Il CNR in missione alle Svalbard con robot telecomandati

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Il CNR in missione alle Svalbard con robot telecomandati

I ricercatori italiani hanno appena concluso una campagna di rilevamenti senza precedenti. Grazie a tre veicoli telecomandati è stato possibile campionare acqua e aria a ridosso di ghiacciai marini in scioglimento
di Federico Formica, fotografie per gentile concessione Cnr
www.nationalgeographic.it

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Nelle acque delle isole Svalbard un team di ricercatori italiani ha appena concluso una missione pionieristica. Per la prima volta infatti sono stati raccolti – in contemporanea – dati di acqua, superficie e atmosfera in corrispondenza di ghiacciai marini in scioglimento. Un’impresa che finora a queste latitudini non era mai riuscita a nessuno e per un motivo semplice: per fare campionamenti di questo tipo bisogna avvicinarsi al ghiacciaio, con il rischio di essere travolti dai blocchi di ghiaccio che cadono sciogliendosi a causa del riscaldamento globale.

Ed ecco perché nella spedizione, conclusa lo scorso 26 giugno, i ricercatori del Cnr-Issia, Isac, Iamc, Ismar e Ibimet si sono fatti aiutare da un robot e da due droni. Le informazioni raccolte, e ancora in corso di analisi, serviranno a raffinare i modelli utilizzati per prevedere l’evoluzione del clima.

Dopo le “prove generali” di due anni fa – ne abbiamo parlato in questo articolo – stavolta gli scienziati

hanno fatto sul serio. “Nel 2015 abbiamo fatto una sorta di sopralluogo, infatti utilizzammo un ‘muletto’, un drone nato con altri scopi e riciclato per le nostre esigenze. In quell’occasione capimmo che avremmo potuto farcela, infatti quest’anno siamo tornati con più mezzi” spiega Gagriele Bruzzone del Cnr-Issia (l’Istituto di studio sui sistemi intelligenti e l’automazione), che ha coordinato la spedizione.

Tre macchine temerarie. Ecco perché Shark (il robot con il viso giallo e il rossetto di cui abbiamo parlato due anni fa) è stato sostituito da Proteus, che prende il nome – non a caso –  dalla divinità greca in grado di cambiare forma a suo piacimento. Da mezzo di superficie in grado di analizzare permafrost e ghiaccio, Proteus può essere trasformato in pochi minuti in un sommergibile in grado di gettarsi a 200 metri sott’acqua e raccogliere le informazioni che ci aiuteranno a capire cosa succede nel mare mentre un ghiacciaio si sta sciogliendo.

Ai dati atmosferici ha pensato Otto, un drone multitasking in grado di scattare foto, girare video e rilevare umidità, temperatura e qualità dell’aria simultaneamente. L’altro drone, Splash, è stato invece il “reporter” che ha documentato la missione con foto e video, anche se spesso è stato utilizzato per tenere d’occhio Proteus ed evitare che si mettesse nei guai.

Perché nelle acque delle Svalbard i guai sono dietro l’angolo. “Si cerca sempre di far lavorare i nostri veicoli in sicurezza, ma le condizioni possono cambiare molto rapidamente – continua Bruzzone – può darsi che dopo aver messo in acqua il robot, dal ghiacciaio si stacchino degli iceberg che vanno alla deriva e lo intrappolino. Ci è successo diverse volte. Spesso abbiamo corso anche qualche rischio pur di recuperarli: del resto per noi questi veicoli sono quasi dei figli, senza contare il loro costo e il valore scientifico che rivestono”.

Ma perché è così importante studiare le caratteristiche dell’accoppiamento mare – atmosfera – ghiaccio? “ I poli sono i regolatori termici del pianeta. Il calore generato alle basse e medie latitudini viene trasportato verso i poli attraverso correnti atmosferiche e oceaniche. L’eccesso di calore prodotto dal riscaldamento globale  determina sull’artico effetti che si manifestano molto più rapidamente che in altre zone del pianeta. La fusione del ghiaccio marino, l’arretramento dei ghiacciai, le variazioni dello strato attivo del permafrost sono conseguenze del riscaldamento globale, e nello stesso tempo determinano il cosiddetto meccanismo di amplificazione artica.  Ecco perché è così importante studiare quello che succede in artico ” spiega Angelo Viola, primo ricercatore all’Isac-Cnr. Viola fa alcuni esempi: “Se il ghiaccio marino si riduce, aumenta l’energia  assorbita dal mare che – riscaldandosi – accelera il processo di fusione. E i fronti dei ghiacciai arretrano più rapidamente. Il ghiaccio che finisce in mare modifica le caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua determinando cambiamenti nella circolazione marina. Lo scioglimento del permafrost favorisce il rilascio da parte del terreno di gas intrappolati come metano e anidride carbonica, che liberati in atmosfera contribuiscono all’effetto serra e quindi ad aumentare il  riscaldamento. Questo è il meccanismo di amplificazione. Criosfera, idrosfera, atmosfera  e geosfera fanno parte di un unico sistema. Noi dobbiamo studiare le interazioni tra queste componenti in maniera integrata. Anche se i processi hanno scale di tempi molto diversi” .

Nel corso della missione sono stati condotti anche campionamenti biologici, dai microbi fino allo zooplancton. Nell’immaginario collettivo i poli non sono aree brulicanti di vita, eppure è vero il contrario. Soprattutto nei pressi di un ghiacciaio in scioglimento. “Un ghiacciaio che si scioglie porta grandi quantità di nutrimento in acqua, pensiamo a tutta la sostanza organica e inorganica che era intrappolata dentro e che si libera” spiega Maurizio Azzaro del Cnr-IAMC, responsabile della biologia nel corso della missione alle Svalbard. “La catena trofica qui funziona molto bene: c’è anche molto zooplancton e fitoplancton, che attira i pesci. I quali, a loro volta, attirano diversi uccelli che se ne nutrono”. Che un ghiacciaio in scioglimento sia un ottimo “fast-food” non è una novità assoluta, ma la campagna appena conclusa fornirà dati e informazioni che fino ad ora era stato impossibile ottenere. E c’è anche qualche novità: “Abbiamo notato che nell’acqua di superficie in prossimità dei ghiacciai ci sono più batteri che virus: normalmente in mare è vero il contrario” continua Azzaro. L’ipotesi è che si tratti di un meccanismo fisico: i virus vengono portati giù, fino al sedimento, adesi alle particelle che affondano.

Il Cnr è alle Svalbard dal 1997  con la stazione Dirigibile Italia (https://www.facebook.com/dirigibileitalia/)  e dal 2009, con la torre Amundsen-Nobile a Ny-Ålesund, ha rilanciato le attività di ricerca in Artico in particolare per i processi che riguardano l’interazione tra superficie e atmosfera. “L’anello mancante è la conoscenza di quello che succede alla superficie marina e sotto, in particolare in prossimità dei fronti dei ghiacciai” , continua Viola.

“Ci sono due modi per capire come sarà il clima nel futuro – conclude Viola, che è anche responsabile delle attività di ricerca della torre Amundsen-Nobile –  il primo è aspettare e vedere cosa succede. Il secondo è quello di raccogliere dati e  informazioni per migliorare sempre più i modelli di previsione climatica”.

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