali, dalla migrazione degli uccelli alla fioritura e alla comparsa delle foglie fino ai richiami degli anfibi; ma non è chiaro quale possa essere l’impatto di una primavera accelerata su queste specie in tutto il pianeta.

La primavera anticipa, ma nell'Artico più che altrove
Un nido di uova di uccello in Groenlandia (Cortesia Eric Post/UC Davis)

Lo studio rileva che l’impatto sui migratori è potenzialmente quello più preoccupante. Molti uccelli si spostano dalle zone tropicali alle latitudini più elevate, come l’Artico, per riprodursi. Se questo sfasamento dell’inizio della primavere dovesse aumentare di pari passo con il riscaldamento globale, i migratori che partono all’inizio della primavera alle basse latitudini potrebbero arrivare nelle regioni più settentrionali, dove la primavera sarebbe già inoltrata, in un momento non ottimale rispetto allo sviluppo delle piante e degli insetti di cui si nutrono, con un rischio elevato perla sopravvivenza della loro prole.

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