La corsa del CERN per svelare i segreti dell’antimateria

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La corsa del CERN per svelare i segreti dell’antimateria

Al CERN di Ginevra, all’ombra del più famoso Large Hadron Collider, sei esperimenti sono in competizione per studiare le proprietà fondamentali e la struttura interna delle particelle di antimateria, identiche alle loro controparti di materia tranne che per la carica e lo spin. L’obiettivo è scoprire le differenze che spieghino uno dei più grandi misteri della fisica: perché nell’universo la materia è straordinariamente più comune dell’antimateria
di Elizabeth Gibney/Nature
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In un hangar del CERN dal soffitto molto alto, sei esperimenti rivali sono in corsa per comprendere la natura di uno dei materiali più sfuggenti dell’universo. Sono distanti tra loro solo pochi metri e in alcune parti sono letteralmente sovrapposti: una trave metallica dell’uno incrocia quella dell’altro, come se le scale mobili di un grande magazzino, mentre un supporto in calcestruzzo da diverse tonnellate pende minacciosamente dall’alto.

“Ricordiamo costantemente la nostra presenza gli uni agli altri “, dice il fisico Michael Doser, che guida AEGIS, un esperimento in gara per scoprire per primo in che modo l’antimateria – la rara immagine speculare della materia – risponde alla gravità.

Doser e i suoi concorrenti non potevano evitare l’estrema vicinanza. Il CERN, il laboratorio europeo di fisica delle particelle che ha sede a Ginevra, in Svizzera, può vantare l’unica sorgente al mondo di antiprotoni, le particelle che sembrano identiche ai protoni per ogni aspetto tranne che per la carica e lo spin, che sono opposti. L’Antiproton Decelerator del laboratorio è un anello di circa 182 metri di circonferenza alimentato dagli stessi acceleratori del suo fratello più grande e famoso del laboratorio, il Large Hadron Collider (LHC). Gli antiprotoni entrano nella macchina viaggiando quasi alla velocità della luce. Come dice il nome, il deceleratore rallenta le particelle, producendo un flusso di antiprotoni a cui gli esperimenti devono accedere a turno. Tutto deve essere fatto con la massima attenzione: quando incontrano la materia, le antiparticelle svaniscono lasciando un sbuffo di energia.

Gli scienziati lavorano da decenni per tenere fermi gli antiprotoni e gli atomi di anti-idrogeno che si possono produrre con gli antiprotoni per un tempo abbastanza lungo da consentirne lo studio. Negli ultimi

anni si sono visti rapidi progressi: i fisici sperimentali ora possono controllare un numero di antiparticelle sufficiente per avviare sul serio lo studio dell’antimateria, nonché per eseguire misurazioni sempre più accurate delle sue proprietà fondamentali e della sua struttura interna. Jeffrey Hangst, a capo dell’esperimento ALPHA, afferma che, almeno in linea di principio, ora il suo gruppo può fare con l’anti-idrogeno tutto ciò che gli altri fanno con l’idrogeno. “Questo è il momento verso cui ho lavorato per 25 anni”, dice.

La corsa del CERN per svelare i segreti dell'antimateria
I laboratori del CERN ospitano l’unica sorgente di antiprotoni (Credit: Maximilien Brice/CERN)

Gli esperimenti puntano molto in alto: anche una lieve differenza tra le proprietà della materia e quelle dell’antimateria potrebbe spiegare perché tutto esiste. Per quanto ne sanno i fisici, la materia e l’antimateria avrebbero dovuto essere create in uguali quantità nell’universo primordiale, per poi scontrarsi e precipitare insieme nell’oblio. Ma non è andata così e l’origine di questo fondamentale squilibrio rimane uno dei più grandi misteri della fisica.

E’ improbabile che gli sforzi del CERN possano risolvere l’enigma in tempi brevi. Finora l’antimateria si è dimostrata fastidiosamente identica alla materia, e molti fisici pensano che rimarrà tutto così, perché ogni differenza scuoterebbe la fisica moderna dalle fondamenta. Ma i sei esperimenti, gli ultimi di una linea di ricerca che ha avuto inizio al CERN più di 30 anni fa, stanno attirando l’attenzione perché LHC continua a fare buchi nell’acqua nella ricerca di particelle che potrebbero spiegare il paradosso dell’antimateria. Inoltre, i rapidi progressi dei sei gruppi nella manipolazione dell’antimateria hanno permesso di ottenere un importante aggiornamento della macchina che produce antiprotoni della struttura: un deceleratore di ultima generazione che inizierà a funzionare entro la fine di quest’anno e permetterà finalmente agli esperimenti di lavorare con un numero di particelle fino a 100 volte maggiore.

