“Si prospetta proprio una bella giornata!” dice, tra sé e sé, il meteorologo, comodamente seduto nella sua postazione con vista sulla spiaggia della tranquilla isoletta caraibica e confortato, nell’ottimistica previsione, da un cielo terso e limpido, oltre che dalla lancetta del barometro in lenta ascesa. Ma poi, dopo aver dato uno sguardo all’immagine del satellite geostazionario GOES – il fratello americano dell’europeo Meteosat – sobbalza sulla sedia.
Eh già, perché 1500 chilometri più a est l’occhio infallibile del GOES ha visto, in rapido avvicinamento, un ammasso nuvoloso a forma di spirale, la tipica minacciosa figura di un uragano, anche se, a così grandi distanze, il violento vortice nuvoloso non è ancora riuscito a disturbare il tempo del luogo.
Ma il giorno dopo, la parte centrale del ciclone si è avvicinata a non più di 700 chilometri di distanza, ed ecco allora comparire sulla verticale dell’isoletta l’avanguardia della tempesta sotto forma di timidi cirri, nuvole sfilacciate e innocue, ma che stanno a testimoniare l’arrivo di aria molto umida negli strati più alti dell’atmosfera.
Al meteorologo non sfugge nemmeno che le varie direzioni di provenienza delle sottili nubi convergono tutte verso il punto da cui sta arrivando la tempesta, un effetto spettacolare se osservato al tramonto o all’alba.
Contemporaneamente il barometro ha iniziato a puntare verso il basso, un altro inquietante sintomo del precipitare della situazione. All’inizio il calo è piuttosto lento, tanto che, se non ci fosse stata l’immagine eloquente del satellite, il meteorologo l’avrebbe scambiata per il tipico ciclo giornaliero della pressione con due massimi e due minimi nell’arco delle 24 ore.
Al persistere della discesa del barometro, i cirri divengono sempre più confusi e ammassati, progressivamente sostituiti da un velo omogeneo di cirrostrati, nubi dello stesso tipo dei cirri ma con una velatura omogenea e totale del cielo.
This NOAA satellite image taken on Monday, Aug. 29, 2005, at 2:02 p.m EDT, shows Hurricane Katrina, now a Category 2 storm. (AP Photo/NOAA)
Poi, al di sotto della sottile e impalpabile coltre nuvolosa, cominciano a comparire anche gli altostrati (nubi orizzontali che si sviluppano a quote intermedie nella media atmosfera e che indicano la presenza di uno strato d’aria ad alto contenuto di umidità) e gli stratocumuli (nubi dall’aspetto frastagliato alla sommità ma con una base molto netta ed appiattita, collocate solitamente tra i 2000 e i 6000 metri di altezza).
Quando l’uragano dista non più di 100-200 chilometri le nuvole diventano via via più dense, mentre l’atmosfera mostra i primi segni d’irrequietezza. Ecco difatti comparire una prima pioggerellina, sostituita di tanto in tanto da violenti scrosci d’acqua. Con il graduale intensificarsi delle piogge, aumenta anche la forza dei venti, che raggiungono in questa prima fase intensità di 20-40 nodi.
Quando il centro del temibile vortice si trova a non più di 50-80 chilometri, alla vista del meteorologo appare, all’orizzonte, il nocciolo duro della tempesta, una muraglia scura di enormi, maestosi cumulonembi, ammassi nuvolosi alti 2-3 volte l’Everest, larghi 20-30 chilometri e ognuno contenente milioni di tonnellate d’acqua.
Di quando in quando alcune enormi frange nuvolose ben visibili anche dal satellite si staccano dal corpo nuvoloso principale per essere poi trascinate a spasso per il cielo, seminando lungo il percorso rovesci di pioggia e forti raffiche di vento.
Ormai però, il nucleo della tempesta incombe, e anche la pressione comincia a precipitare, mentre i venti raggiungono rapidamente intensità preoccupanti. Anche il numero e l’intensità dei cumulonembi e dei rovesci di pioggia cresce molto velocemente, e il moto ondoso tocca in breve il grado di burrasca. La cima delle enormi onde si mescola con la pioggia saturando l’aria di acqua, e rendendo difficilmente visibili anche gli oggetti che si trovano a poca distanza.
This NOAA satellite image taken on Monday, Aug. 29, 2005, at 2:02 p.m EDT, shows Hurricane Katrina, now a Category 2 storm. (AP Photo/NOAA)
Nel momento in cui l’occhio del ciclone – questo è il nome della parte centrale dell’uragano – giunge sulla verticale dell’isola, come d’incanto i venti tutto intorno si afflosciano improvvisamente, trasformandosi in una irrequieta brezza; nello stesso tempo le piogge cessano e il cielo si apre quel tanto che basta da permettere a sprazzi la vista del sole. La visibilità torna ad essere apprezzabile, mentre le onde, ancora imponenti, arrivano confusamente da tutte le direzioni. È questo il momento in cui il barometro tocca il minimo di pressione.
Forse finalmente la quiete dopo la tempesta? Purtroppo no! Il meteorologo non si fa illusioni, sa che di lì a poco le danze riprenderanno come prima. Appena sull’isoletta piomba il lato opposto del muro di nubi che circondano l’occhio, tutta la furia dei venti e delle piogge torna velocemente a manifestarsi. Benché ora i venti soffino nella direzione opposta, una ad una vengono ripercorse all’inverso tutte le fasi precedenti, fino al ritorno a condizioni di “quiete dopo la tempesta”.