Sperimentata una nuova terapia antidiabetica che protegge anche le ossa
Un farmaco in grado di invertire il diabete e l’obesità nei topi presenta un vantaggio inaspettato: quello di rafforzarne le ossa.
di Laura Mosca
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Gli esperimenti condotti con un composto chiamato TNP (2,4,6-trinitrofenolo, noto anche come acido picrico), che i ricercatori spesso utilizzano per studiare l’obesità e il diabete, mostrano che nei topi la terapia può promuovere la formazione di nuove ossa. Ciò è sorprendentemente in contrasto con molti farmaci ampiamente in uso per combattere il diabete che al contrario indeboliscono le ossa dei pazienti. Se TNP dimostrasse effetti simili anche negli esseri umani, potrebbe essere somministrato persino per stimolare la crescita ossea in seguito a fratture o per prevenire la perdita di tessuto osseo dovuta all’invecchiamento o al disuso.
Il diabete è una malattia molto diffusa ma sempre più pazienti sono in grado di gestirla con successo attraverso la somministrazione di farmaci che aumentano la loro sensibilità all’insulina. Medici e ricercatori hanno però osservato un preoccupante effetto avverso: queste terapie sembrano diminuire l’attività degli osteoblasti, le cellule che producono le ossa, predisponendo i pazienti a fratture e osteoporosi. Quest’ultima affligge quasi 200 milioni di persone in tutto il mondo, con o senza diabete, e purtroppo non vi è una cura definitiva ma è necessario adottare corretti stili di vita a livello di prevenzione e seguire un percorso terapeutico in seguito al manifestarsi di fratture allo scopo di ridurne l’incidenza. Questo è il motivo principale che spinge gli studiosi a ricercare nuove molecole capaci di promuovere la formazione dell’osso.
Sean Morrison, ricercatore di cellule staminali presso l’Università del Texas Sud-occidentale di Dallas e i suoi colleghi hanno dimostrato che una dieta ad alto contenuto di grassi causa lo sviluppo di ossa che contengono più grassi e meno ossa nei topi. Il regime alimentare osservato negli esperimenti ha aumentato nel midollo osseo i livelli di leptina, un ormone prodotto dalle cellule adipose che ha la funzione di indicare la sazietà al cervello. Ciò ha promosso lo sviluppo di cellule adipose anziché di cellule ossee, suggerendo che l’alimentazione possa avere un effetto diretto sull’equilibrio dell’osso e del grasso nel midollo osseo.
Dopo aver letto il lavoro di Morrison, Siddaraju Boregowda, ricercatore di cellule staminali presso l’Istituto di Ricerca Scripps di Jupiter, Florida, si ricordò di topi geneticamente modificati che, anche quando si nutrono attraverso diete ad alto contenuto di grassi, non aumentano il grasso corporeo né sviluppano il diabete. Lui e il suo capo, il ricercatore di cellule staminali Donald Phinney, si sono chiesti se questi topi erano anche protetti dall’aumento dell’adipe nel midollo osseo che accompagna una dieta ad alto contenuto di grassi.
I due ricercatori contattarono allora Anutosh Chakraborty, un biologo molecolare che stava studiando tali topi presso la stessa Università di Scripps. Gli animali in questione non hanno il gene che codifica per l’enzima inositolo esacisfosfato chinasi 1 (IP6K1) che svolgere un ruolo nell’accumulo di grassi e nella sensibilità all’insulina. Gli scienziati hanno presupposto che questo enzima potrebbe influenzare le cellule staminali mesenchimali (MSC) che sono la fonte predominante di tessuto osseo e adiposo nel midollo osseo adulto e giocano un ruolo critico nell’omeostasi dello scheletro. Un’alterazione a livello del midollo osseo in favore dell’adipogenesi rispetto all’osteogenesi porta ad una involuzione del tessuto ed al progressivo indebolimento dell’osso.
In un recente articolo pubblicato sulla rivista scientifica Stem Cells, i ricercatori hanno dimostrato che, nutrendo topi normali e topi geneticamente modificati con una dieta ad alto contenuto di grassi per 8 settimane, non solo i topi alterati geneticamente sviluppano meno cellule adipose, ma la loro produzione di cellule ossee è addirittura superiore rispetto a quella dei topi normali. Gli scienziati hanno poi indagato la possibilità di somministrare un farmaco per ottenere lo stesso effetto nei topi normali. Hanno perciò ripetuto l’esperimento alimentando i topi normali con una dieta ad alto contenuto di grassi per 8 settimane e somministrando loro nel contempo dosi giornaliere di TNP, un noto inibitore IP6K1, o un placebo.
L’analisi delle ossa e del midollo osseo degli animali ha evidenziato che i topi che avevano ricevuto TNP avevano significativamente più cellule ossee, meno cellule adipose ed una maggiore area ossea complessiva. L’inibitore di IP6K1 ha perciò apparentemente protetto i topi dagli effetti dannosi della dieta ad alto contenuto di grassi.
I ricercatori devono ancora capire come far sì che gli effetti di TNP siano localizzati esclusivamente alle cellule MSC anziché a tutto il corpo poiché il farmaco è in grado di bloccare altri enzimi oltre a IP6K1. Resta il fatto che l’inibizione di IP6K1 è un obiettivo promettente per i pazienti con diabete e obesità. Lo stesso farmaco sta per essere testato in una vasta gamma di malattie e disturbi legati all’osso e potrebbe persino aiutare a guarire le ossa rotte. Ci si chiede infine se questa stessa terapia possa essere applicata anche per i viaggi spaziali, poiché le ossa sono particolarmente vulnerabili al deterioramento in assenza di gravità.