C’è anche il cambiamento climatico dietro le proteste in Iran? Siccità grave nel 96% del Paese

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C’è anche il cambiamento climatico dietro le proteste in Iran? Siccità grave nel 96% del Paese

Minoranze e province periferiche accusano governo e pasdaran di accaparrarsi le risorse naturali
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Secondo il Los Angeles Times, il cambiamento climatico avrebbe svolto un ruolo importante nei recenti disordini di piazza in Iran che hanno provocato scontri con la polizia e i pasdaran, morti, arresti e devastazioni di strutture pubbliche. Infatti, oltre al malcontento per la scarsa apertura del regime teocratico, a innescare le proteste è stato il carovita e nell’aumento dei prezzi svolge sicuramente un ruolo la devastante siccità che ha colpito la Repubblica Islamica nel 2017.

Secondo i dati ufficiali resi noti il 7 gennaio dal direttore per la gestione della siccità e della gestione delle crisi dell’Organizzazione meteorologica iraniana, Shahrokh Fateh, «Quasi il 96% della superficie totale dell’Iran soffre di livelli diversi di siccità prolungata». Per quanto riguarda l’Indice standard di evapotraspirazione delle precipitazioni (SpeiI) negli ultimi 84 mesi, Fateh ha detto che «La gravità della siccità va da una siccità anormalmente secca a moderata, grave e persino estrema. Nel determinare la siccità, lo Spei tiene conto sia delle precipitazioni che dell’evapotraspirazione potenziale (Pet) nel determinare ha osservato».

Fatoh  ha evidenziato che «La lunga e grave siccità nei principali bacini idrografici dell’Iran occidentale e sud-occidentale, in quanto principale risorsa idrica di una larga parte del Paese, sta suscitando preoccupazioni». Inoltre, dallo Spei calcolato sugli ultimi 12 mesi emerge che «Quasi il 90% della superficie  del Paese sta attraversando diversi livelli di siccità».

Quel che è certo è che nel periodo dal 23 settembre al 25 dicembre 2017 l’Iran ha registrato un calo del 56% delle precipitazioni medie rispetto alla madia stesso periodo nel lungo periodo. Secondo ‘organizzazione meteorologica dell’Iran, «Le province del Sud Khorasan, Qom, Yazd e Isfahan mostrano il declino più drammatico di oltre il 90%. Teheran si trova al 8° posto con un calo dell’80,6% rispetto al livello medio delle precipitazioni sul lungo periodo. L’unica provincia che ha una crescita positiva a questo riguardo è Ardabil con un aumento del 5%. Bushehr, Gilan, Golestan e Mazandaran sono le province con la minore diminuzione delle precipitazioni».

Il problema è che sul “lungo termine” in Iran c’è un po’ di confusione: alcune agenzie di stampa prendono a riferimento gli ultimi  67 anni mentre altre dicono che i dati riguardano gli ultimi 50 anni.

Fatoh  ha sottolineato che «Nessuno può ignorare gli effetti dei cambiamenti climatici sulla riduzione delle precipitazioni medie che di conseguenza portano alla siccità, tuttavia, ci sono alcuni altri colpevoli in Iran, come le miopi politiche di gestione delle risorse idriche e le pratiche agricole insostenibili che esacerbano la carenza di acqua nel nazione».

Intanto la siccità e la diminuzione delle precipitazioni  ha reso la vita difficile a uomini e uccelli migratori nelle zone umide  di altura delle montagne della provincia di Chaharmahal-Bakhtiari, nell’Iran occidentale. E, a conferma di quel che dice Fatoh, le condizioni sono peggiorate dopo che il governo centrale ha iniziato a costruire condotte per portare l’acqua a Esfahan,  a un centinaio di Km di distanza, rovocando proteste fin dal 2014.

Una delle manifestazioni che hanno infiammato le recenti proteste è stata quella del 30 dicembre, quando  circa 200 persone si sono radunate davanti all’ufficio del governatore provinciale di Chaharmahal-Bakhtiari per protestare contro il progetto di trasferimento dell’acqua. Gli slogan contro il furto di acqua si sono presto trasformati in invocazioni di “Morte al dittatore” che poi è diventato il grido più sentito nelle successive manifestazioni antigovernative in tutto l’Iran che hanno portato alla morte di almeno 21 persone e all’arresto di migliaia di manifestanti, soprattutto giovani, esasperati per l’aumento dei prezzi, la disoccupazione, i crack delle banche e la crescente disuguaglianza economica.

Secondo diversi analisti, i fattori più trascurati per spiegare questa fiammata di violenza sono l’impatto dei cambiamenti climatici in Iran e la difficoltà dei leader iraniani a gestire il crescente problema di scarsità d’acqua.

Il Los Angeles Times ha intervistato ha detto Meir Javedanfar, che si occupa di politica iraniana per l’ Interdisciplinary Center Herzliya, un’università israeliana, che ha detto: «La gente crede che questa sia l’ennesima grande crisi che il Paese sta affrontando, e le persone al vertice sono troppo incompetenti e troppo corrotte per prendersene cura. Affrontare il problema della siccità non sembra essere una priorità del regime, Finché non sarà una priorità, non succederà nulla, finché qualcosa non si rompe».

