Risultato storico. Ci sono voluti due anni e sei riunioni per arrivare alla decisione di proteggere questi 2,8 milioni di km quadrati di acque internazionali che si estendono sopra all’Alaska e al territorio russo della Chukotka. Un tempo resa inaccessibile da uno spesso strato di ghiaccio, la regione di mare è diventata negli ultimi anni più facilmente raggiungibile con la fusione del ghiaccio marino nei mesi estivi.
Nelle estati più recenti, il 40% di questo territorio risultava formato da acque aperte: ecco perché stava costituendo sempre di più un’area di interesse per la pesca. Ma l’Oceano Artico è anche il luogo che più di tutti sta risentendo degli effetti del global warming, e di cui si conoscono meno le specie ittiche. Una volta tanto, la politica si è mossa in anticipo e non a danno già fatto.
L’accordo ha coinvolto Paesi che si affacciano sull’Artico – Stati Uniti, Russia, Canada, Danimarca (in rappresentanza della Groenlandia), Norvegia – sia nazioni interessate alla pesca nell’area: Cina, Giappone, Corea del Sud, Islanda ed Unione Europea. Dopo i primi 16 anni sarà rinnovato automaticamente ogni 5 anni, a meno che uno degli stati firmatari non ponga obiezioni.
Al momento ci sono poche conoscenze sulle specie che popolano questo mare e su quelle che stanno migrando nell’area complice il riscaldamento delle acque più a sud. I raggi solari che sempre più facilmente filtrano nel ghiaccio in fusione stanno alimentando il plancton che a sua volta nutre i merluzzi, prede di foche, trichechi e altri mammiferi marini e non. Un periodo prolungato di protezione darà modo agli scienziati di conoscere meglio queste acque e i loro segreti.