Scoperto un punto critico per l’esplosività dei vulcani
Lievi variazioni di alcuni parametri chimici del magma fanno la differenza tra due processi eruttivi completamente diversi tra loro: l’eruzione effusiva, lenta e costante, e l’eruzione esplosiva, che proietta materiali incandescenti a chilometri di distanza. Lo hanno scoperto ricercatori britannici sulla base di una serie di misurazioni di laboratorio
www.lescienze.it
Nel marzo del 1980 il monte St. Helens, nello Stato di Washington, si risvegliò dopo circa 180 anni d’inattività. L’eruzione proiettò cenere e lapilli a grande distanza, cambiando profondamente la struttura del monte e guadagnandosi il triste primato di evento vulcanico più distruttivo della storia degli Stati Uniti. Ma le eruzioni vulcaniche non sono sempre così. Sulle pendici dell’Etna, per esempio, la lava fuoriesce in modo molto meno violento.
Questi due casi esemplificano la differenza tra eruzioni esplosive, in cui il vulcano può proiettare materiali incandescenti anche a chilometri di distanza, influenzando potenzialmente il clima dell’intero pianeta, e le eruzioni effusive, in cui invece la lava scorre dolcemente e costantemente.
Ora grazie ai risultati di uno studio pubblicato sulla rivista “Nature” da Danilo Di Genova dell’Università di Bristol, nel Regno Unito, e colleghi di una collaborazione internazionale, si è capito un punto fondamentale: a indirizzare il magma verso uno dei due tipi di eruzione sarebbe un sottile “punto critico” nella chimica del magma.
Ma il dato ancora più sorprendente è che a determinare l’eruzione esplosiva sono cambiamenti chimico-fisici che si verificano alle nanoscale, cioè a una scala dell’ordine del decimilionesimo di millimetro.
“I nuovi dati sperimentali, uniti ai modelli termodinamici e alle analisi della composizione dei materiali vulcanici raccolti forniscono una solida base per stabilire che esiste un’improvvisa discontinuità nel comportamento del flusso dei magmi che stabilisce se il vulcano erutterà in modo effusivo o in modo esplosivo”, ha spiegato Di Genova.
I ricercatori sono giunti a questa conclusione misurando la viscosità di una serie di magmi fusi con una composizione tipica del sistema vulanico del parco di Yellowstone negli Stati Uniti. Il primo dato emerso dalle misurazioni è che la viscosità di questi magmi varia di due ordini di grandezza: ciò significa che il più denso è cento volte più viscoso del meno denso.
L’esplosività dell’eruzione è strettamente legata alla viscosità del magma. Quando il magma è molto viscoso, impedisce infatti che il gas che vi è contenuto venga rilasciato. E quando il magma fluisce verso la superficie, può interagire con l’acqqa presente nel suolo, facendo salire enormemente la pressione e portando infine alla distruzione della parte sommitale del vulcano, il cono, e all’emissione violenta di materiale incandescente.
E non è tutto, perché altre misurazioni della composizione dei magmi hanno dimostrato che le variazioni nel loro comportamento può avere origine da cambiamenti dei parametri intrinseci dei magmi, come la temperatura, la pressione e il contenuto dell’ossigeno.
Tutti questi cambiamenti possono causare, attraverso cambiamenti chimici la fluidificazione del magma precedentemente bloccato in una camera magmatica, o viceversa ostacolare un’efficace fuoriuscita dei gas che vi sono mescolati e determinare un incremento del potenziale esplosivo, attraverso un “irrigidimento” chimico del magma.
Inoltre, lo studio ha mostrato un altro processo chimico-fisico cruciale: l’improvvisa precipitazione di cristalli, contenenti ferro, di dimensioni nanoscopiche, cioè dell’ordine di un decimilionesimo di millimetro. Questi stessi nanocristalli, che sono stati scoperti recentemente nelle rocce vulcaniche, possono incrementare ulteriormente il potenziale esplosivo del magma, sia con la privazione del ferro dalla struttura del magma fuso, sia con la formazione di punti di nucleazione, cioè di “punti di appoggio” per la crescita delle bolle di gas che determinano poi l’eruzione esplosiva.