E’ la più grande tempesta del Sistema Solare, ma si sta lentamente esaurendo: dopo più di tre secoli, forse ne vedremo la fine. www.focus.it
Se ne parla da 350 anni almeno: è la più formidabile tempesta del Sistema Solare, chiamata Grande Macchia Rossa, su Giove, e si può osservare facilmente anche con un telescopio amatoriale. È stata una compagna sempre presente, fin dalle prime osservazioni – di incerta paternità tra Hooke (1664) e Cassini (1665): la novità, adesso, è che pare che si stia esaurendo e che forse assisteremo alla fine dell’uragano, dopo oltre tre secoli – per fare un confronto, sulla Terra l’uragano che ha vissuto di più fu il ciclone John, che nel 1994 imperversò sul Pacifico per… 31 giorni.
Foto a confronto: l’evoluzione della Grande Macchia Rossa dal 1995 al 2014 (clicca sull’immagine per ingrandirla). | NASA / ESA / Goddard / UC Berkeley / JPL-Caltech / STScI
Nel luglio del 2017, durante il passaggio ravvicinato della sonda Juno (Nasa) sull’area della Macchia Rossa, sono state scattate meravigliose immagini che hanno permesso di capire meglio la struttura interna dell’imponente ciclone.
«Le dimensioni e le caratteristiche della Terra non permettono agli uragani di durare per centinaia di anni perché, a differenza di Giove, la nostra atmosfera non ha lo spessore di decine di migliaia di chilometri», afferma Glenn Orton, del gruppo di ricerca della missione Juno. Sulla Terra, tutto ciò che avviene in atmosfera deve fare i conti con la terraferma e gli oceani, che sono invece assenti sul gigante gassoso del Sistema Solare.
In ogni caso, anche la Grande Macchia Rossa è un’eccezione: «Non tutte le tempeste di Giove hanno vita lunga», prosegue il ricercatore, «e per capire perché si è trasformata nel fenomeno che è, la si deve immaginare come un ruota che continua a girare perché è ingabbiata tra due nastri trasportatori, in qualche modo analoghi alle nostre correnti a getto, che si muovono l’uno in direzione opposta all’altro». Le due correnti dell’alta atmosfera gioviana sono flussi di venti che viaggiano a molte centinaia di chilometri l’ora, impartendo grande forza alle tempeste coinvolte nei flussi.
La sonda Juno sorvolerà di nuovo l’area in prossimità della Grande Macchia Rossa nell’aprile del 2018, poi di nuovo a luglio e a settembre del 2019 e forse un’altra volta nel dicembre 2020, ma mai il punto di vista della navicella sarà così ottimale come durante il passaggio dello scorso anno.
«Saranno comunque occasioni d’oro per cogliere informazioni sul grande ciclone e per capire la sua evoluzione», aggiunge Orton. «Di certo, però, sappiamo che il ciclone non è eterno: rispetto alle precise osservazioni effettuate nel 1879, quando si stimò che il diametro della tempesta era quattro volte quello della Terra, un secolo dopo, quando nel 1979 venne sorvolata dalla sonda Voyager, si calcolò che le dimensioni si erano ridotte a non più di due diametri terrestri, circa 24.000 km. Oggi siamo a circa 1,3 diametri terrestri.»
Queste immagini, scattate da Hubble nell’arco di due anni, mostrano la graduale scomparsa di una gigantesca tempesta a vortice su Nettuno. | Nasa, Esa, M.H. Wong e A.I. Hsu (UC Berkeley)
Di questo passo potrebbe scomparire nell’arco di pochi decenni. Allo stesso modo potrebbe esaurirsi e scomparire anche un’altra tempesta notevole, sebbene piccola rispetto alla Grande Macchia Rossa: un uragano di lunga durata su Nettuno, tenuto sotto osservazione dal telescopio spaziale Hubble dal 1994, grande “appena” quanto un continente sulla Terra.