Le decine di fisici che lavorano agli esperimenti del CERN sanno di avere di fronte una sfida ardua. Lavorare con l’antimateria è esasperante, la competizione tra le squadre è intensa e le probabilità di trovare qualcosa di nuovo sembrano limitate. Ma i cacciatori di antimateria del CERN sono motivati dal brivido di poter aprire una nuova finestra sull’universo. “Sono questi esperimenti da tour de force che ti rendono orgoglioso, qualunque sia la risposta che si ottiene”, dice Hangst. Non c’è alcuna garanzia che l’antimateria porterà a una grande scoperta. Ma “se si può mettere le mani su qualcosa”, aggiunge, “sarebbe stato davvero una vergogna non provarci”.

Il nocciolo della questione
Le radici della fisica dell’antimateria possono essere fatte risalire al 1928, quando il fisico britannico Paul Dirac formulò un’equazione che descrive il comportamento di un elettrone che si muove quasi alla velocità della luce. Dirac capì che dovevano esserci una soluzione positiva e una negativa alla sua equazione. Successivamente, interpretò questa bizzarria matematica come un’indicazione dell’esistenza di un antielettrone, ora chiamato positrone, e teorizzò l’esistenza di un corrispettivo di antimateria per ogni particella.

Il fisico sperimentale Carl Anderson confermò l’esistenza del positrone nel 1932, quando trovò una particella che sembrava un elettrone, tranne per il fatto che, attraversando un campo magnetico, la sua traiettoria deviava nella direzione opposta. I fisici capirono presto che nelle collisioni venivano routinariamente prodotti positroni: facendo collidere le particelle con molta energia, parte di quest’ultima poteva essere convertita in coppie di materia-antimateria.

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Il fisico Paul Dirac (1902-1984), padre putativo dell’antimateria (Wikimedia Commons)

Negli anni cinquanta, i ricercatori avevano iniziato a sfruttare questa conversione dell’energia in particelle per produrre antiprotoni. Ma ci vollero decenni per trovare un modo per produrne abbastanza da catturare e studiare. Uno stimolo fu la stuzzicante idea che antiprotoni e positroni potessero essere accoppiati per produrre anti-idrogeno, che avrebbe potuto essere confrontato con l’atomo di idrogeno già ben studiato.

Creare positroni è abbastanza semplice. Le particelle sono prodotte in determinati tipi di decadimento radioattivo e possono essere facilmente catturate con campi elettrici e magnetici. Ma l’antiprotone, che ha massa maggiore, è un’altra storia. Gli antiprotoni possono essere prodotti facendo collidere protoni su un metallo denso, ma emergono da queste collisioni muovendosi troppo in fretta per essere catturati in una trappola elettromagnetica.

I cacciatori di antimateria avevano bisogno di un modo rallentare, o raffreddare, le particelle in grandi quantità. Il primo tentativo del CERN dedicato al rallentamento e alla cattura di antimateria iniziò nel 1982, con il Low Energy Antiproton Ring (LEAR). Nel 1995, l’anno prima che LEAR fosse messo in lista per la dismissione, un gruppo utilizzò antiprotoni prodotti dall’impianto per produrre i primi atomi di anti-idrogeno.

Il sostituto di LEAR, l’Antiproton Decelerator, ha iniziato a funzionare nel 2000 con tre esperimenti. Simile al suo predecessore, imbriglia le antiparticelle, prima concentrandole con l’utilizzo di magneti e poi rallentandole grazie a forti campi elettrici. Inoltre, fasci di elettroni scambiano calore con gli antiprotoni, raffreddandoli senza toccarli, perché entrambi i tipi di particelle sono carichi negativamente e perciò si respingono. Il processo complessivo rallenta gli antiprotoni a un decimo della velocità della luce. Questa è una velocità ancora troppo elevata per lavorare, quindi ora ognuno dei sei esperimenti utilizza tecniche per rallentare ulteriormente e intrappolare gli antiprotoni.

