Nuovo tentativo di perforare la crosta terrestre fino al mantello
Avverrà nell’Oceano indiano: la spedizione lavorerà almeno cinque anni.
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Siamo arrivati sulla Luna, a 380.000 chilometri di distanza, e siamo arrivati ai confini del sistema solare, a 11 miliardi di chilometri… Ma a tutt’oggi il pozzo più profondo che abbiamo scavato nella crosta del nostro pianeta ha toccato a malapena i 14 chilometri. Niente, anche rispetto ai 6.370 chilometri del raggio della Terra.
Conosciamo l’interno del nostro pianeta solo indirettamente, grazie a strumenti di misurazione della velocità delle onde sismiche o lo studio delle lave che arrivano dal profondo. Perché perforare la Terra è molto difficile, a causa delle temperature e delle pressioni cui si va incontro anche a pochi chilometri di profondità.
Un obiettivo che da anni i geologi si propongono è quello di arrivare a campionare almeno le rocce più superficiali del mantello, lo strato roccioso che sta sotto alla crosta terrestre.
Il mantello inizia a profondità diverse rispetto alla superficie: in alcuni punti si trova a 5-6 chilometri sotto la superficie, in altri anche a 35 chilometri. Il passaggio tra la crosta e il mantello è chiamato discontinuità di Mohorovičić (foto sopra), o più semplicemente Moho. La distanza minima corrisponde ad aree in prossimità delle dorsali oceaniche: qui il mantello “viene a giorno”, fuso, risale cioè fino al fondale degli oceani e lì si deposita.
Tuttavia, campionare le rocce vicino alle dorsali oceaniche non dà informazioni univoche sulla composizione chimica e sulla struttura fisica delle rocce sotto alla crosta, perché risalendo vengono “contaminate” dalla crosta stessa.
Perforare la crosta di 35 km, ossia quella continentale, ci è impossibile: non abbiamo le tecnologie per farlo. Per studiare il mantello bisogna invece perforare in mare, a una certa distanza dalle dorsali, dove il mantello è vicino alla superficie, ma non così tanto da esserne stato contaminato dalla crosta.
Sono già stati fatti molti tentativi, senza però mai arrivare a ciò che abbiamo definito “mantello puro”. Il problema principale sta nei tempi estremamente lunghi di tali ricerche, che richiedono investimenti importanti. Perché quando si fa una perforazione marina a scopi scientifici, per non vanificare il lavoro è necessario classificare e conservare adeguatamente tutti i campioni roccia (le carote): un lavoro che richiede risorse e tempi lunghi.
Per chiarire il punto, quando si perfora per il petrolio – per esempio – e si arriva anche a 10 chilometri di profondità, non si fa caso ai campioni di roccia, che vengono distrutti durante la perforazione: un sistema rapido, che ha però altri scopi.
Obiettivo: 2020. Adesso però siamo a un punto di svolta, con l’università di Cardiff (UK) che si propone di perforare la crosta dell’Oceano Indiano, in un punto dov’è spessa circa 5.500 metri, nell’ambito del progetto Exploring the Earth Under the Sea dello IODP. Spiega Chris MacLeod, geologo, responsabile del progetto: «Abbiamo scelto un punto dove il fondale si trova a 700 metri di profondità. Lì porteremo la nave da ricerca oceanica Joides Resolution e cercheremo di raggiungere il mantello terrestre». MacLeod ritiene che ci vorranno almeno tre spedizioni della durata di diversi mesi per raggiungere l’obiettivo e che presumibilmente si arriverà al mantello attorno al 2020.
La serpentinite è una roccia che si forma per alterazione delle peridotiti per presenza di acqua sotto pressione: si potrà studiare là dove si forma.