Fatta la tara della “fisiologica” propaganda israeliana contro l’Iran (e viceversa). è però vero che molti ambientalisti pensano che l’Iran si stia rapidamente avvicinando a un punto di rottura climatico ed è noto che le temperature più calde e la diminuzione delle piogge hanno fatto sparire laghi, scatenato tempeste di polvere e svuotato regioni fertili di contadini che ora cercano rifugio e lavoro nelle sempre più affollate (e inquinate) città iraniane.

Tutti gli studi e rapporti sul clima dicono che il Medio Oriente sarà la rgeione più colpita dalla siccità, ma l’Iran, con i suoi 80 milioni di abitanti e un’economia indebolita da guerre e embarghi, sembra particolarmente a rischio. In alcune delle zone più colpite dalla siccità, comprese le province di confine dove vivono minoranze etniche e religiose come i kurdi e gli arabi, l’accaparramento delle risorse naturali da parte del governo centrale è stato  un elemento chiave delle dimostrazioni.

Yusef Farhadi Babadi, un ambientalista di Chaharmahal-Bakhtiari, ha detto al Los Angeles Times: «Le persone nella mia zona non vogliono politicizzare le loro preoccupazioni ambientali, ma la scarsità d’acqua e l’inquinamento dell’aria e dei fiumi sono visti come crisi politiche. La gente rivendicare i propri diritti all’aria pulita, all’acqua e all’uso efficiente dell’acqua. Nella provincia (che copre un’area leggermente più grande dello Stato del Connecticut), una volta c’erano 3.800 sorgenti,  ma circa 1.100 sono prosciugate». Parte dell’acqua viene utilizzata dalle acciaierie statali di Esfahan, che Babadi definisce «Industrie in bancarotta», mentre una regione una volta ricca d’acqua, le città della provincia – ad eccezione del capoluogo Shahr-e Kord – sono costrette a fare affidamento sull’acqua trasportata da navi cisterna spesso inquinata da  sostanze chimiche.

Ci sono stati scontri anche tra  contadi  e allevatori di e le forze di sicurezza, come nel 2016, quando le proteste durate diversi giorni a  Boldaji causarono un morto e quasi 200 feriti. Alla fine la Guardia rivoluzionaria islamica fu costretta a mandare i suoi pasdaran a sedare la rivolta. Nel vicino Khuzestan, una provincia ricca di petrolio al confine con l’Iraq dove vive una popolazione araba, la desertificazione e l’inquinamento industriale hanno distrutto i frutteti e le zone umide. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il capoluogo del Khuzestan  Ahvaz è una delle città più inquinate del mondo,dato che per gran parte dell’anno è soffocata da uno smog giallo e venefico. A partire dal 30 dicembre, Ahvaz è stata teatro di una settimana di grandi proteste che sono state le ultime di una lunga serie di manifestazioni per chiedere condizioni ambientali vivibili.  Abafazl Abidi, corrispondente del  giornale riformista Shargh a Teheran, spiega che «Molti soffrono di problemi ambientali cronici o di malattie legate all’inquinamento come l’asma e le malattie della pelle. Le persone soffrono per le piogge acide, la visibilità è solo di pochi metri, ci sono interruzioni delle forniture i acqua potabile ed elettricità. Le recenti proteste non mi sembrano affatto sorprendenti».

Le condizioni ambientali nel Khuzestan sono peggiorate anche a causa della continua costruzione di dighe: negli ultimi 40 anni nella provincia ne sono state costruite più di una dozzina costruite nella provincia e molte sono state costruite da imprese che fanno riferimento ai pasdaran. Le minoranze e le regioni più povere accusano il governo centrale di costruire sui loro territori infrastrutture per sfruttare risorse che poi vengono utilizzate da regioni e industrie legate al potere politico/religioso centrale, mentre peggiorano l’accesso all’acqua per le popolazioni periferiche.

La situazione si è fatta così difficile che ll leader supremo, l’Ayatollah Ali Khamenei ha invitato il governo a «gestire i cambiamenti climatici e le minacce ambientali».

L’ex presidente, il populista di destra Mahmoud Ahmadinejad, aveva promesso di aiutare gli agricoltori, ma poi ha permesso alle industrie di costruire senza criterio e arrivò ad accusare i Paesi occidentali di essere i veri responsabili della siccità in Iran. Ora in molti pensano che sia stato proprio Ahmadinejad a dere fuoco alle polveri alle proteste contro il carovita che poi si sono ritorte contro la parte più conservatrice del regime di cui lui è un esponente. L’attuale presidente Hassan Rouhani, eletto nel 2013 e rieletto nel 2017, ha investito molto per far rinascere il lago Urmia, ma quando l’anno scorso ha visitato il Khuzestan è stato accolto da una forte protesta.

L’ambientalista Babadi, dice sconsolato: «Ad ogni elezione, cerchiamo di  mandare in Parlamento i difensori dei nostri diritti o di eleggere presidenti che possano affrontare le questioni ambientali … ma invano».

Le autorità hanno represso rapidamente le recenti proteste a Shahr-e Kord, ma Babadi pensa che si tratti solo di una tregua temporanea: «La siccità e i progetti di trasferimento dell’acqua sono così pericolosi e dannosi che le proteste ambientali riprenderanno presto».

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