Le sequenze sismiche in Appennino: gli esempi del 1456 e 1561
La penisola italiana, al centro del Mediterraneo, è sede dello scontro tra la placca tettonica africana e quella euroasiatica. Ciò determina vulcanismo attivo sul margine tirrenico e diffusa sismicità lungo la catena appenninica in corrispondenza della quale si trova il margine di subduzione, ovvero lo sprofondamento della litosfera, prodotto proprio dallo scontro tra le due placche. In questo contesto sismotettonico, la sismicità italiana è da mettere in relazione allo spostamento verso N/NNO della microplacca adriatica (Adria), porzione della placca africana: tale movimento induce i terremoti localizzati lungo la catena appenninica. Questi eventi, generalmente prodotti da sorgenti di dimensioni contenute, liberano l’energia sismica a sciami: storicamente infatti sono diversi i casi in cui si sono sviluppate sequenze sismiche caratterizzate da più eventi piuttosto che da un singolo episodio di energia nettamente preponderante sugli altri. Gli episodi più eclatanti in questo senso sono rappresentati dai terremoti del 1456, che interessarono gran parte dell’Italia centrale, e del 1561 quando fu gravemente colpito il Vallo di Diano.
di: Giampiero Petrucci(1) e Stefano Carlino(2)
georcit.blogspot.it
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Figura 1: tettonica del Mediterraneo. La linea rossa indica il margine di subduzione secondo cui la placca africana scorre al di sotto di quella euroasiatica. Le frecce rosse indicano il movimento relativo della placca di tetto, le frecce nere quello della placca che va in subduzione. Questo scontro, in particolare intorno ai margini, genera sismicità, talora anche elevata (da “Disastri naturali”, Signorino, Mauro, 2006). |
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Il territorio italiano è localizzato nella zona di collisione tra la placca africana ed euroasiatica. Lo scontro ed il movimento relativo tra le due placche sono all’origine della dinamica geologica della penisola, che si caratterizza per la presenza di vulcanismo attivo sul margine tirrenico e per la diffusa sismicità lungo la catena appenninica. La collisione tra le due placche litosferiche, iniziata circa 70 milioni di anni fa, ha generato lo sprofondamento di parte della litosfera in profondità (subduzione) mentre in superficie si è verificato il corrugamento della catena appenninica, che attraversa quasi l’intera penisola, e della catena alpina più a nord (fig. 1). Il movimento relativo tra le placche litosferiche avviene con velocità media di pochi millimetri all’anno, verosimilmente con periodi in cui la velocità aumenta o diminuisce rispetto al tasso medio. Nel corso di questo processo la litosfera si deforma accumulando energia elastica nelle rocce, che viene liberata istantaneamente con la sua fratturazione e con l’accadimento dei terremoti.
La conformazione attuale della penisola italiana e la sua sismicità sono, in particolare, da mettere in relazione al movimento verso N/NNO della microplacca Adriatica (Adria, fig. 2), come dimostrato dagli studi sulla distribuzione spazio-temporale delle deformazioni nell’area mediterranea. Nel suo spostamento si generano intense singolo forte evento che emerge in modo preponderante sugli altri quanto da sequenze di più eventi, con energia spesso limitata ma talora anche intensa. In questo ultimo contesto una delle crisi sismiche italiane più note in tempi storici, per intensità e distribuzione areale degli effetti, si verifica nel 1456 ed interessa un’ampia porzione dell’Italia centro-meridionale.
