La nube di Oort: il vasto e remoto deposito di ghiaccio e roccia da cui provengono tutte le comete. Crediti: The Daily Galaxy
La nube di Oort: un enorme e ghiacciato cimitero di detriti risalenti alla composizione del nostro sistema solare che lo avvolge – tra le 1000 e le 10mila unità astronomiche – e ne segna il confine estremo con il gelido e buio spazio interstellare. È da questa barriera di ghiacci che proviene C/2017 K2 Panstarrs (K2 per gli amici), una cometa da record fotografata a giugno scorso dall’Hubble Space Telescope. Risvegliata dal suo frigido torpore nella nube di Oort da qualche anomalia gravitazionale, K2 ha ora assunto un’orbita che la porterà in prossimità del Sole, appena oltre l’orbita di Marte: un viaggio lungo quasi 2 miliardi e mezzo di chilometri.
Perché da record? K2 è la cometa attiva più lontana dal Sole mai osservata: ancora oltre l’orbita di Saturno, K2 già possiede una chioma circolare ben visibile, che si estende per più di un centinaio di migliaia di chilometri attorno a un nucleo di ghiaccio relativamente piccolo: poco più di 3 chilometri di diametro. Ancora troppo lontana dal Sole per ricevere il calore sufficiente a far evaporare il ghiaccio che la compone – K2 ha una temperatura di 262 gradi sotto zero – questa chioma è dovuta ad altri meccanismi fisici. «Pensiamo che l’attività osservata sia dovuta alla sublimazione di composti super-volatili, che avviene ora che K2 sta entrando per la prima volta nella regione planetaria del Sistema solare», dice David Jewitt dell’Università della California a Los Angeles, primo autore dello studio che ha annunciato questa scoperta (pubblicato ieri su The Astrophysical Journal Letters). «La cometa è così lontana, e così incredibilmente fredda, che il ghiaccio che la compone è solido come una roccia».
Sono dunque elementi volatili come ossigeno, azoto, monossido e diossido di carbonio che, esposti alla fioca radiazione solare che già colpisce la cometa (appena 1/225esimo della luce che riceviamo sulla Terra), si distaccano dagli strati più esterni di K2, sotto forma di una nube di gas e particelle di polvere. Queste particelle sono ancora troppo “grandi” (attorno ai 0.1mm) perché i venti solari riescano a spingerle indietro, e dunque K2 è, per ora, una cometa senza coda.
C/2017 K2 Panstarrs vista da Hst. Crediti: Nasa, Esa e D. Jewitt (Ucla)
«Penso che questi elementi», continua Jewitt, «siano presenti in tutta K2, e all’inizio – miliardi di anni fa – erano probabilmente presenti in tutte le comete che oggi compongono la nube di Oort. Questi elementi sulla sua superficie stanno assorbendo il calore del Sole, e la cometa sta, per cosi dire, cambiando pelle. La maggior parte di queste comete vengono scoperte quando sono già vicine al sole, oltre l’orbita di Giove, e dunque quando le vediamo hanno già perso tutti questi elementi volatili sulla superficie. È per questo che ritengo che K2 sia la cometa più primitiva che abbiamo mai visto».
Nei prossimi cinque anni – tanto impiegherà K2 per raggiungere l’orbita di Marte – gli astronomi avranno molte occasioni di studiare meglio questo affascinante oggetto, che potrebbe diventare un obiettivo interessante per gli strumenti a infrarossi montati nuovo James Webb Space Telescope (che verrà lanciato nel 2018), capaci di misurarne con esattezza la temperatura interna.
«Saremo in grado di seguire, per la prima volta, lo sviluppo dell’attività di una cometa che proviene dalla nube di Oort lungo quasi tutto il suo cammino», conclude Jewitt, «e K2 diventerà sempre più attiva mano a mano che si avvicina al Sole: probabilmente si formerà anche una coda». Finalmente, dunque, anche K2 avrà la sua coda: ma non per molto, dato che dopo questa breve visita ai pianeti interni essa ritornerà poi sui suoi passi, ricominciando il suo lungo viaggio verso il freddo siderale da cui proviene.