Una pioggia di rocce aumentò la massa della Terra dopo la nascita della Luna
Simulazioni al computer indicano che dopo l’impatto che provocò la formazione della Luna una pioggia di planetesimi durata centinaia di milioni di anni portò sulla Terra da due a cinque volte la massa finora stimata
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Durante la fase successiva alla formazione della Luna, la Terra ha continuato ad accumulare molta più massa di quanto finora ritenuto. E’ quanto risulta da uno studio di ricercatori del Southwest Research Institute a Boulder, in Colorado, e dell’Università del Maryland a College Park, che firmano un articolo su “Nature Geoscience”.
All’inizio della sua evoluzione, la Terra fu colpita da un grande corpo celeste e una parte significativa dei detriti espulsi in seguito alla collisione entrò in orbita attorno al pianeta per poi aggregarsi e formare la Luna..
Ma dopo quell’evento la Terra continuò per centinaia di milioni di anni a essere bombardata da planetesimi, che si integrarono nel giovane pianeta.
Questa massa “aggiuntiva” era finora stimata attorno allo 0,5 per cento della massa attuale della Terra, una stima basata sulla concentrazione di elementi altamente “siderofili” (metalli come oro, platino e iridio, che hanno un’affinità per il ferro) nel mantello terrestre.
A quell’epoca, la Terra aveva già assunto la sua struttura fondamentale e quasi tutti gli elementi siderofili originari erano andati a formare il nucleo terrestre. Tuttavia, osservano gli autori, quella stima presuppone che tutti gli elementi altamente siderofili apportati dagli impatti successivi siano rimasti nel mantello, ossia che tutti i nuovi planetesimi fossero relativamente piccoli.
In realtà è molto probabile che i planetesimi fossero di dimensioni estremamente varie, e che alcuni fossero anche molto grandi.
Simone Marchi, Robin M. Canup e Richared J. Walker hanno condotto delle simulazioni sull’effetto di collisioni di planetesimi di diversa massa, osservando che la sorte del loro materiale è strettamente legata alla loro massa.
In particolare, le simulazioni mostrano che una frazione significativa del nucleo di un grande planetesimo – la parte più ricca di elementi siderofili – può essere penetrata in profondità nella Terra ed essere stata assimilata al nucleo del pianeta; per altre dimensioni e angoli di impatto, il nucleo del planetesimo può invece essere rimbalzato nello spazio, lasciando sulla Terra solo i suoi strati più esterni.
In entrambi i casi, la quantità di elementi siderofili oggi presenti nel mantello non rispecchia il contributo complessivo dei planetesimi durante questa fase dell’evoluzione della Terra. Questo contributo, calcolano i ricercatori, deve essere stato da due a cinque volte superiore a quello finora stimato.
“Queste simulazioni possono anche aiutare a spiegare la presenza di anomalie isotopiche in antichi campioni di rocce terrestri come la komatite, una roccia vulcanica”, ha detto la coautrice Robin Canup. “Queste anomalie erano problematiche per i modelli che le legavano all’epoca del gigantesco impatto che formò la Luna, che implica un buon rimescolamento del mantello dopo l’evento. Noi riteniamo che almeno alcune di queste rocce siano state prodotte molto tempo dopo l’impatto lunare, durante questa seconda fase di crescita del pianeta”.