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Figura 2: Assetto tettonico e cinematica dei blocchi nel Mediterraneo centrale. 1: dominio continentale africano; 2: dominio continentale africano-adriatico (microplacca Adria); 3: dominio oceanico ionico; 4: settore esterno dell’Appennino trasportato dalla placca Adria; 5-6-7: principali lineamenti tettonici compressionali, estensionali e trascorrenti. Le frecce blu indicano il quadro cinematico di lungo termine (post Pleistocene Medio) rispetto all’Eurasia. AM: Appennino Meridionale; AC: Appennino Centrale; AS: Appennino Settentrionale; ASE: Alpi Sud-Orientali; SV: Sistema di faglie Schio-Vicenza (da: Mantovani e al., 2011) |
La prima scossa si verifica nella notte del 5 dicembre 1456. La magnitudo, stimata in base alla distribuzione degli effetti macrosismici, è di 6.9. Il terremoto colpisce soprattutto il Sannio e l’Irpinia con effetti devastanti nelle cittadine di Apice e Paduli. Danni importanti si registrano anche ad Ariano, prossimo all’epicentro, nella Capitanata pugliese, e perfino a Napoli, dove crolla il campanile della chiesa di Santa Chiara. A meno di un mese di distanza si verifica un altro evento rilevante che colpisce però un’area localizzata più a nord. La magnitudo è simile a quella dell’evento precedente. Il terremoto produce danni gravi nella zona del Matese, ad Isernia, Boiano, Campobasso e nell’intero Molise, con gli effetti più importanti a Frosolone, vicino all’epicentro, e Vinchiaturo, con risentimenti degli effetti che coinvolgono anche alcune aree della Puglia. Nel gennaio 1457, la sequenza sismica si chiude con un terremoto di magnitudo stimata intorno a 6.0 che colpisce l’Abruzzo, in particolare il comprensorio delle Majella e del Gran Sasso. L’epicentro viene localizzato nei pressi di Tocco da Casauria e Caramanico, dove si registrano gli effetti più gravi (fig. 3).
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Figura 3: La diffusione delle intensità macrosismiche stimate nella sequenza sismica del 1456. Si noti la posizione dei tre epicentri (asterischi bianchi), con migrazione da Sud a Nord (da INGV – Sezione Milano-Pavia. Consultabile all’indirizzo internet: www.emidius.mi.ingv.it/DOM/consultazione.html). |
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L’intera sequenza sismica colpisce un’area di circa 18.000 chilometri quadrati, dal Lazio alla Basilicata e dal Tirreno all’Adriatico provocando, nel 6% dell’intero territorio nazionale, danni riconducibili all’VIII grado della scala Mercalli. Il terremoto devasta un’ampia fascia a cavallo dell’Appennino, tra i comprensori allora afferenti al Regno di Napoli e allo Stato della Chiesa, provocando oltre 20mila morti.
Ai fini della ricostruzione macrosismica di questo evento si è rivelata molto importante l’analisi di antichi documenti conservati nelle biblioteche e negli archivi ecclesiastici, tra i quali una sorta di codice coevo ai sismi, redatto da Giannozzo Manetti che, per conto del Re Alfonso d’Aragona, visitò le zone colpite, riportando minuziosamente il quadro dei danni e le vittime. Il testo, De Terraemotu Libri Tres, rappresenta un primo tentativo di catalogo sismico, sia pure con i limiti comprensibili dovuti alla scarsa conoscenza del fenomeno.
Tuttavia, ancora oggi il quadro sismotettonico nel quale si verifica la successione di questi terremoti non risulta del tutto chiaro. Per queste sequenze sismiche si introdurrà in seguito un modello interpretativo nuovo, basato sull’interazione che la variazione del campo di stress di un terremoto produce sulle faglie limitrofe le quali, trovandosi in uno stato critico, possono essere riattivate a breve distanza temporale. Va inoltre considerato che la catena Appenninica è una struttura molto eterogenea e complessa, con diverse strutture tettoniche, le faglie, dislocate e talvolta indipendenti tra loro, che possono però riattivarsi quasi simultaneamente per l’azione della variazione del campo di stress locale o regionale.
