Abbattere i lupi fa aumentare gli attacchi al bestiame. Si disgrega il branco

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Abbattere i lupi fa aumentare gli attacchi al bestiame. Si disgrega il branco

Dossier Eurach Research smentisce l’allarme dei presidenti delle Province di Bolzano e Trento
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Il 4 ottobre i presidenti delle province autonome di Bolzano, Arno Kompatscher, e Trento, Ugo Rossi, e i parlamentari altoatesini della Südtiroler Volkspartei Karl Zeller e Daniel Alfreider hanno incontrato a Roma, il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni per chiedere «una gestione equilibrata della presenza del lupo nell’arco alpino» che, tradotto, significa aprire agli abbattimenti. Sono fioccate le critiche e sono venuti fuori aspetti imbarazzanti che mettono in dubbio l’efficienza austroungarica trentino-tirolese.

Probabilmente  Kompatscher e Rossi prima di andare a Roma avrebbero fatto bene a leggere il dossier “Il lupo in Alto Adige” di Eurach Research, un’istituzione scientifica che ha sede a Bolzano e che ha un bilancio di 29,8 milioni Euro,, con il 61% del finanziamento di base proveniente proprio della Provincia Autonoma di Bolzano e il 39% da fondi esterni.

Infatti, nel dossier redatto da Filippo Favilli, geografo fisico esperto di management della fauna selvatica, ricercatore dell’Istituto per lo sviluppo regionale di ​ Eurach Research, si legge che «Dopo oltre un secolo di assenza, da qualche anno i lupi sono tornati a disseminare tracce della loro presenza in Alto Adige. Si contano sulle dita di una mano. Anzi, non si contano proprio: poiché si avvistano saltuariamente e non sono stanziali, ancora non esiste un censimento ufficiale. Eppure, la loro presenza solleva molte preoccupazioni e per prepararsi non è mai presto».

In Alto Adige l’ultimo esemplare di lupo era stato abbattuto nel 1896 in val di Funes, ma, da qualche anno i lupi sono tornati. All’inizio di febbraio: «in val Badia una foto trappola ha immortalato due esemplari. Altre tracce sono state rilevate a Dobbiaco. L’Ufficio caccia e pesca della Provincia autonoma di Bolzano registra queste segnalazioni nel suo rapporto annuale sulla fauna selvatica, ma al momento non è possibile, data la sporadica presenza, avere una stima del numero di lupi in Alto Adige. Si tratterebbe di individui di passaggio – si legge nel Dossier – Abbiamo invece dati per il vicino Trentino. Lì la Provincia svolge un monitoraggio mirato, che include anche analisi genetiche, dal 2010. Ogni anno viene pubblicato un rapporto dettagliato: nel 2016 si contavano in tutto circa 15 esemplari». Quindi l’allarme di due presidenti di province autonome e dei parlamentari della Südtiroler Volkspartei si baserebbe sulla presenza di una ventina di lupi in un territorio vastissimo.

Il lupi in Alto Dige arrivano da sud (Trentino e Veneto) e da est (Slovenia) e Favilli dice che «Dovrebbero essere più legati alla specie europea Canis lupus, diffusa sulle Alpi orientali, ma nessuna analisi genetica di popolazione è stata fatta sugli esemplari avvistati in provincia di Bolzano. Dalla Calabria alle Alpi Occidentali, con tendenza a spostarsi verso le Alpi Centrali e Orientali, è invece diffusa la sottospecie Canis lupus italicus». Nonostante che anche in Trentino-Alto Adige circolino le balle sull’introduzione dei lupi – magri paracadutati – con costosissimi progetti europei «I lupi hanno ritrovato da soli la propria strada – si legge nel Dossier – Nessun intervento umano si è reso necessario come invece fatto con l’orso bruno. Le principali ragioni che hanno favorito e favoriscono la ricolonizzazione del territorio: Una quota tra il 7 e il 20 per cento della popolazione lupina non vive in branco e non occupa un territorio stabile. Questi lupi cercano nuovi territori per vivere, allontanandosi per questo fino a 500 km dalla loro zona di origine. I lupi si adattano facilmente alle diverse condizioni ambientali. Il lupo è un cacciatore e un carnivoro puro con un fabbisogno di circa due chilogrammi di cibo al giorno. Predilige gli animali selvatici, cervi, caprioli, camosci, mufloni e cinghiali. In caso di necessità si adatta al cibo disponibile, tra cui il bestiame domestico di media taglia, pecore e capre, soprattutto se non opportunamente custodito. I lupi hanno approfittato, così come i cinghiali e i cervi, dello spopolamento delle aree rurali iniziato dopo la seconda guerra mondiale e tutt’ora in corso. Nel 1971 e nel 1976, tramite decreti ministeriali, i lupi italiani sono stati rimossi dalla lista delle “specie nocive”».