Lungo il cammino, la “mortalità” è elevata. Ogni “getto” di 30 milioni di antiprotoni verso un esperimento inizia con la collisione di 12.000 miliardi di protoni su un bersaglio. Nel momento in cui l’esperimento ALPHA di Hangst, per esempio, ha rallentato gli antiprotoni abbastanza da accoppiarli con i positroni e creare l’anti-idrogeno, rimangono solo 30 particelle: il resto è sfuggito, si è annichilato o è stato scartato perché troppo veloce o in condizioni non adatte allo studio. Condurre esperimenti con un numero così esiguo di antiatomi è una vera fatica, dice Hangst: “Si assume un atteggiamento completamente nuovo verso tutto il resto della fisica quando si deve lavorare con questa roba”.

In corsa per il premio
La ricerca di antimateria al CERN subirà una certa concorrenza da parte della Facility for Antiproton and Ion Research, un acceleratore internazionale da un miliardo di dollari situato a Darmstadt, in Germania, che sarà completato verso il 2025. Ma per adesso il CERN ha il monopolio della produzione di antiprotoni abbastanza lenti da consentire gli studi.

Oggi, nell’impianto per antimateria ci sono cinque esperimenti in funzione presso (uno, GBAR, è ancora in fase di costruzione). Ognuno ha il proprio modo di trattare gli antiprotoni e, benché alcuni conducano esperimenti unici, spesso competono per misurare le stesse proprietà e ciascuno corrobora indipendentemente i valori degli altri. (Qui, qui e qui, le infografiche di “Nature” sul funzionamento degli esperimenti)

Gli esperimenti condividono un fascio, il che significa che ogni due settimane, solo tre dei cinque esperimenti hanno un tempo di utilizzo del fascio, su turni di otto ore. Una riunione di coordinamento settimanale assicura che ogni esperimento sappia quando sarà in funzione il magnete del vicino, in modo da non alterare misurazioni sensibili. Ma nonostante la stretta vicinanza, i gruppi di solito scoprono i risultati dei loro vicini leggendo un articolo su di loro. “Tutto questo è basato sulla competizione, è una cosa sana: ti motiva”, dice Hangst.

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Rappresentazione schematica del rapporto tra idrogeno (a sinistra) e anti-idrogeno (a destra): il primo è formato da un nucleo costituito da un solo protone (carico positivamente) e da un elettrone orbitale (carico negativamente); il secondo ha un nucleo costituito da un antiprotone (antiparticella del protone, carica negativamente) e da un positrone (antiparticella dell’elettrone, carica positivamente).

Attualmente, solo uno dei sei esperimenti, BASE, studia direttamente gli antiprotoni dell’Antiproton Decelerator. BASE mantiene le particelle in una trappola di Penning, un complesso schema di campi elettrici (che fissano le particelle verticalmente) e campi magnetici (che le fanno ruotare lungo una circonferenza). Il gruppo può immagazzinare gli antiprotoni per più di un anno e ha utilizzato le orbite degli antiprotoni nella trappola per determinare il rapporto carica-massa con una precisione da primato. Il gruppo utilizza anche un metodo complesso per rivelare il momento magnetico dell’antiprotone, assimilabile al suo magnetismo intrinseco. La misurazione prevede lo scambio rapido di singole particelle tra due trappole separate e la rilevazione dei cambiamenti prodotti da minuscole variazioni in un campo a microonde oscillante. Padroneggiare la tecnica è diventata una passione per il leader della collaborazione Stefan Ulmer, fisico del RIKEN di Wako, in Giappone. “Ci metto tutto il mio cuore”, dice.

L’anti-idrogeno, che è studiato dagli altri esperimenti al CERN, presenta alcuni problemi. Poiché ha una carica neutra, non risente di campi elettrici ed è quindi quasi impossibile da controllare. Gli esperimenti devono sfruttare le deboli proprietà magnetiche dell’antiatomo, confinando le particelle in una “bottiglia magnetica”. Per far funzionare la bottiglia, i campi magnetici al suo interno devono variare enormemente su piccole distanze, cambiando di 1 tesla, la forza di un magnete da autodemolitore in grado di sollevare un’auto, su un solo millimetro. Anche così, gli atomi di anti-idrogeno devono avere una temperatura di meno di 0,5 kelvin, o fuggiranno via.

