C’è una possibile spiegazione per la nube radioattiva sugli Urali
Un nuovo rapporto fa luce sul misterioso picco di radioattività registrato sulla Russia e su buona parte dell’Europa a fine settembre, a livelli non pericolosi per la salute: potrebbe essere legato a una cattiva gestione di combustibile nucleare esausto.
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Per due settimane tra settembre e ottobre 2017, livelli anomali di un isotopo radioattivo, il rutenio-106, furono rilevati in buona parte d’Europa, dalla Norvegia alla Francia, dall’Ucraina alla Grecia, con un picco di concentrazione sugli Urali meridionali, in Russia al confine con il Kazakistan. Le concentrazioni registrate erano troppo basse per rappresentare un pericolo per la salute, ma il problema della loro origine rimaneva aperto
Una possibile ipotesi. Ora un rapporto dell’Istituto francese per la radioprotezione e la sicurezza nucleare (IRSN), che per primo aveva diffuso la notizia della perdita, propone una plausibile spiegazione sulle cause della nube. In base al documento, la perdita avrebbe avuto origine nell’impianto nucleare di Mayak, vicino a Ozyorsk (Russia meridionale), dove oggi viene riprocessato il materiale nucleare esaurito.
Il rilascio anomalo di rutenio-106, un prodotto di decadimento delle reazioni nucleari, potrebbe essere avvenuto mentre i tecnici del sito lavoravano alla fabbricazione di un componente altamente radioattivo che sarebbe dovuto servire per un importante esperimento di fisica delle particelle dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN in Abruzzo, un progetto che nelle ultime settimane è stato annullato. In base a quanto riportato da Science, il governo russo e l’autorità nucleare del Paese avrebbero però decisamente negato queste conclusioni.
Utilizzndo modelli computerizzati che comprendevano campionamenti dell’aria e dati sull’andamento delle correnti e altri fenomeni meteorologici, gli scienziati francesi erano già risaliti con buona approssimazione all’area di origine della perdita, e avevano escluso alcune potenziali cause: la nube non poteva provenire da una bomba né essere riconducibile a un incidente nucleare, perché in quel caso si sarebbero registrati livelli di altri isotopi molto più alti.
Gli indizi portavano all’impianto di riprocessazione di combustibile esausto di Mayak: in base al rapporto pubblicato il 6 febbraio, il tentativo della struttura di produrre una capsula di cerio-144 destinata all’esperimento SOX (Short distance neutrino Oscillations with boreXino) del Gran Sasso dovrebbe essere indagato come possibile causa. La quantità di rutenio-106 rilevata poteva provenire soltanto dalla lavorazione di diverse tonnellate di combustibile nucleare esausto.
Inoltre la percentuale di rutenio-106 rispetto a un isotopo a più rapido decadimento presente nella nube in quantità minori, il rutenio-103, faceva pensare a barre nucleari rimosse da un reattore da un anno o due. In genere le barre radioattive rimangono per almeno 10 anni “a riposo” prima di un’eventuale riprocessazione: questa lavorazione giovane sembrerebbe motivata dalla necessità di una sorgente altamente radioattiva, come quella necessaria all’esperimento SOX.
Tecnici al lavoro nel rilevatore Borexino dell’esperimento SOX. | INFN