C’era vita sulla Terra a “palla di neve”?

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C’era vita sulla Terra a “palla di neve”?

Un nuovo modello suggerisce che mondi ricoperti di ghiaccio per tempi geologici potrebbero ospitare oasi temperate, ovvero aree non ghiacciate che potrebbero sostenere la vita, come forse è avvenuto nel passato remoto del nostro pianeta
Shannon Hall/Scientific American
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Circa 650 milioni di anni fa, vaste distese ghiacciate si estendevano dai Poli ai tropici, avvolgendo la Terra in una pelle ghiacciata durata milioni di anni. E questo era accaduto anche prima: il nostro “pallido punto blu” si è trasformato in una “Terra a palla di neve” di colore bianco perlaceo almeno tre volte nella sua storia. Ma questi congelamenti profondi presentano un enigma: avrebbero dovuto essere mortali, eppure la vita è evidentemente continuata. Ci sono prove geologiche per cui i nostri primi antenati microscopici non si sono congelati fino alla morte, e ci sono anche indicazioni genetiche del fatto che le linee filogenetiche di una serie di organismi unicellulari sono andate oltre il periodo della palla di neve. La domanda è come hanno fatto.

Un nuovo studio pubblicato sul server di preprint arXiv e inviato alla rivista “Earth and Planetary Science Letters” potrebbe dare una soluzione. Adiv Paradise, giovane astronomo all’Università di Toronto e i suoi colleghi hanno simulato al computer diversi possibili mondi a palla di neve, variando il numero di vulcani ospitati e la quantità di luce stellare che ricevono, per scoprire che molti di questi mondi non sarebbero mai usciti dallo stato di palla di neve. Quelli con poca attività vulcanica non avrebbero mai emesso abbastanza anidride carbonica da innescare il surriscaldamento globale necessario a svegliarli dal loro torpore criogenico (come probabilmente è successo sulla Terra). Eppure, sorprendentemente, molti di questi mondi avrebbero anche potuto sostenere aree estese di terre emerse non congelate. Alcune di queste aree sarebbero rimaste asciutte, come le valli di McMurdo, in Antartide, mentre altre avrebbero sviluppato cicli idrologici locali, permettendo all’acqua liquida di concentrarsi e scorrere sulle loro superfici.

Queste oasi sono una spiegazione di come i mondi a palla di neve potrebbero rimanere abitabili, un risultato che potrebbe descrivere non solo la Terra ma molti dei pianeti che gli astronomi stanno scoprendo nella nostra galassia. “Prima avremmo potuto trascurare una palla di neve perché ritenuta non abitabile, e ci saremmo persi possibili sacche di vita”, spiega Diana Valencia, astrofisica dell’Università di Toronto e coautrice dello studio.

La vita sulla Terra a palla di neve

Una suggestiva immagine di Encelado, luna di Saturno, ripresa dalla sonda Cassini della NASA. Il suo aspetto potrebbe essere molto simile a quello della Terra, con le dovute proporzioni, durante i periodi “palla di neve”. (Credit: JPL/NASA)

Lo studio è in linea con un lavoro precedente sull’episodio di glaciazione più recente nella storia della Terra. Nel 2015 Douglas Benn, glaciologo dell’università di Saint Andrews, in Scozia, ha pubblicato una ricerca che mostrava come il clima terrestre fosse sensibile alle variazioni dell’orbita del pianeta attorno al Sole, che come risultato generavano cicli di avanzamento e ritiro delle calotte glaciali. Il ritiro ha permesso ai laghi di riempirsi d’acqua, ai fiumi di fluire e alla semplice vita microbica di prosperare, anche durante un evento palla di neve. Benn ed i suoi colleghi hanno osservato questi cicli in modelli al computer del clima terrestre e hanno anche trovato depositi sedimentari nelle isole Svalbard, nell’Oceano Artico, che conservano le prove dell’avanzata e del ritiro delle calotte glaciali. Le scoperte implicano che l’ultima Terra a palla di neve non sarebbe stata del tutto ghiacciata – ci sarebbero state aree di terre emerse libere dal ghiaccio dove l’acqua avrebbe potuto fluire – creando così le condizioni per un rifugio cruciale dove la vita avrebbe potuto resistere fino a quando non sarebbero tornate condizioni più favorevoli.

Ma le zone senza ghiaccio non sono l’unico meccanismo proposto per spiegare come sia sopravvissuta la vita sulla Terra a palla di neve. Fin dal 1992 i ricercatori del settore hanno proposto una serie di idee, e ogni scienziato sembra preferirne una diversa, afferma James Kasting, geologo della Pennsylvania State University. Secondo Kasting, la vita avrebbe potuto resistere sotto un sottile strato di ghiaccio. In Antartide i laghi ghiacciano così lentamente da non includere bolle d’aria, quindi rimangono trasparenti alla luce del Sole, permettendo alla vita fotosintetica di prosperare sotto diversi metri di ghiaccio. E Paul Hoffman, un tempo geologo alla Harvard University e oggi in pensione, sostiene che la polvere potrebbe essere l’alleato più probabile per la vita. Quando la neve raccoglie la polvere, può assorbire più facilmente la luce solare, provocando la formazione di pozze di acqua fusa nel ghiaccio. Questi stagni sono ben noti in ambienti polari perché ospitano fiorenti ecosistemi di alghe e cianobatteri (anche se Benn sottolinea che gli scienziati non hanno prove geologiche dirette di questi bacini all’epoca della Terra a palla di neve). Infine, nessun geologo si schiera contro l’idea dei camini idrotermali, attraverso cui le aree vulcanicamente attive espellono acqua a temperature elevate. Le sorgenti termali in Antartide e in Islanda, dopo tutto, creano oasi calde che oggi traboccano di vita.

In definitiva, il giudizio sul meccanismo che avrebbe aiutato la vita a superare la Terra a palla di neve è ancora sospeso. Sebbene Kasting osservi che le zone prive di ghiaccio ipotizzate sia da Paradise sia da Benn forniscano una possibile soluzione, per quest’ultimo modello ci sono molti punti in sospeso. Sia lui sia Hoffman vorrebbero vedere il gruppo di Paradise includere il flusso dei ghiacciai marini, per esempio, perché è possibile che il ghiaccio possa fluire dai Poli all’equatore, coprendo le aree non ghiacciate che propongono. E lo stesso Paradise elenca una serie di caveat per il suo modello: è a bassa risoluzione, ha usato approssimazioni di calcolo e non include alcuni processi, come gli effetti della polvere atmosferica.

In definitiva, potrebbe esserci anche un altro meccanismo di sopravvivenza che nessuno ha ancora pensato, dice Kasting. Oppure potrebbero anche essere coinvolti diversi meccanismi che permettono alla vita sulla Terra di resistere. Benn sostiene che la vita probabilmente non è sopravvissuta in unico, importante ambiente, ma in più ambienti. Così, le palle di neve potrebbero rimanere abitabili con l’aiuto di zone prive di ghiaccio, sottili strati di ghiaccio, stagni da acqua di fusione e camini idrotermali. In effetti, Joseph Kirschvink, geobiologo del California Institute of Technology che ha coniato la frase “Terra a palla di neve”, è sempre stato sorpreso dal fatto che così tante persone si aspettassero che la vita svanisse con la glaciazione profonda. “La vita è difficile da estinguere, anche su una palla di neve”, dice.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Scientific American il 13 marzo 2018. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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