I primi atomi di anti-idrogeno, creati utilizzando antiprotoni in movimento, sono sopravvissuti per circa 40 miliardesimi di secondo. Nel 2002, due esperimenti, ATRAP e ATHENA, il predecessore di ALPHA, sono stati i primi a rallentare gli antiprotoni abbastanza da produrre quantità significative di anti-idrogeno, accumulando molte migliaia di atomi ciascuno. La grande scoperta è arrivata quasi un decennio dopo, quando i gruppi hanno imparato a catturare gli antiatomi per alcuni minuti alla volta. Da allora sono state misurate proprietà come la carica e la massa, ed è stata utilizzata la luce laser per misurarne i livelli energetici. In un recente numero di “Nature”, ALPHA riferisce il suo ultimo progresso: la più precisa misurazione mai ottenuta della struttura iperfine dell’anti-idrogeno, l’insieme delle piccole variazioni energetiche interne dovute alle interazioni tra i suoi antiprotoni e positroni.

Nel loro complesso, gli esperimenti del CERN studiano una serie di proprietà dell’antimateria, ognuna delle quali potrebbe segnare una differenza rispetto alla materia. L’obiettivo di tutti è continuare a ridurre l’incertezza, afferma l’esperto di antimateria Masaki Hori, alla guida dell’esperimento ASACUSA, che utilizza i laser per studiare antiatomi in volo, liberi dalle forze disturbanti delle trappole. L’anno scorso, il gruppo ha effettuato una misurazione precisa del rapporto fra la massa dell’antiprotone e la massa dell’elettrone, utilizzando esotici atomi di elio in cui un antiprotone sostituisce un elettrone. Come altre misurazioni finora, non ha mostrato alcuna differenza tra materia e antimateria. Ma ogni risultato è una verifica più rigorosa che materia e antimateria siano davvero immagini speculari esatte l’una dell’altra.

Che differenza fa?
Se gli esperimenti dovessero individuare qualsiasi differenza tra materia e antimateria, sarebbe una scoperta fondamentale. Significherebbe la violazione di un principio chiamato simmetria di carica, parità e inversione temporale (CPT). Secondo questo principio, un universo visto allo specchio, pieno di antimateria e in cui il tempo scorre all’indietro, avrebbe le stesse leggi fisiche del nostro. La simmetria CPT è la spina dorsale di teorie come la relatività e la teoria quantistica dei campi. Violarlo, in un certo senso, significherebbe violare la fisica. In realtà, solo teorie esotiche prevedono che gli esperimenti sull’antimateria troveranno qualcosa.

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L’esperimento ALPHA del CERN (Credit: CERN)

Per questo motivo, i fisici di LHC tendono a vedere i ricercatori dell’antimateria della porta accanto “con un’attenzione mista a sconcerto”, dice Doser, che da 30 anni lavora sull’antimateria. “Pensano che questa roba sia divertente e interessante, ma che sia improbabile che porti a qualcosa di nuovo”, sottolinea. Il fisico teorico del CERN Urs Wiedemann conferma. Dice che la capacità dell’esperimento di manipolare l’antimateria è “stupefacente” e che quei test della teoria sono essenziali, ma “se la domanda è se esiste una solida motivazione fisica perché, a qualche livello di precisione, possa essere scoperto qualcosa di nuovo, penso che la risposta giusta sia no”.

Tuttavia, LHC non ha fatto molto meglio per risolvere il mistero dell’antimateria. Gli esperimenti che risalgono agli anni sessanta hanno dimostrato che alcuni processi fisici, come il decadimento di particelle chiamate kaoni esotici in particelle più familiari hanno una minuscola preferenza per la produzione di materia. Gli esperimenti di LHC sono andati a caccia di simili preferenze e persino di un mucchio di particelle ancora sconosciute, il cui comportamento nell’universo primordiale avrebbe potuto rendere conto dell’enorme squilibrio rimasto tra materia e antimateria.

Ci sono state buone ragioni per sospettare che esistano queste particelle: sono state previste dalla supersimmetria, una teoria che si propone di risolvere alcuni problemi concreti nella fisica delle particelle. Ma nessuna particella si è palesata in otto anni di ricerca. Ora, le versioni più semplici e più eleganti della supersimmetria – quelle che in un primo momento hanno reso l’idea affascinante – sono state escluse in modo deciso. “Oggi LHC sta cercando particelle ipotetiche, che possono esserci o non esserci, con pochi riferimenti teorici. In un certo senso, è la stessa situazione in cui siamo noi”, dice Doser.

