Che cosa accadrebbe se eplodesse una bomba H nel Pacifico?

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Che cosa accadrebbe se eplodesse una bomba H nel Pacifico?

Quale impatto avrebbe, in termini ecologici, la detonazione di una bomba all’idrogeno sull’oceano? Ecco il confronto, poco rassicurante, con quanto accaduto nel recente passato.
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Nel crescendo di minacce tra Kim Jong Un e Donald Trump, uno degli scenari prospettati potrebbe aver evocato, ai più attenti, una pagina poco gloriosa della storia recente: quella dei test nucleari condotti dagli Stati Uniti, fino a poco prima degli anni ’60, nella parte settentrionale delle Isole Marshall, a metà strada tra Hawaii e Australia.

Che cosa accadrebbe se si concretizzassero le minacce nordcoreane di far detonare una bomba all’idrogeno sull’Oceano Pacifico? Quali sarebbero, tralasciando le conseguenze geopolitiche, le ripercussioni per l’ecosistema?

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La colonna d’acqua sollevata dal test di ordigno nucleare Baker, condotto dagli Stati Uniti nelle Isole Marshall il 25 luglio 1946. La bomba fu fatta esplodere a una profondità di 27 metri sott’acqua: il fungo atomico si sollevò per oltre 500 metri.|National Nuclear Security Administration/Nevada Field Office

Il ministro degli Esteri della Corea del Nord ha dichiarato che potrebbe trattarsi della più potente bomba all’idrogeno mai fatta esplodere sull’oceano. Di sicuro, sarebbe il primo test atomico sul mare condotto in atmosfera da 40 anni a questa parte: l’ultimo eseguito non sottoterra avvenne infatti in Cina nel 1980.

Devastazione iniziale. L’effetto distruttivo più immediato e devastante deriverebbe dall’energia esplosiva dell’ordigno: la bomba all’idrogeno che la Nord Corea dice di avere potrebbe generare una detonazione pari a quella dello scoppio di 15 milioni di tonnellate di dinamite, 1000 volte più potente di quella che rase al suolo Hiroshima.

La ragione è nella conformazione a due stadi della bomba H (vedi qui), in cui la fissione nucleare viene usata per innescare una prima esplosione e innescare, di conseguenza, reazioni di fusione nucleare. Il test di una bomba all’idrogeno (il cosiddetto “Mike Test”) eseguito dagli USA sull’isola di Elugelab, nel Pacifico, nel 1952, sprigionò una potenza di 11 megaton, 800 volte la bomba di Hiroshima, e un’onda di calore che raggiunse il raggio di 56 km.

Il cratere lasciato nel reef dell’Atollo Bikini nel corso dell’operazione Castle Bravo. Ancora oggi è visibile dallo Spazio. | NASA Earth Observatory; Business Insider

L’esplosione cancellerebbe ogni traccia di vita marina nel raggio di centinaia di km, istantaneamente. Potrebbe creare nei reef crateri permanenti: quello largo 1,6 km lasciato dalla bomba termonucleare statunitense “Shrimp” nell’Atollo Bikini, nel 1954, distrusse 200 miliardi di tonnellate di barriera corallina, trasformandone i frammenti in una pioggia radioattiva che si riversò soprattutto sugli atolli ad est, causando morti e malattie che, tra gli abitanti delle Isole Marshall di cui l’atollo fa parte, perdurano ancora oggi.

I venti trasporterebbero le ceneri radioattive per centinaia di km; le mutazioni nel DNA causate nelle specie che riuscissero a sopravvivere, si protrarrebbero per generazioni. Le larve e le uova degli animali marini sono particolarmente vulnerabili a questo tipo di danno: le conseguenze si ripercuoterebbero sulla catena alimentare, fino agli animali più grandi di cui ci nutriamo.

L’esplosione Able nell’Operazione Crossroads, una serie di detonazioni nucleari condotte dagli Stati Uniti nell’Atollo di Bikini nell’estate del 1946. | Wikimedia Commons

Le particelle radioattive finirebbero per contaminare aria, suolo e falde acquifere di tutto il pianeta. Ancora oggi, a oltre 60 anni dall’operazione Castle Bravo condotta dagli USA nell’Atollo Bikini, sull’isola si registrano livelli di radioattività ancora allarmanti – gli effetti di una bomba atomica di 15 megatoni, 1000 volte più potente di quelle di Hiroshima e Nagasaki.

l fumo liberato dal fungo atomico renderebbe inoltre impossibile la sopravvivenza agli organismi che svolgono la fotosintesi. E questo, posto che la Corea del Nord intenda far precipitare l’ordigno in modo controllato – da un aeroplano, da una chiatta, da un pallone atmosferico.

Se invece la bomba fosse caricata su un missile balistico intercontinentale, per esempio lanciato da un sottomarino, esisterebbero anche i problemi legati all’incertezza del lancio e alla possibilità di un fallimento. Il vettore potrebbe esplodere in volo, facendo esplodere la bomba in un luogo, e a un’altitudine, non previsti, con effetti non quantificabili.

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