l dejà vu e gli scherzi della memoria
La sensazione di aver già vissuto una situazione nuova è spesso accompagnata da un’impressione di poter prevedere il futuro negli istanti successivi. Ma è solo un presentimento che non ha nulla di veritiero, come ha dimostrato un nuovo studio sperimentale
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Trovarsi in una nuova situazione, ma avere l’impressione di averla già vissuta. È ciò che succede nel fenomeno del dejà vu, che per qualcuno è addirittura la rivelazione di un qualcosa di soprannaturale. Per la psicologia è più semplicemente una manifestazione di un fenomeno della memoria.
Anne Cleary, psicologa cognitiva della Colorado State University, ha ora dimostrato, grazie a una ricerca sperimentale pubblicata su “Psychological Science” che la premonizione degli eventi che stanno per accadere, spesso associata al dejà vu, non è nient’altro che una sensazione: la capacità di previsione dei soggetti non è diversa da quella basata sul lancio di una monetina.
Il gruppo di Cleary studia da molti anni il dejà vu e altri fenomeni simili, che gli esperti considerano l’espressione di una “metamemoria”. Questi fenomeni cioè riflettono un certo grado di consapevolezza soggettiva dei nostri ricordi, che però per qualche meccanismo ignoto rimangono fuori della nostra capacità di richiamarli. Spesso diciamo per esempio “ce l’ho sulla punta della lingua”, quando non ci viene una parola che sappiamo benissimo di conoscere. Oppure incontriamo una persona fuori dal suo contesto consueto e per qualche istante stentiamo a riconoscerla.
Grazie ad alcuni test, Cleary e altri scienziati hanno mostrato che il déjà vu è probabilmente un fenomeno di memoria. Può verificarsi quando una persona vive uno scenario simile a un vero ricordo, ma non riesce a richiamarlo in memoria. I test mostrano per esempio che una somiglianza in grado d’innescare un dejà vu è quella spaziale.
“Non siamo in grado di ricordare coscientemente una scena precedente, ma il nostro cervello riconosce la somiglianza”, ha spiegato Cleary. “Questa informazione passa attraverso l’inquietante sensazione che siamo stati lì prima, ma non possiamo stabilire quando o perché.”
Tempo fa Cleary ha letto uno studio degli anni cinquanta in cui il neurologo Wilder Penfield aveva stimolato il cervello di alcuni soggetti e aveva chiesto loro di descrivere che cosa stessero provando. In almeno un caso, quando un paziente aveva riferito un déjà vu dopo la stimolazione, Penfield aveva documentato una concomitante sensazione di poter prevedere il futuro.
Ora Cleary e colleghi hanno ricreato il fenomeno del dejà vu in un gruppo di soggetti per esaminare nello specifico la premonizione che accompagna questo stato.
In sintesi, i volontari dovevano cimentarsi in un videogioco, orientandosi in un labirinto. Le scene che apparivano via via sullo schermo richiamavano altre situazioni spaziali che avevano visto in precedenza, in modo da indurre i dejà vu. Quando lo percepivano, i soggetti dovevano anche fare una previsione sulla direzione da prendere un attimo dopo.
Secondo i risultati non erano affatto in grado di prevedere il futuro, anche se erano convinti di poterlo fare, coerentemente a ciò che succede nella vita reale: la svolta corretta per poter uscire dal labirinto veniva indovinata in metà dei casi, in media, esattamente come se tirassero a indovinare.
La domanda a questo punto è: se il déjà vu è un fenomeno di memoria, lo è anche la sensazione di premonizione? Qualche indizio per poter rispondere lo forniscono studi recenti secondo cui nel corso dell’evoluzione, la memoria umana si sia sviluppata in modo non solo da raccogliere ricordi del passato, ma di fornire qualche indizio sul futuro