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Un dettaglio dell’esperimento AEGIS (AEgIS Collaboration – CERN)

Alcuni gruppi ora si stanno lanciando verso la prossima grande sfida: una competizione per misurare l’accelerazione dell’antimateria sotto l’effetto della gravità. In generale, i fisici si aspettano che l’antimateria cada esattamente come la materia. Ma una frangia estrema di teorie prevede che abbia una massa “negativa”: sarebbe cioè respinta, invece che attirata, dalla materia. L’antimateria con questa proprietà potrebbe rendere conto degli effetti dell’energia oscura e della materia oscura, la cui natura è ancora ignota. Ma molti fisici teorici che seguono le idee prevalenti sostengono che un simile universo sarebbe intrinsecamente instabile.

Il su è giù

Per misurare l’anti-idrogeno in caduta libera sarà, come sempre, necessario renderlo abbastanza freddo. Anche minime fluttuazioni termiche, infatti, mascherano il segnale di un atomo che cade. E possono essere utilizzate solo particelle neutre come l’anti-idrogeno, poiché anche sorgenti di campi elettromagnetici distanti possono esporre le particelle cariche a forze più intense della gravità.

Il prossimo anno, il gruppo di Hangst vuole utilizzare una tecnologia già collaudata,una versione verticale del suo esperimento ALPHA, per stabilire in modo definitivo se l’antimateria cade verso il basso o verso l’alto. “Ovviamente penso che saremo i primi a riuscirci, altrimenti non ci avrei neppure provato”, dice. Ma altri due esperimenti, AEGIS di Doser e il più recente membro dell’impianto dedicato all’antimateria, GBAR, stanno alle calcagna del gruppo. Entrambi utilizzano tecniche di raffreddamento laser per aumentare la precisione, il che permetterà loro di evidenziare differenze più sottili tra l’accelerazione dell’antimateria e quella della materia di quelle che ALPHA è in grado di osservare attualmente. AEGIS misurerà la deviazione del fascio orizzontale di anti-idrogeno, mentre GBAR lascerà i suoi antiatomi in caduta libera per 20 centimetri. Entrambi vogliono portare la temperatura degli antiatomi fino a pochi millesimi di grado sopra lo zero assoluto, permettendo misure di accelerazione gravitazionale con una sensibilità che arriva a una parte su 100, e hanno intenzione di andare ancora oltre.

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Un’immagine di ELENA, il nuovo decelaratore di antiprotoni del CERN (Credit: Maximilien Brice/CERN)

Entro la fine dell’anno, GBAR sarà il primo a beneficiare di ELENA, un nuovo anello da 25 milioni di franchi svizzeri (26 milioni di dollari) di 30 metri di circonferenza che si trova all’interno dell’Antiproton Decelerator ed è progettato per rallentare ulteriormente gli antiprotoni che arrivano dalla macchina. Infine, ELENA fornirà particelle a tutti gli esperimenti, quasi contemporaneamente. Gli antiprotoni saranno più lenti di un fattore sette e arriveranno in fasci più collimati. Poiché saranno raffreddati in modo più efficiente negli stadi iniziali, gli esperimenti dovrebbero essere in grado di intrappolare più particelle.

Ora che i gruppi possono manipolare e testare l’antimateria, spiega Hangst, sempre più fisici si stanno interessando al lavoro. E stanno contibuendo con idee per esperimenti e valori da controllare. Inoltre, i gruppi stanno volgendo lo sguardo verso l’esterno, per vedere se ci sono modi per aiutare altri settori di ricerca con le loro tecnologie. La squadra di GBAR, per esempio, sta lavorando a una trappola portatile per trasportare antiprotoni verso un esperimento del CERN chiamato ISOLDE, dove possono essere utilizzati per mappare i neutroni in atomi radioattivi instabili.

Supponendo che nessuna impasse tecnica logori il progresso fino a farlo arrestare, Doser stima che entro la fine del 2020 i fisici saranno abbastanza abili nel maneggiare l’antimateria da riuscire a replicare una serie di dispositivi basati sulla fisica atomica, per esempio costruire orologi atomici ad antimateria. “Ora si vedono spuntare un sacco di idee, e questo è un segno che il settore sta avanzando rapidamente”, dice. “Spero che il CERN non mi licenzi mai, perché ho progetti per i prossimi 30 anni”.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Nature il 2 agosto 2017. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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