Dopo ver smentito per l’ennesima volta la favola nera del lupo che aggredisce l’uomo, il dossier fa notare che «Tuttavia, il ritorno spontaneo dei lupi e le sue necessità ecologiche, combinate alla perdita di abitudine alla convivenza con questo animale da parte dell’uomo, ha generato conflitti con alcune attività economiche di montagna, specialmente agricoltura, pastorizia e allevamento». Ma in Alto Adige non esiste l’emergenza prospettata a  Gentiloni da Kompatscher: nel 2016 sono state presentate 225 domande di risarcimento per danni provocati dalla fauna selvatica: per circa 67mila euro e « Solo 11 domande, nemmeno il 5%, hanno riguardato i grandi predatori (orso e lupo). In totale, nel 2016 i danni provocati dal lupo sono stati quantificati in poco meno di 3.000 euro, a rimborso di 17 pecore e 1 capra uccise».

Favilli ricorda che «Il  progetto europeo IbriWolf parla di circa 700.000 cani randagi presenti in Italia, a fronte di circa 2000 lupi. A causa di questi numeri, il Canis lupus rischia di perdere la sua identità genetica, di estinguersi come specie autonoma, diluendosi nella massa dei cani vaganti. Ma il rischio non è solo la perdita della biodiversità. Gli ibridi cane-lupo mostrano una maggiore confidenza con gli umani e le loro attività, diventando potenzialmente molto dannosi e pericolosi. L’ibridazione cane-lupo è un fenomeno di cui si parla poco, ma che costituisce un grave pericolo per la convivenza di questi predatori con l’uomo». Inoltre, «I danni provocati dal lupo, benché inferiori per numero ed entità rispetto a quelli di altri animali, tendono a concentrarsi localmente e ad aumentare rapidamente in assenza di efficaci misure di prevenzione. In alcuni casi le perdite sono insostenibili per i singoli allevatori o per le comunità locali». A questo si aggiunge che il ritorno del lupo «ha risvegliato negli esseri umani paure ataviche solo apparentemente superate. Basti pensare alle favole. Negli ultimi anni, la stampa ha spesso cavalcato con sensazionalismo queste paure. Molti quotidiani locali e nazionali utilizzano frequentemente la parola “minaccia” o “attacco” riferendosi al lupo: “Quando il lupo diventa una minaccia” (Le Iene, trasmissione TV); “Al lupo! Al lupo!” (Striscia la Notizia, trasmissione TV); “Provincia: se il lupo è pericoloso” (L’Adige); “Lupi all’attacco” (L’Arena); “Lupi: cacciatori pronti a sparare” (Alto Adige)».

