E’ importante, anche se in maniera postuma, ritracciare brevemente alcuni aspetti sismologici dell’evento, in considerazione del fatto che più volte esso è stato richiamato a paragone del terremoto del 6 aprile 2009.
La distribuzione del danno, le indicazioni geologiche e la storia del periodo sismico relative all’evento del 2 febbraio 1703 evidenziano molte differenze col più recente sisma aquilano.
Distribuzione degli effetti di danneggiamento dal VII MCS in su per i terremoti del 14 gennaio 1703 (cerchietti rossi), del 2 febbraio 1703 (cerchietti gialli) e del 6 aprile 2009 (cerchietti verdi).
Per quanto riguarda il primo punto, la distribuzione delle intensità del 2 febbraio 1703 (cerchietti gialli) desunta dal database DBMI11 (http://emidius.mi.ingv.it/DBMI11/query_eq/) evidenzia forti danneggiamenti a nord di L’Aquila, e in particolare ad Arischia, Pizzoli e Barete cui è stata attribuita l’intensità X della scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS). Il danneggiamento del terremoto del 2009 (cerchietti verdi) invece presenta i più forti risentimenti da L’Aquila verso sud. Tali differenze non sono casuali, ma legate al fatto che i due eventi risultano dall’attivazione di faglie diverse. Più lunga e localizzata in buona parte a nord di L’Aquila è la faglia che ha generato il terremoto del 1703, più corta e posizionata a sud di L’Aquila quella che ha causato il terremoto del 2009.
Da notare anche che dall’analisi dell’intensità massima legata al terremoto del 1703 si deduce che l’energia rilasciata è superiore a quella del terremoto del 2009. Confrontando, infatti, le magnitudo Mw attribuite, 6.7 al 1703 e 6.2 al 2009, si evince che il terremoto 1703 ha rilasciato un’energia più di 5 volte maggiore di quella del terremoto del 2009.
Le indagini geologiche condotte sulla faglia del terremoto del 1703 hanno evidenziato che il tempo di ricorrenza per eventi di simile magnitudo, originati dalla medesima faglia, è verosimilmente superiore al millennio. Le stratigrafie archeologiche suggeriscono che il grande evento precedente al 1703 possa essere avvenuto nel IV o nel V secolo d.C. Ecco perché sembra oggi poco probabile la prossima occorrenza di un terremoto analogo a quello del 1703, cioè di un terremoto di pari magnitudo legato all’attivazione della medesima sorgente sismogenetica che generò quell’evento.
Anche la sequenza sismica in cui si inquadra il terremoto del 2 febbraio 1703 è diversa da quella del 2009. La storia in effetti ci dice che nel 1703 in pochi giorni avvennero più terremoti distruttivi, a cominciare dal 14 gennaio, quando un fortissimo terremoto, con magnitudo Mw 6.7, interessò l’Umbria meridionale, il Lazio e la parte più settentrionale dell’Abruzzo, distruggendo Cittareale (XI MCS) e Norcia (X MCS), per finire con il terremoto del 2 febbraio che colpì L’Aquila (IX MCS).
Nel complesso, la sequenza sismica del 1703 si è evoluta nello spazio da nord verso sud e nell’ambito di qualche giorno si sono verificati più eventi sismici di elevata magnitudo che hanno interessato aree diverse perché prodotti da faglie diverse. Questa modalità di rilascio dell’energia sismica è stata osservata altre volte nell’Italia peninsulare, ad esempio nel 1997 in Umbria-Marche (il 26 settembre e il 14 ottobre), nel 2002 in Molise, nel 1456 in Appennino meridionale e nel 1783 in Calabria. Nel 2009, invece, la sequenza sismica precedente all’evento principale era caratterizzata da terremoti di bassa magnitudo, localizzati in un’area piuttosto ristretta e vicina alla zona dove si è poi verificata la scossa del 6 aprile.
L’evoluzione della sequenza sismica del 1703 non mostra quindi un comportamento “tipico” che avrebbe dovuto far ipotizzare l’evoluzione della sequenza del 2009.
Riconsiderando quindi dopo 314 anni le caratteristiche del terremoto aquilano del 1703, si può concludere che si è trattato di un evento sismico distruttivo non paragonabile in nulla a quello del 2009.
Forse, a ben guardare, in altre questioni dovrebbero essere cercati punti che accomunino questi due terremoti. In effetti, la rilettura della storia fa emergere che anche trecento anni fa la discussione tipica del dopo-terremoto sulla possibilità di prevedere i terremoti fu ricorrente. Al proposito basta leggere Anton Ludovico Antinori, il grande storico aquilano del Settecento: “Niuno però presagì prima dell’avvenimento quello, che dopo l’avvenimento di poter naturalmente presagire dicevano quasi tutti”.
Fabrizio Galadini, Daniela Pantosti