Chachapoyas, Incas ed i Moai
Osservando i ruderi archeologici mesoamericani e confrontandoli con i Moai dell’Isola di Pasqua, non ho potuto fare a meno di notare alcune somiglianze strabilianti tra le famose statue della civiltà “Rapa Nui” e le sculture funerarie della popolazione peruviana Chachapoyas, un enigmatico popolo che fu incorporato nell’impero Incas.
Prima di passare a spiegazioni più concrete, è giusto che accenni qualcosa su questo popolo andino. I Chachapoyas erano un popolo indigeno del Perù, caratterizzato da una chiarissima colorazione della pelle (a detta di alcuni, sembra essere stata praticamente come quella degli spagnoli colonizzatori, e forse addirittura più chiara). Da qui nacquero una serie di studi e ricerche antropologiche e storico/archeologiche, alla scoperta delle origini di questo popolo (che sembra condussero a risultati contrastanti). Durante gli studi e le ricerche, emersero alcune testimonianze parallele che dichiaravano che i suddetti abitanti peruviani avevano anche i capelli biondi e gli occhi chiari, ma di queste documentazioni si è persa la traccia; ciò che oggi ci è rimasto sono gli scritti dello storico cronista “Pedro Cieza De Leon” e quella di un altro cronista, “El Inca Garcilaso de la Vega”; entrambi trassero le proprie conclusioni dopo aver assimilato informazioni dagli Incas, e quindi non direttamente dai Chachapoyas. Il nome di questo popolo è in lingua Incas ed è la combinazione delle parole di cui è composto, cioè “Sacha-p-Collas” che significherebbe “il popolo della Colla e che vive nei boschi”. “Collas” infatti significa colla e rappresenterebbe la regione boscosa dove essi vivevano (quella appunto dove si produceva la colla). In effetti, a me, interessa un’altra possibile traduzione del nome, che considerato come una variante dal Quechua “Sacha Puya” significa “Popolo delle Nuvole”; in questo caso il territorio dove essi vivevano viene indicato come il Machu Pichu del Nord (anche questa è una strana coincidenza; così come lo è che un popolo detto “delle Nuvole” vivesse in un luogo dove fu eretta una città a 4000 metri di altezza).
Questo nome (Popolo delle Nuvole) ha subito suscitato il mio interesse in quanto avevo già appreso della sua esistenza leggendo le “Cronache di Akakor”, un interessante libro mitico-antropologico scritto da Karl Brugger che racconta le vicende di una popolazione Sud Americana prediluviana, e guarda caso la popolazione a cui appartenevano proprio il “Popolo delle Nuvole” ed altre tribù locali erano una civiltà di bianchi americani che venivano dall’interno della Foresta Amazzonica. Questa presunta civiltà (vissuta da almeno 20000 anni prima del diluvio) di nome “Akakor”, in seguito a vari cataclismi tra cui il Diluvio universale, si sarebbe scomposta fino a creare le tre grandi civiltà del Centro e sud America: Incas, Maya ed Azteca.
Alcune civiltà minori rimasero isolate, ed in seguito all’espansione imperiale delle grandi civiltà precolombiane che conosciamo, vennero gradualmente assimilate (sorte subita proprio dai Chachapoyas), poi successivamente disperse sul territorio conquistato. Quest’ultima manovra politica di re-insediamento chiamata “mitmac” allontanava dal territorio originale i suoi popoli, che così facendo perdevano gradualmente l’identità ed i contatti con gli altri della propria etnia, e quindi anche eventuali istinti di ribellione. Quando però i Conquistadores arrivarono in zona, gli Incas avevano da poco conquistato/occupato i territori del Popolo delle Nuvole. Quest’ultimo approfittò quindi dei nuovi arrivati per allearsi con loro contro gli oppressori imperiali facendo da apripista, da guide locali e persino combattendo al loro fianco. Gli autori spagnoli descrissero questo popolo come europei dal bell’aspetto ma con caratteristiche somatiche degli indigeni, dissero che le donne erano talmente belle da incantare gli uomini, e che questo spesso costava loro la schiavitù e matrimoni forzati con l’Inca e la casta dei nobili. Adesso però parleremo delle sepolture del popolo Chachapoyas che sono alle origini del mio interessamento alla questione. Per mantenere i propri riti funerari ed il proprio modo di seppellire i defunti, il “Popolo delle Nuvole” sfruttava le caverne sulle scogliere a picco, luogo non solo di difficile accesso, ma anche difficile da individuare se non conosciuto. Per fare un esempio di una famosa sepoltura di questo enigmatico popolo, possiamo parlare dei “Sarcofagos ò Purumachos de Karajia” dove osserviamo alcune incredibili statue erette, antropomorfe figure che sono praticamente quasi identiche ai Moai dell’Isola di Pasqua, scolpiti invece dai “Rapa Nui”. La differenza principale delle