Perchè in tanti credono alle bufale e ai complotti? Forse è meglio non divulgarle perchè si potrebbe fare il male peggiore

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Perchè in tanti credono alle bufale e ai complotti? Forse è meglio non divulgarle perchè si potrebbe fare il male peggiore

Le ragioni antiche che decretano la fortuna dell’anti-scienza, e come fare a dialogare con chi proprio sembra non voler sentire.
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Capita regolarmente nelle conversazioni virtuali e reali, di imbattersi in teorie della cospirazione sostenute da perfetti insospettabili: come mai, in un mondo in cui scienza e informazioni sono a portata di clic, bufale e complottismi godono di così grande fortuna?

Il tema sempre più attuale e politicamente di peso è affrontato in un articolo su The Conversation che elenca sia i motivi della diffusione delle fake news, sia i consigli per dialogare in modo produttivo con ci crede.

Lo vedete anche voi, un uomo incappucciato che cammina su Marte? Ringraziate la nostra tendenza a trovare strutture ordinate e forme familiari in immagini disordinate (pareidolia). Per saperne di più | NASA

Le ragioni della fortuna di teorie marcatamente irrazionali risiedono, in parte, nella nostra evoluzione, che ci ha reso capaci di distinguere pattern ricorrenti e regolarità anche dove non ci sono.

Se questa abilità in passato ci ha salvato la vita, rendendoci in grado di distinguere le macchie di predatori tra i cespugli, oggi ci porta a cercare correlazioni inesistenti tra le migliaia di informazioni frammentate che quotidianamente ci bombardano, a ricondurle a episodi passati senza relazione alcuna e a percepire imbrogli e raggiri anche dove non ci sono.

Anche l’abitudine, tipicamente umana, di ricercare continuamente l’approvazione sociale e paragonare il proprio vissuto a quello altrui, non aiuta: da un punto di vista evolutivo, è spesso più conveniente risultare socialmente interessanti e desiderabili che dire cose corrette. Se un gran numero di amici e contatti la pensa in un modo, sarà più facile seguire il flusso piùttosto che essere la voce fuori dal coro. Del resto l’uomo ha sempre avuto bisogno di alleanze per sopravvivere.

A dimostrare scientificamente l’effetto della pressione sociale sui comportamenti umani fu, nel 1961, lo psicologo statunitense Stanley Milgram, con un esperimento facilmente replicabile: provate a sostare per 60 secondi a fissare il cielo, in un angolo di una via affollata. Il 4% dei passanti si fermerà a scrutare tra le nuvole, imitandovi. Ma se a fissare il cielo vi mettete in 15, a imitarvi sarà il 40% della folla. Con le idee funziona in maniera simile: se in molti ci credono, il loro potere persuasivo tenderà ad aumentare.

C’è poi il problema del bias di conferma, ossia di tendenza alla conferma: quel fenomeno per cui tendiamo a muoverci entro i confini “sicuri” delle nostre convinzioni, scartando come scomode quelle troppo faticose, che forse scuoterebbero le fondamenta del castello delle nostre conoscenze/convinzioni.

Ecco perché, nei dibattiti in tv, ce la prendiamo con chi non la pensa come noi, e perché si tende a preferire quotidiani o telegiornali che rispecchiano le nostre idee politiche o a eliminare dai contatti chi ha posizioni diametralmente opposte alle nostre (se ne è parlato molto in occasione delle ultime campagne social per le elezioni americane).

Il metodo scientifico, per continui tentativi ed errori, ha il compito di contrastare il bias di conferma e passare dagli aneddoti ai dati: spesso, però, anche chi fa scienza cade in questo tranello.

Sembriamo dunque evolutivamente destinati a incorrere nelle bufale. Per di più, anche ammettendo la “buona fede”, chi diffonde fake news e complottismi sembra sordo a qualunque tipo di argomentazione logica proposta. Come instaurare uno scambio di idee che non finisca rovinosamente? Attenendosi ad alcune regole.

Comparare il fatto scientifico alla bufala che smentisce finirà probabilmente per ritorcersi contro di noi, e rafforzare la falsa notizia.

È il cosiddetto effetto backfire (ritorno di fiamma), per il quale le nuove informazioni, invece di scalfire i preconcetti finiscono per rafforzarli. Dopo 30 minuti dalla lettura di un depliant su verità e falsi miti sui vaccini, le bufale avranno un’alta probabilità di essere confuse con i fatti

In sostanza, anche solo menzionare le fake news finisce per rafforzarle, perché spinge la controparte ad alzare barriere a difesa della propria posizione (bias di conferma) relegando il fact checking (analisi dei fatti) in un angolo

Meglio menzionare solo il dato scientifico che si vuole sostenere: sarà più facile da ricordare. Se lo avete, usate un esempio a sostegno dei dati. Un aneddoto che includa le premesse e le conseguenze che volete dimostrare sembrerà, a chi vi ascolta, più chiaro, logico e inevitabile di una semplice asserzione.

La tentazione in certi casi è forte… ma porvi su un piano superiore e usare toni polemici non servirà alla causa della scienza. Piuttosto, partite dalle premesse che i complottisti usano e provate a spiazzarli con argomenti che conoscono bene: è stato per esempio dimostrato che i negazionisti dei cambiamenti climatici rispondono positivamente quando si parla delle possibilità economiche offerte dalle energie rinnovabili, e di chi ha imparato a sfruttarle. Difficilmente vi seguiranno, invece, se snocciolate dati scientifici su scioglimento dei ghiacci e obiettivi della COP21.

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