L’impronta di Fibonacci nella strana storia di uno strumento matematico?
Ritenuto per anni un porta-lanterne, l’oggetto trovato un secolo fa in un palazzo di Verona sarebbe un sofisticato strumento che nel Medioevo serviva a calcolare la direzione della Mecca e le rotte per navigare attraverso il Mediterraneo.
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Per quasi un secolo è stato considerato un portalampada pensile, una specie di “appendino” per lumini. Invece, il misterioso oggetto di ferro venuto alla luce in un passaggio segreto di un palazzo di Verona potrebbe essere un sofisticato strumento matematico di età medioevale: in origine sarebbe servito per trovare la Qibla, ossia la direzione della Mecca, verso la quale il fedele musulmano si rivolge per pregare; in seguito sarebbe stato un mezzo per redigere le accurate carte geografiche che consentirono alle repubbliche marinare di primeggiare nella navigazione.
A riconoscere la funzione dello strumento, e a ricostruire uno scenario del tutto inedito dei rapporti scientifici tra mondo arabo ed europeo all’inizio del medioevo, è un professore dell’Università di Pisa. Pietro Armienti insegna petrografia, ma per passione si interessa di storia della scienza e della matematica. Un’altra sua scoperta ha fatto scalpore un paio di anni fa: secondo Armienti, la lunetta in marmo sulla facciata della chiesa di San Nicola, a Pisa, è un richiamo diretto alla famosa successione di Fibonacci, così chiamata dal nome del matematico pisano vissuto tra il 1175 e il 1235. Fibonacci c’entra anche in questa storia. Ma partiamo dall’inizio.
Siamo nel 1915, a Verona. All’inizio della Prima guerra mondiale, durante uno dei primi bombardamenti aerei che la Storia ricordi, il crollo di un palazzo a Verona, vicino a piazza delle Erbe, rivelò una stanza segreta. Lì dentro, murate da secoli, erano conservate armi e armature del XIII e XIV secolo e uno strano oggetto che non si sapeva bene che cosa fosse, anche perché non ne erano mai stati visti di simili.
Fu preso per un supporto per reggere lanterne, forse usato nei rituali dell’Hannukkah, la festa ebraica delle luci. L’oggetto rimase per anni in mano alla famiglia proprietaria del palazzo come una curiosità, finché attirò l’attenzione di Angela Venger, un’artista lituana appassionata di oggetti medioevali, che lo acquistò.
A Colpo d’occhio. Dopo aver letto della scoperta della citazione di Fibonacci nella chiesa pisana, Venger, un paio di anni fa, si è rivolta per un parere ad Armienti, e l’occhio di questo studioso di scienze della terra vi ha letto tutta un’altra storia. «Mi sono accorto che lo strumento ha una relazione ben precisa con la rappresentazione della superficie terrestre, in particolare con la proiezione ortogonale dei meridiani», racconta Armienti a Focus. «Vi si ritrovano anche altri rapporti stretti con misure del globo, per esempio l’inclinazione di 23,5 gradi, la stessa dell’asse terrestre.»
Per verificare se davvero potesse trattarsi di un dispositivo per il calcolo di misure geodetiche, Armienti ha fatto migliaia di calcoli e proiezioni, paragonando i risultati ricavati con lo strumento e quelli ottenuti con tecnologie moderne: coincidono a un livello incredibile di precisione.
Nello studio pubblicato sul Journal of Cultural Heritage, Armienti e Venger suggeriscono che in origine l’oggetto servisse a calcolare la Qibla, cioè la direzione in cui un musulmano deve volgersi per pregare (date le coordinate geografiche del luogo in cui si trova). A lavorare alla soluzione di questo problema furono molti scienziati nella cosiddetta età dell’oro dell’islamismo, e molti dei progressi della matematica in quei secoli sono dovuti proprio alla ricerca intorno a queste questioni di geografia e astronomia. Al-Biruni, vissuto a cavallo dell’anno mille, fu uno degli scienziati che contribuirono al progresso di questi studi: secondo Armienti, lo strumento di Verona sarebbe proprio l’applicazione pratica delle teorie e dei calcoli di questo studioso arabo.
Che cosa ci faceva uno strumento per calcolare la direzione della Mecca tra le dotazioni di un esercito del Medioevo? Qui la storia si arricchisce di ipotesi tanto affascinanti quanto difficili da verificare.
Secondo Armienti, il Qibla finder era per sua natura anche un formidabile oggetto per calcolare le distanze e costruire mappe, dunque utile sia a terra sia in mare. «Con questo strumento si può determinare la distanza tra due punti con coordinate geografiche note, e quindi costruire mappe molto precise», e questo metterebbe al suo posto un altro tassello di un puzzle irrisolto, quello sull’origine delle cosiddette carte portolane.
Queste carte nautiche medioevali, chiamate così per il riferimento ai “porti”, erano una sorta di manuale per la navigazione: permettevano di tracciare e mantenere le rotte che affrontavano il mare aperto, e di abbandonare la più lenta navigazione sotto costa (il cabotaggio). La più antica portolana nota è la cosiddetta Carta di Pisa, che risale al 1290, conservata alla Biblioteca Nazionale di Francia, a Parigi.
Data l’importanza strategica che avevano, le tecniche di proiezione cartografica erano tenute segrete, al punto che ancora oggi non conosciamo alcuni dei metodi di calcolo utilizzati. L’opinione prevalente è che venissero tramandate fin dall’antichità, e che fossero basate sulle indicazioni dei naviganti e sui tempi di viaggio.
Tuttavia, questa ipotesi non riesce a spiegarne l’accuratezza. Un’idea più recente è che dietro queste carte ci fosse invece un notevole grado di conoscenze. Secondo Armienti, le prime portolane potrebbero essere state redatte proprio sulla base di strumenti come il Qibla finder e il lavoro di molti addetti ai calcoli. Di più: a Pisa sarebbe esistito un vero e proprio “centro di calcolo”, dove squadre di amanuensi si dedicavano a elaborare mappe che potevano dare un enorme vantaggio nei commerci e nella navigazione. «Con la bussola, da poco introdotta, e queste mappe, invece di viaggiare lungo la costa, una nave poteva prendere il mare aperto nel Mediterraneo, sapendo dove dirigersi, guadagnando giorni di navigazione – e così battere la concorrenza», afferma Armienti.
Al cuore del centro di calcolo capace di coniugare i saperi del mondo arabo e di quello occidentale per produrre nuova conoscenza, si può ipotizzare che ci fossero proprio Fibonacci e i suoi successori. Questo spiegherebbe anche un altro fatto: «Fibonacci ricevette dalla Repubblica di Pisa un lauto vitalizio. Più che per il solo valore dei suoi studi matematici, è probabile che possa essergli stato attribuito per la soluzione di problemi cartografici, cosa che costituiva un enorme vantaggio per il commercio», osserva Armienti.
Difficile per adesso dire se sia per davvero andata così. Gli storici della scienza avranno di che discutere su questo studio, che al momento è un’ipotesi intrigante e molto ben documentata.