Il grande sisma di Mw 5.6 del Natale 1352 in Alta Valtiberina, al confine tra Toscana e Umbria
“Tra il 25 e il 31 dicembre 1352 grandi e terribili terremoti si abbatterono sul Borgo e vi apportarono tali rovine da superare tutte le guerre e le calamità precedenti. Il disastro avvenne di notte, mentre la città era sommersa nel sonno, e la maggior parte delle case crollò prima che le persone potessero uscire fuori. Vi furono circa duemila morti, senza contare i feriti.
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La Valtiberina è da sempre una delle terre a più alto rischio sismico della Toscana. Se limitiamo l’indagine al territorio corrispondente all’odierna provincia di Arezzo, sette dei dieci terremoti più forti (ed undici tra i primi ventidue) si sono verificati qui, compresi i due più intensi, entrambi con epicentro a Monterchi, il primo nel 1352 ed il secondo nel 1917.
Ed oggi proprio il sisma della notte di Natale del 1352 l’oggetto della nostra analisi. Quello fu un anno particolarmente difficile per la Valtiberina. Si arrivava da un decennio di forte carestia, l’epidemia di peste nera, pur lontana dalle ecatombi provocate nel 1348-50, continuava comunque a colpire e lo avrebbe fatto ancora per almeno un anno, si era in una zona di confine, dove le truppe guidate da Pier Saccone dei Tarlati da Pietramala, supportate da soldati inviati dai Visconti di Milano, si fronteggiavano con gli eserciti perugini e fiorentini.
In questo contesto l’avvicinarsi del Natale poteva apparire come un momento di sollievo. Se infatti batteri e fame non si fermano neppure di fronte alle feste comandate, si pensava che le celebrazioni della Natività avrebbero quantomeno fatto tacere le armi. Ed invece proprio il 25 dicembre si abbatté sulla già provata popolazione una nuova calamità.
La scossa fu devastante, avvertita distintamente, riportano le cronache, in tutto il Centro Italia, fino a Bologna. Buona parte delle case di Sansepolcro rovinò e rimasero uccise circa 500 persone. A Città di Castello quasi tutti gli edifici pubblici furono danneggiati a tal punto da dover essere ricostruiti nei mesi seguenti. Ancora peggio deve essere andata a Citerna e Monterchi, come detto epicentro del sisma, ma qui non ci sono fonti documentali ad attestare la devastazione se non quella sul crollo della Torre d’Elci, che crollò seppellendo ed uccidendo tutta la guarnigione viscontea ivi stanziata. Proprio la forte presenza militare milanese aveva aumentato la popolazione della Valtiberina, facendo ovviamente lievitare in proporzione anche il numero delle vittime. Cadde anche l’antica Abbazia di S. Giovanni di Marzana. In base alla descrizione dei danni riportata dai documenti storici, la scossa è stata classificata dell’VIII grado della scala Mercalli, che un po’ approssimativamente possiamo stimare corrispondere ad una magnitudo di 5,6 sulla scala Richter.
Ricostruzione grafica dell’intensità percepita del sisma del 1352 (scala Mercalli), sulla base delle fonti storiche. I simboli indicano Monterchi (*), Sansepolcro, Città di Castello, Marzana e Elci (rosso), Arezzo (arancio) e Spoleto (celeste)
Nella settimana successiva, si registrarono molte repliche, alcune anche intense, ma nessuna del livello della prima scossa. Ben diverso fu però ciò che avvenne nella notte di Capodanno, quella che segnava il passaggio tra 1352 e 1353. Il terremoto quella notte fu ancora più forte di quello di Natale, 5,8 di magnitudo secondo le stime moderne, IX grado della scala Mercalli. Colpì poi a notte fonda, quando praticamente tutti erano a dormire (all’epoca non esisteva certo l’usanza di festeggiare il nuovo anno fino all’alba). Sansepolcro fu praticamente rasa al suolo, oltre 2000 furono i cadaveri estratti dalle macerie. Ma forse rende meglio l’idea quanto scrive il Graziani nel De Scriptis Invita Minerva (per semplicità utilizziamo la traduzione riassuntiva di don Bruno Giorni): “Tra il 25 e il 31 dicembre 1352 grandi e terribili terremoti si abbatterono sul Borgo e vi apportarono tali rovine da superare tutte le guerre e le calamità precedenti. Il disastro avvenne di notte, mentre la città era sommersa nel sonno, e fu tanto improvviso che la maggior parte delle case crollò prima che le persone potessero uscire fuori. Vi furono circa duemila morti, senza contare i feriti. Giovanni Visconti mandò da Milano trecento muratori con architetti a ricostruire la città“.
