La scienza smonta la leggenda dello Yeti: era un orso Himalayano
L’analisi genetica di alcuni reperti tradizionalmente attribuiti allo yeti hanno rivelato che in realtà appartengono a due specie di orsi. Una di esse è l’orso dell’Himalaya, un animale molto raro e difficile da osservare, il cui percorso evolutivo è risultato nettamente separato da quello di tutti gli altri orsi del mondo
www.lescienze.it
Lo yeti, il mitico “abominevole uomo delle nevi” che infesta Everest e dintorni, esiste: ma non è un uomo, bensì il raro e sfuggente orso bruno dell’Himalaya (Ursus arctos isabellinus).
A stabilirlo è stato uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Buffalo, negli Stati Uniti, della Nanyang Technological University a Singapore e di altri centri, che hanno analizzato il DNA ricavato da campioni del presunto yeti provenienti da musei, monasteri e collezioni private.
Oltre a chiarire le origini di questa leggenda himalayana, lo studio – pubblicato sui “Proceedings of the Royal Society B” – ha permesso di ottenere informazioni sulla storia evolutiva degli orsi asiatici.

Maschera di yeti in un mercato di Katmandu (Wonderlane/Wikimedia Commons)
Charlotte Lindqvist e colleghi hanno analizzato nove reperti, tra cui ossa, denti, pelle, peli e campioni fecali, raccolti nell’Himalaya e nell’altopiano tibetano e tradizionalmente attribuiti allo yeti. Uno di questi si è rivelato appartenere da un cane, mentre gli altri otto provenivano da orsi neri asiatici, orsi bruni tibetani e orsi bruni dell’Himalaya. Quest’ultimo, in particolare, difficilissimo da osservare e ormai in via di estinzione, era già stato sospettato di essere all’origine della leggenda dello yeti.
Per operare i confronti genetici i ricercatori hanno anche analizzato il genoma mitocondriale raccolto da 23 orsi asiatici, e sfruttato le banche dati con i genomi degli orsi delle altre parti del mondo. Da questa analisi è risultato che, mentre gli orsi bruni tibetani hanno una stretta parentela con gli orsi nordamericani ed eurasiatici, gli orsi bruni dell’Himalaya appartengono a un lignaggio nettamente distinto, separatosi dagli altri circa 650.000 anni fa, durante un periodo di glaciazione.

2 commenti
Pensare di “smentire” le leggende utilizzando il metodo scientifico è una stupidaggine metodologica, oltre ad essere un esercizio intellettuale del tutto sterile. Ci sono moltissime ragioni per considerare del tutto inverosimile l’esistenza dello Yeti, a partire da quelle di tipo ecologico… le ricerche genetiche condotte sui campioni dimostravano una cosa già nota, ossia che i campioni conservati in quei monasteri erano spuri… cosa che era già nota da tempo… ma la conclusione più interessante è quella riguardante il nono campione, i famosi denti… bisognava fare l’analisi del DNA mitocondriale per provare che erano denti di un cane? L’analisi del DNA mitocondriale per dimostrare una cosa che non solo era già nota, ma che poteva essere tranquillamente stabilita da un veterinario? Un’ultima annotazione sul bunyip e sul “Tempo dei sogni”: dopo aver dimostrato che non ci sono prove dell’esistenda del bunyip, qualcuno cercherà di provare, magari analizzando i sedimenti del Lago Eyre, che il “Tempo dei sogni” non è mai esistito? Vi do una notizia in anteprima: è probabile che neppure Seth e Anubi siano mai esistiti e che Cthulhu e Nyarlathotep siano solo parti della fantasia di Lovecraft…
posso essere d’accordo sulla sua soggettività nell’approccio, ma quando ai tempi di internet 3.0, si continua ancora a credere alle scie chimiche e a Nibiru, un approccio scientifico purtroppo serve perchè ormai, ciò che attesta la veridicità di una notizia, sia solo il Kondividi se sei dakkordo. La scienza non è democrazia e questa va trasmesso a chi pensa che, alzandosi dall’altra parte del letto perchè incazzato con il mondo, venga l’idea e la convinzione che la Terra sia piatta