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Figura 4: La diffusione delle intensità macrosismiche stimate nella sequenza sismica del 1561 nel Vallo di Diano (da INGV – Sezione Milano-Pavia. Consultabile all’indirizzo internet: www.emidius.mi.ingv.it/DOM/consultazione.html). |
A circa cento anni di distanza, tra la fine di luglio e la fine di agosto del 1561, un’altra importante sequenza sismica si verifica, stavolta più a sud, in un’area compresa tra Campania, Basilicata ed alta Calabria. L’evento è conosciuto come il terremoto del Vallo di Diano, la zona dove avvengono i danni maggiori, un luogo paesaggisticamente splendido, oggi dichiarato dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità. Su questo terremoto tuttavia non si hanno molte notizie, anche se sembra si tratti di una sequenza di due eventi, la cui magnitudo stimata è superiore a 6.0, i quali causano probabilmente un numero di vittime superiore alle 500 unità. I paesi più colpiti sono Tito, Buccino, Polla e Caggiano. Numerosi crolli si segnalano anche a S. Angelo Le Fratte, S. Arsenio, S. Rufo, Calitri, Atena, Picerno, Sala, Balbano, Ruoti ed in città più popolose come Potenza e Avellino. Il sisma viene chiaramente avvertito a Napoli, dove si registrano lesioni in alcune chiese, sulla costa campana, sui Monti Alburni e nel versante meridionale del Vulture (fig. 4). Lo studio di questa sequenza non si rivela semplice, anche perché storicamente il Vallo di Diano sembra avere una sismicità bassa, ed i soli effetti sul costruito non saranno sufficienti ad identificare con certezza l’area epicentrale.
Un quadro sismotettonico così complesso come quello della penisola italiana, e la mancanza di un modello fisico deterministico che ne riproduca i comportamenti, rende assai ardua la comprensione della dinamica delle faglie appenniniche e della loro interazione. Le osservazioni empiriche dimostreranno tuttavia che l’accadimento di un terremoto di energia moderata non può escludere il verificarsi, a breve distanza temporale, di un evento di energia comparabile. Un’osservazione che sollecita valutazioni attente sulla pericolosità sismica e sulla vulnerabilità degli edifici in aree ad alto rischio.
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1) Geologo, ricercatore del GeoResearch Center Italy – GeoBlog (sito internet: www.georcit.blogspot.com; mail: dottgipe@gmail.com).
2) Geofisico dell’Istituto Nazionale Geofisica e Vulcanologia e collaboratore del GeoResearch Center Italy – GeoBlog;
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GeoResearch Center Italy – GeoBlog, 2 (2015), ISSN: 2240-7847.
Riferimenti bibliografici
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Bruno P.P. e al., (2010); The Vallo di Diano Fault System: New Evidence for an Active Range-Boulding Fault in Southern Italy Using Shallow High-Resolution Seismic Profiling. Bullettin of the Seismological Society of America, Vol. 100, No. 2, pp. 882-890
Fracassi U. e al., (2004); La sorgente del terremoto del 1456: nuove ipotesi dal riesame congiunto di dati storici e strutturali. GNGTS
Fracassi U., Valensise G. (2007); Unveiling the Sources of the Catastrophic 1456 Multiple Earthquake: Hints to an Unexplored Tectonic Mechanism in Southern Italy. BSSA
Galli P. e al., (2008); The 1561 Earthquake(s) in Southern Italy: New Insights into a Complex Seismic Sequence. Journal of Earthquake Engineering
Mantovani E. e al., (2011); Sismotettonica dell’Appennino Settentrionale. Implicazioni per la pericolosità sismica della Toscana. Regione Toscana, Centro Stampa Giunta Regione Toscana. Consultabile all’indirizzo internet: http://www.rete.toscana.it/sett/pta/sismica/index.shtmlww.regione.toscana.it
Mantovani E. e al., (2012); Potenzialità sismica della Toscana e definizione di criteri per interventi di prevenzione. Regione Toscana, Centro Stampa Giunta Regione Toscana. Consultabile all’indirizzo internet: http://www.rete.toscana.it/sett/pta/sismica/index.shtmlww.regione.toscana.it
Mantovani E. e al., (2013); Assetto tettonico e potenzialità sismica dell’Appennino Tosco-Emiliano-Romagnolo e Val Padana. Regione Toscana e Regione Emilia-Romagna, Centro Stampa Regione Emilia-Romagna. Consultabile all’indirizzo internet: http://ambiente.regione.emilia-romagna.it/geologia/servizio-geologico-sismico-suoli e http://www.rete.toscana.it/sett/pta/sismica/index.shtmlww.regione.toscana.it
Signorino M., Mauro F. (2006); Disastri naturali – conoscere per prevenire. ISAT