Dopo aver preso in esame la legislazione italiana ed europea sul lupo, il dossier di Eurach Research passa ad analizzare la posizione della politica locale sudtirolese: «Recentemente, l’amministrazione provinciale ha annunciato di non voler più partecipare ai lavori dei progetti europei Ursus e WolfAlps, dichiarando che i recenti avvenimenti predatori da parte del lupo, che hanno portato per esempio al ritiro di circa 400 pecore da parte degli allevatori dell’Alpe di Siusi nell’agosto del 2017, non possono più essere tollerati da allevatori e agricoltori. La Provincia ha anche annunciato di voler chiedere al ministero per l’ambiente una delega per poter intervenire in caso di necessità con prelievi – cioè catture o abbattimenti – mirati. Tuttavia, in materia di fauna selvatica la competenza è statale e lo spazio di manovra della Provincia è ad ora assai ridotto. Le principali associazioni di categoria, come l’Unione agricoltori e coltivatori diretti Sudtirolesi (Südtiroler Bauernbund) e l’Associazione Cacciatori si sono espresse in maniera congiunta contro la presenza dei lupi in Provincia di Bolzano. I lupi sono ritenuti da queste associazioni dannosi per le attività agropastorali, per il turismo legato alle malghe e per l’incolumità degli esseri umani. Le associazioni ambientaliste come Legambiente, Lipu e WWF contestano le prese di posizione della Provincia». E trovano il sostegno degli  scienziati. Il dossier rende conto dello studio “Predator control should not be a shot in the dark”, pubblicato nel 2016 da un team internazionale di ricercatori su Frontiers in Ecology and the Environment, che «dimostra che laddove si sia ricorsi a metodi letali, solo nel 29% dei casi esaminati gli attacchi al bestiame sono diminuiti e solo temporaneamente. Nel 43% dei casi, gli studiosi hanno notato invece un aumento di aggressioni ai danni di animali domestici. Tale fenomeno dovrebbe imputarsi alla disgregazione del branco dovuto alla rimozione degli esemplari alfa. Per contro, l’impiego di metodi non letali, come la protezione delle greggi durante la notte, l’utilizzo di reti e di cani da pastore, il posizionamento di esche per tenere lontani i predatori e la sterilizzazione, ha contenuto di oltre l’80 per cento gli attacchi dei lupi».

Favili invita ad attenersi ai fatti, ai dati e a quel che dice la scienza: «Se è vero che al momento i lupi sono solo transitori in Alto Adige, è anche vero che la loro avanzata viene considerata dagli esperti inarrestabile. Nell’ottica di una potenziale maggior presenza futura dei lupi, possiamo immaginare varie opzioni. Uomini e lupi condividono lo stesso territorio da millenni e da millenni il lupo ha suscitato negli umani profondi sentimenti di ammirazione, di paura e di competizione. Ogni volta che uomini e lupi si trovano a confronto, la storia si ripete. L’essere umano si sente minacciato non solo dalla presenza effettiva del lupo e dalle remote possibilità di poterlo incontrare in natura, ma soprattutto dalla paura di essere limitato nel suo utilizzo dello spazio. Il lupo è una delle specie animali che al meglio rappresenta la nostra idea di libertà e assenza di controllo, ma anche di paura, ferocia e misticismo. Tuttavia, nel periodo storico attuale, non c’è più alcun confronto da fare e nessuna competizione da temere. Gli esseri umani hanno costruito la propria società non integrandosi nell’ambiente naturale, ma utilizzandolo per i propri interessi sociali ed economici. In un periodo di forte globalizzazione, di perdita di identità e di sfide ambientali, il lupo rappresenta quel cambiamento inatteso che può far paura all’inizio, ma che se affrontato con coraggio, supportati da dati s​cientifici e da un approccio partecipativo e onesto, può comportare notevoli benefici».

Il Dossier conclude che «Il lupo può rappresentare un’opportunità per tutti, e non solo una minaccia per qualcuno. La sfida di oggi consiste nel capire se il modello gestionale futuro del territorio altoatesino debba ispirarsi alla scelta inclusiva “et-et” (convivenza possibile uomo-predatore) o a quella esclusiva “aut-aut” (o l’uomo o il predatore), valutando, insieme, opportunità, costi e benefici che ne deriverebbero. Così come il lupo è quasi “odiato” dalle comunità rurali, così è “iper-protetto” e osannato da chi vive nelle città. Due punti di vista diametralmente opposti. La verità, come spesso accade, potrebbe stare nel mezzo».

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