Ancora più drammatica la ricostruzione di Mattia Villani nella sua Cronica, che riportiamo fedelmente: “E sollevati i tremuoti alquanti dì, poi adì trentuno di detto mese (Dicembre 1352 – n.d.a.), la notte vegnente la mattina di Calendi Gennajo sul matutino, rinnovellarono maggiori terremuoti. E alla detta Terra del Borgo furono sì terribili, che quasi tutti gli edificj di quella fece rovinare, nel cui scotimento per la notte, e per le rovine d’ogni parte, pochi ne poterono campare, fuggendosi ignudi nelli orti, e nelle piazze della Terra (Sansepolcro, come sempre d’ora in poi – n.d.a.), e quasi la maggior parte de’ terrazzani e de forestieri che v’erano, feciono delle case sepolture a’ lacerati corpi; e molti magagnati e mezzi morti, stettono parecchi dì sanza ajuto sotto le travi e palchi, e altre concavità fatte dalle ruine. E assai ne morirono, che sarebbono campati se havessono havuto (sic) soccorso, le mura della Terra da ogni parte caddono, e di vero grande pietà fu a vedere l’eccidio di cotanti Cristiani, involti in così aspro giudicio della loro morte, che fatto conto più di due mila huomini d’ogni sesso spirarono sotto quelle rovine“.
Poi lo storico fiorentino, dopo aver denunciato i ritardi nei soccorsi, su cui torneremo a breve, lancia un preciso e pesante atto d’accusa: “E non è da lasciare sanza memoria quello che avvenne loro per essere sotto la tirannia: che per paura de’ primi terremuoti, erano usciti dalla Terra e stavano a campo, e sarebbono campati, ma per tema della Terra Messer Piero Sacconi e Vieri da Faggiuola, col Vicario dell’Arcivescovo (Visconti – n.d.a.) vi cavalcarono e per forza costrinsono i terrazzani e i soldati a ritornare nella Terra. Alcuni favoleggiando dissono che questo fu singulare sentenzia di Dio, perochè costoro furono i primi in tutta Toscana che diedero ricetto alla gente del gran Tiranno, Arcivescovo di Milano, in confusione de’ loro circunstanti. E tutte le prede indebitamente tolte a’ loro vicini, comperavano per niente, ingrassando e arricchendo di quelle indebitamente. Non havendo i detti terremuoti fatto alcun danno in Toscana“. Premettiamo subito il seguente fatto: Matteo Villani muore nel 1363. Questa quindi più che una storia è una cronaca ed è la cronaca di un cittadino di una Repubblica, Firenze, in guerra in quegli anni contro i Tarlati ed i Visconti. Anche al netto della propaganda, tuttavia, è probabile che un fondo di verità ci sia in questa ricostruzione, prova ne è anche la citata morte della guarnigione viscontea, rinchiusa nella Torre di Elci durante il terremoto di Natale.
Dicevamo dei ritardi nei soccorsi. Il citato passo del Graziani parla di 300 uomini inviati dal Visconti, che però giunsero solamente diversi giorni dopo, probabilmente al seguito dello stesso Arcivescovo Giovanni, che pare (scrive il Coleschi) si sia recato in visita ai terremotati. I primi a portare aiuto ai biturgensi furono gli anghiaresi, che nonostante la campanilistica rivalità, come scrive il Taglieschi: “E tra i vicini che mostrassino compassione alle miserie dei Borghesi, li primi furono gl’anghiaresi, i quali, senza aspettar ‘ordine dell’arcivescovo, poco appresso andarono con muratori e materiale a riedificare le mura del Borgo e le case che erano rovinate e guaste per li terremoti, che in tutto furono con li forestieri 300 lavoratori“. Ciò fu possibile anche perché sembra che il castello di Anghiari sia stato l’unico della zona a non subire gravi danni, almeno così si desume dall’assenza di riferimenti in tal senso da parte del Taglieschi.
Lo sciame sismico durò ancora per tutto il mese di gennaio, senza però ulteriori repliche di entità significativa. Poi il flagello cessò, come di lì a pochi mesi sarebbe finita anche la guerra (pace di Sarzana del 31 marzo 1353) dando la possibilità alla Valtiberina di ripartire dopo un decennio di calamità e sofferenza.