In Italia ci si ammala sempre più di cancro: ecco spiegato il ruolo dell’inquinamento ambientale

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In Italia ci si ammala sempre più di cancro: ecco spiegato il ruolo dell’inquinamento ambientale

Dall’Italia un «grado molto scarso di adesione agli impegni presi» per migliorare la qualità dell’aria: i primi responsabili rimangono traffico veicolare e riscaldamento residenziale. Il nuovo report presentato al ministero della Salute
di Luca Aterini
www.greenreport.it

È stato presentato ieri a Roma, nell’auditorium del ministero della Salute, il documento I numeri del cancro in Italia 2017: si tratta del censimento ufficiale dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) e dell’Associazione italiana registri tumori (Airtum), la cui conoscenza «potrà – secondo la ministra della Salute Beatrice Lorenzin – rendere più facile e incisiva l’azione di miglioramento del livello delle prestazioni e dei servizi, in particolare per lo sviluppo dei percorsi e delle reti oncologiche, garanzia di uguale accesso, tempestività, qualità e appropriatezza sia negli iter diagnostici che nelle cure per tutti i cittadini in tutte le Regioni».

Un auspicio che, ad oggi, rimane però molto lontano dallo stato dei fatti. Dal report emerge infatti «una forte difformità tra il numero di nuovi casi registrati al Nord rispetto al Centro e Sud sia negli uomini che nelle donne», come spiega la presidente Airtum Lucia Mangone. In particolare, al Nord ci si ammala di più rispetto al Sud, dove permangono migliori stili di vita e «una minore esposizione a fattori cancerogeni (abitudine al fumo, inquinamento ambientale)». Al contempo però, al Sud «si sopravvive di meno: nelle regioni meridionali, dove gli screening oncologici sono ancora poco diffusi, non si è osservata la riduzione della mortalità e dell’incidenza dei tumori della mammella, colon-retto e cervice uterina». Un’amarissima conseguenza di disuguaglianze antiche.

Guardando al contesto nazionale nel suo complesso, dei miglioramenti nei tassi di sopravvivenza della popolazione colpita da una diagnosi di cancro ci sono stati. I cittadini che si sono ammalati nel 2005-2009 hanno una sopravvivenza migliore rispetto a chi è stato colpito dalla malattia nel quinquennio precedente, sia negli uomini (54% vs 51%) sia nelle donne (63% vs 60%), con le percentuali più alte a 5 anni registrate in Emilia-Romagna e Toscana in entrambi i sessi (rispettivamente 56% e 65%). Oggi oltre 3 milioni e trecentomila cittadini (3.304.648) vivono dopo la diagnosi, il 24% in più rispetto al 2010.

Questo non significa però che di cancro ci si ammali di meno, al contrario. Il rapporto appena pubblicato documenta un significativo aumento dei nuovi casi di tumore in Italia, passati dai 365.800 del 2016 ai 369mila (192mila tra i maschi e 177mila tra le femmine) stimati per il 2017: 3.200 casi di cancro in più. Le 5 neoplasie più frequenti nel 2017 nella popolazione italiana risultano essere del colon-retto (53mila nuovi casi), seno (51mila), polmone (41.800), prostata (34.800) e vescica (27mila).

Sono stati invece 177.301 i decessi attribuibili al cancro in un anno (il 2014, dove si fermano gli ultimi dati Istat disponibili), rappresentando così la seconda causa di morte (29% di tutti i decessi) dopo le patologie cardio-circolatorie (37%); il tumore che ha fatto registrare nel 2014 il maggior numero di decessi è quello al polmone (33.386), seguito da colon-retto (18.671), mammella (12.330), pancreas (11.186) e stomaco (9.557).

Numeri dietro ai quali si nascondono uomini e donne, il loro dolore e quello delle proprie famiglie. Numeri che hanno legami importanti con quelli dell’inquinamento ambientale, come conferma un intero capitolo del rapporto, dedicato principalmente alla qualità dell’aria che respiriamo: «È ormai ben accertato che l’inquinamento atmosferico, tramite carcinogeni certi come il PM e il benzene e altri inquinanti classificati come probabili carcinogeni, causi il tumore del polmone e sia un importante fattore di rischio per il tumore della vescica», si sottolinea nel rapporto.

«Molti degli inquinanti generati dalle attività antropiche sono gli stessi di quelli prodotti da sorgenti naturali, ma fattori meteo-climatici e caratteristiche morfologiche degli ambienti urbani (dove si concentra la gran parte delle attività antropiche inquinanti) ne favoriscono accumulo e concentrazione», osservano Aiom e Airtum.

Le principali fonti di emissione in Italia sono note: traffico stradale e riscaldamento residenziale ai primi posti, seguiti – come conferma anche l’Ispra – dalle combustioni industriali, cui si affianca il non indifferente contributo delle emissioni dovute ad agricoltura e allevamenti intensivi di animali, che «sono arrivate a contribuire nel 2014 per una quota del 10,7% sul totale». Un altro fattore di rilievo nel rapporto tra cancro e inquinamento è costituito dalla presenza dei 44 Sin (Siti di interesse nazionale per le bonifiche), aree cioè «in cui la contaminazione ambientale sia di particolare rilevanza per tipologia e diffusione». Come si muove l’Italia per ridurre entrambi i fattori di rischio? Non bene, secondo i dati raccolti nel report.

«La lotta all’inquinamento atmosferico procede molto lentamente e con notevoli differenze geografiche nel grado di adesione agli obiettivi fissati. Per esempio, tra i 27 paesi europei che hanno sottoscritto accordi sul clima, uno solo (la Svezia) ha registrato un grado di adesione eccellente agli impegni presi; 2 (Germania e Francia) hanno registrato un grado sufficiente; 16 un grado insufficiente-scarso e 9 (tra cui l’Italia) un grado molto scarso di adesione agli impegni». Per non parlare delle bonifiche nei Sin nazionali, completate secondo Confindustria appena per il 20%. Senza investimenti sull’uno e l’altro fronte, l’Italia continuerà a rimanere indietro non solo nella strada verso uno sviluppo sostenibile, ma anche in quella che porta a una migliore e maggiore salute per i propri cittadini: due percorsi che non possono essere scissi.

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