due tipologie di sculture sta essenzialmente nel materiale: mentre i Moai sono pietre megalitiche scolpite, le sculture funerarie dei Chachapoyas sembrano invece essere fatte di materiale impastabile come argille colorate e cotte al sole. Persino i copricapi ancora visibili in queste figure sono simili a quelli delle sculture dell’isola del Pacifico. Scavando nella cultura di questo popolo andino, si scopre che anche le sculture rituali, le maschere, ecc., somigliano in modo incredibile ai Moai. Tempo fa espressi una mia tesi sui popoli Rapa Nui, i Moai e la fine della civiltà dell’Isola di Pasqua, isola che un tempo doveva essere decisamente molto più estesa di ora. La mia teoria parlava di un mega tsunami di centinaia di metri che spazzò via parte dell’isola e interrò gran parte delle sculture (che dovevano essere guardiani che proteggevano qualcosa che doveva stare sulla parte più alta dell’isola stessa) con la terra trasportata dalla stessa onda. Oggi si sa (e lo feci notare anche io all’epoca) che dietro questi colossi ci sono raffigurazioni simili alle arcaiche tavolette di argilla sumere che narrano degli Annunaki, simili tra l’altro anche ad alcune raffigurazione degli Shardana della Sardegna (di recente è stata trovata proprio nell’isola una tomba in una caverna marina dove all’interno sono presenti reperti identici a quelli sumeri e trattano di un popolo marinaro) conosciuti in tutto il Mar Mediterraneo, e molto simili anche alle raffigurazioni Maya ed Azteche dei popoli marinari che tentarono l’invasione del Sud America.
Allora, vediamo di ricostruire una dinamica plausibile secondo cui io vedo nei Chachapoyas una civiltà discendente dall’Isola di Pasqua. Mettiamo caso che le cose nell’Oceano Pacifico andarono proprio come io spiegai nell’articolo sui Moai ed accennai poco prima in questo, i superstiti di questa civiltà che sapeva erigere grandi sculture monolitiche e templi e possedeva un’ottima conoscenza astronomica, sfuggiti al cataclisma oceanico, si rifugiarono nelle sponde del continente Sud Americano. All’epoca probabilmente le Ande erano più basse (come si evince da studi geologici ben dimostrati) alcune migliaia metri (forse addirittura 4000 metri), cosa che porterebbe Machu Pichu e città come Tiahuanaco ad una quota ragionevole, soprattutto in considerazione del fatto che la seconda città avrebbe avuto un porto enorme, dove sono stati rinvenuti sedimenti marini e non di acqua dolce. Gli sconquassi si sarebbero succeduti ancora, il popolo sopravvissuto avrebbe fondato insediamenti sempre più interni, poi quando la zona si sarebbe assestata, sarebbe cominciato un nuovo esodo verso le coste, che li avrebbe portati allo scontro con gli Incas; di fatto essendo i Chachapoyas un popolo di navigatori e abituato culturalmente al mare, deponevano i loro morti sulla costa e li proteggevano dall’oceano con sculture rappresentanti gli Dei guardiani. Quindi è plausibile che stessero tentando di ricominciare a portare alla luce le proprie tradizioni culturali e religiose, ma lo scontro con l’impero Inca e la successiva colonizzazione spagnola, cambiarono le carte in tavola impedendo ciò, almeno in larga scala. Il viaggio del “Popolo delle Nuvole” verso l’interno della foresta amazzonica spiegherebbe quindi l’incontro con la civiltà di Akakor, popolo che viveva proprio dentro l’Amazzonia, questo spiegherebbe anche la leggenda di Viracocha e di Quetzalcoatl dal punto di vista di navigatori venuti dal mare, con la carnagione bianca ed aspetto caucasico. D’altra parte il tutto giustificherebbe anche le figure negroidi dei Moai e delle sepolture Chachapoyas, che potrebbero essere raffigurazioni dei compagni di viaggio (servi, guerrieri) proprio delle due divinità sopracitate, anche se è mia opinione, che i compagni di viaggio della divinità bianca e barbuta che conosciamo con molti nomi (come i precedentemente menzionati Viracocha e Quetzalcoatl), siano in realtà guerrieri che proteggono il Dio anche dopo la sua morte (forse i famosi guardiani meccanici degli Annunaki, della bibbia – cherubini – o di altri miti?). Non dobbiamo tra l’altro dimenticare che di questi miti ne esistono in quantità in tutte le culture del mondo, una tra tutte quella della figura di Horus (Dio del pantheon egizio) e degli uomini neri che lo scortano e lo proteggono (forse i famosi negroidi guardiani di cui stiamo parlando?). Vorrei dare una risposta certa e definitiva, ma questo non è possibile. Confido però nel fatto che ognuno in cuor proprio ha sempre la risposta ad un enigma, anche quando non ci sono prove a supporto; in questo caso, seppur non si tratti di prove empiriche i tasselli collimano e le coincidenze sono tante.