Un anno dal terremoto nell’Italia Centrale: il 91,43% delle macerie è ancora lì (VIDEO)
Le oltre 2 milioni di tonnellate di rifiuti inerti sul territorio potrebbero essere la base stessa della ricostruzione, ma l’economia circolare è frenata da leggi confuse e incapacità di programmazione
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L’eredità del terremoto che lo scorso 24 agosto – con una nuova, distruttiva scossa sul finire di ottobre – portò morte e distruzione in Marche, Lazio, Umbria e Abruzzo, sta ancora schiacciando il cuore d’Italia. A opprimerlo, letteralmente, sono le 2.657.000 tonnellate di macerie stimante dalle quattro Regioni colpite: dopo quasi un anno appena 227.500 tonnellate (l’8,57% del totale) è stato rimosso, in barba a quel «ricostruiremo tutto come era prima» pronunciato a sciame sismico ancora in corso dall’allora capo del governo Matteo Renzi.
Si tratta di macerie derivanti da edifici pubblici e privati pericolanti, la cui rimozione è propedeutica all’avvio della ricostruzione materiale e della rinascita delle comunità colpite. Paradosso vuole che per portare avanti la rimozione delle macerie, ognuna delle quattro Regioni abbia interpretato le varie norme e ordinanze nazionali che si sono succedute producendo pratiche diverse, un approccio che ha contribuito a mantenere quasi intatto il problema: dal caos normativo a quello sul territorio.
Come mostrano i dati forniti oggi da Legambiente, la Regione Lazio stima una quantità di macerie pari a 1.280.000 tonnellate, concentrate nei territori dei Comuni di Amatrice e Accumoli, e a fine luglio quelle raccolte erano il 7,77% (circa 100.000 tonnellate); nelle Marche sono state rimosse 117.500 tonnellate di macerie su 1.120.000 stimante (il 10,5%), con realtà ancora in estrema difficoltà come quella di Arquata del Tronto; l’Umbria stima 100.000 tonnellate di macerie e ne ha raccolte il 10,20%, mentre delle 150.000 tonnellate di macerie presenti in Abruzzo non ne ha ancora stato tolto neanche un grammo.
Oltre ai quantitativi coinvolti, è eclatante – sottolineano gli ambientalisti – la diversità di gestione delle macerie, come mostrano i modus operandi messi in piedi nelle due regioni maggiormente colpite, ovvero Lazio e Marche. Quest’ultima si è affidata a due società a partecipazione pubblica, Cosmari e Picenambiente. Le due società trasportano prima tutte le macerie presso i loro siti di deposito temporaneo, dove separano i materiali: gli inerti (ovvero oltre il 98% delle macerie), riprendono quindi a viaggiare verso i siti di imprese private per il trattamento/smaltimento allungando, in alcuni casi raddoppiando, i chilometri percorsi. Inoltre, le demolizioni necessarie per rendere disponibili le macerie vengono messe a gara dai singoli Comuni. La Regione Lazio, al contrario, ha affidato fin da subito tutto ai privati, prima organizzando gare separate per le fasi di separazione, trasporto e gestione dei due siti di deposito temporaneo individuati dalla stessa Regione nel Comuni di Posta e di Accumoli; con l’ultima gara del 10 agosto scorso invece ha scelto di affidare alle ditte appaltatrici la gestione dell’intera filiera, dalla demolizione fino allo smaltimento, lasciando quindi ai privati l’individuazione dei siti dove trattare e smaltire l’enorme quantità degli inerti, senza però preoccuparsi del criterio di prossimità dei siti ma solo del costo più basso. Ovvero, un criterio insostenibile.
È evidente che per dare un futuro a quei territori è urgente cambiare passo, come sottolinea oggi Legambiente, che a primavera scorsa insieme a Fillea Cgil ha avviato un Osservatorio nazionale per una ricostruzione di qualità. «È opportuno che il governo ripensi il ruolo della struttura del commissario straordinario per dargli più poteri e le risorse necessarie per un reale coordinamento – dichiara la presidente del Cigno verde, Rossella Muroni – Le differenze nella gestione delle macerie nelle quattro Regioni sono troppe; già chiedevamo un coordinamento più forte ed efficace e il rischio ora è che diventi più debole, visto l’annuncio delle dimissioni di Errani. Siamo consapevoli delle numerose difficoltà incontrate – le ripetute e importanti scosse sismiche, la vastità dell’area interessata, le strade inagibili e insicure per via delle case pericolanti, le demolizioni necessarie per operare in sicurezza – a cui si sono però sommati ritardi per i provvedimenti modificati in itinere, negli affidamenti dei lavori, nel coordinamento tra i diversi livelli istituzionali. Ma la rinascita dell’appennino ha bisogno, ora, di una visione unitaria».
Per accorciare i tempi e rendere più efficace la gestione delle macerie, Legambiente propone di riconsiderare cinque punti fondamentali: accelerare le demolizioni degli edifici pericolanti, intervenire a sostegno della raccolta dei beni di interesse culturale, riorganizzare la logistica relativa ai siti temporanei e al trasporto, programmare il riutilizzo delle macerie per la ricostruzione, organizzare un sistema di tracciabilità e monitoraggio in tempo reale delle macerie in forme fruibili dai cittadini.
L’Italia centrale potrebbe così risorgere dalle proprie macerie, letteralmente, seguendo un percorso di ricostruzione che sappia incrociare l’economia circolare: come ricordano da Legambiente, oltre il 98% delle macerie sono costituiti da inerti, rifiuti non pericolosi che se trattati, predisponendo laboratori anche mobili nelle aree limitrofe a quelle di produzione, costituirebbero materia da utilizzare per la ricostruzione delle stesse aree. Il loro riutilizzo è richiamato dalle norme nazionali e dai piani regionali, ma di fatto nessuna delle quattro Regioni si è ancora dotata di una programmazione che specifichi la filiera del recupero, le caratteristiche tecniche per garantire la qualità dei materiali da riutilizzare, le modifiche ai capitolati necessarie per prevedere il loro utilizzo, norme premianti affinché tali materiali trovino effettivo mercato: ma se non sapremo riciclare quelle macerie continueremo a trovarci di fronte a una quantità enorme di materiali, con il rischio che anche gli inerti diventino rifiuti da smaltire spostando il problema più a valle.