L’arsenico potrebbe essere un precursore sismico? I risultati di uno studio italiano

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L’arsenico potrebbe essere un precursore sismico? I risultati di uno studio italiano

Prima del sisma del 24 agosto 2016, variazioni geochimiche nelle acque dell’Appennino centrale
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Lo studio “Hydrogeochemical changes before and during the 2016 Amatrice-Norcia seismic sequence (central Italy)”, pubblicato su Scientific Reports da di 6  geologi ricercatori italiani della Sapienza università di Roma (Domenico Barberio, Maurizio Barbieri, Carlo Doglioni e Marco Petitta), del Cnr (Andrea Billi) e dell’Ingv (Carlo Doglioni), parte da una constatazione: «La previsione dei terremoti è il Sacro Graal di molti se non tutti i geologi».

Al Consiglio nazionale delle ricerche spiegano che «Si tratta di uno studio originale, in corso da circa tre anni tra i monti e le acque dell’Appennino centrale. Dopo aver individuato un sito idrogeologico in grado di evidenziare eventuali flussi provenienti dalle profondità crostali, negli ultimi anni, ogni mese, i geologi hanno campionato le acque di alcune sorgenti appenniniche e ne hanno analizzato in dettaglio il contenuto geochimico. Il gruppo di lavoro, confortato dal monitoraggio dei livelli della falda, era alla ricerca di possibili anomalie geochimiche che potessero costituire validi precursori sismici. Due studi simili erano stati condotti in precedenza con successo in Islanda settentrionale ed avevano messo in luce anomalie geochimiche nelle acque sorgive alcune settimane prima dell’occorrenza di terremoti di magnitudo superiore a 5.5 nel 2002, nel 2012 e nel 2013».

Il team di ricercatori italiani ricorda che «Come noto, la sequenza sismica del 2016-2017 di Amatrice e Norcia è cominciata con il terremoto di Amatrice (magnitudo 6.0) il 24 agosto 2016 e si è poi sviluppata verso Norcia con il terremoto del 30 ottobre 2016 (magnitudo 6.5) e successivamente verso il Lago di Campotosto con i terremoti di gennaio 2017 (magnitudo superiore a 5)». Dall’esame complessivo dei dati raccolti dal 2014, i geologi della Sapienza, del Cnr e dell’Ingv hanno verificato che «Prima del 24 agosto 2016 le acque campionate in Appennino centrale hanno subito variazioni nel loro contenuto geochimico. La concentrazione nelle acque di alcuni metalli e metalloidi è cresciuta fino a 10-20 volte la concentrazione di base. In particolare, l’aumento della concentrazione nelle acque di Arsenico (As), Vanadio (V) e Ferro (Fe) è cominciata ad Aprile-Maggio 2016 per poi culminare nei mesi di Settembre-Ottobre 2016. Infine, la concentrazione è tornata ai livelli di base a Gennaio 2017. L’aumento della concentrazione del Cromo (Cr) è invece cominciata in coincidenza con l’inizio della sequenza sismica (Agosto 2016). Controlli eseguiti in altre sorgenti appenniniche hanno confermato l’anomalia geochimica nello stesso periodo».

I ricercatori sottolineano che «Il contenuto in metalloidi (Arsenico) e metalli (Vanadio, Ferro e Cromo), può aumentare nelle acque sorgive grazie ad un apporto di fluidi profondi arricchiti in tali elementi chimici. Così come già ipotizzato per l’Islanda, tale apporto potrebbe essere spiegato con fratture che raggiungono la parte profonda della crosta terrestre (fino a circa 10 km di profondità, corrispondente alla profondità degli ipocentri dei terremoti registrati nell’ultimo anno) durante la deformazione preparatoria di un terremoto di media-grande intensità. Sfruttando la presenza delle nuove fratture, i fluidi idrotermali profondi sarebbero in grado di risalire attraverso la crosta terrestre per mescolarsi infine con le acque sorgive più superficiali. Se così fosse, il chimismo delle acque sorgive ed in particolare il contenuto in Arsenico ed altri metalli potrebbero davvero costituire, perlomeno in ambito appenninico, un valido ed attendibile precursore sismico».

La domanda che sorge spontanea a conclusione dello studio è «Ma allora come ci si dovrebbe comportare se in futuro venissero registrati alti contenuti in Arsenico ed altri metalli in acque sorgive di aree sismicamente attive?» E i ricercatori rispondono: «La ricerca e le conoscenze sono ancora troppo premature per tradurre i dati raccolti in direttive di protezione civile. E’ necessario studiare ancora e monitorare le acque delle aree sismicamente attive, sviluppando un’apposita rete che integri i dati sismici con quelli idrogeologici ed idrogeochimici. Solo con il monitoraggio su vaste aree e in tempi lunghi si potrà tradurre il potenziale contributo di questi monitoraggi in validi ed attendibili precursori sismici. Per questo motivo, i geologi della Sapienza, del Cnr e dell’Ingv stanno continuando la loro ricerca nelle aree italiane sismicamente attive, indagando ulteriori parametri sismici, idrogeologici ed idrogeochimici».

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