A terra ci sono ancora orme di scarponi. Decine, forse centinaia di passi lungo un sentiero di terra vulcanica al quale si arriva da via Zabatta, una provinciale lunghissima che da Ottaviano porta fino a Boscotrecase e da lì alla Panoramica, nel cuore del parco nazionale del Vesuvio. Nelle ragnatele di strade laterali, quando cala la notte è buio pesto: le vie non hanno luce e non sono asfaltate, eppure ci sono segni delle ruote di auto che vanno e vengono. Percorrendo quelle strade a piedi, dopo meno di dieci minuti, si arriva alle pinete sterminate di alberi di nocciole e di pini dove perdere l’orientamento è facilissimo, ma che al calar del sole diventano un luogo sicuro per abbandonare veleni. Il Vesuvio è proprio di fronte, imponente e silenzioso. A centocinquanta metri da quel punto, la puzza acre di bruciato è ancora fortissima e dà fastidio alla pelle, al naso e agli occhi. Fino a pochi giorni fa, su per quel sentiero, c’era l’inferno con fiamme altissime e fumo denso. Oggi però non c’è solo la cenere della vegetazione sparita nel nulla, ma anche rifiuti. Tonnellate, raccolti in cumuli in centinaia di zone, nel cuore della riserva protetta.
È quel che resta di ciò che ha alimentato le fiamme diventate per questo indomabili e che in meno di una settimana hanno mandato in fumo centinaia di ettari di parco naturale. Fuoco indomabile che non si spegneva neanche con migliaia di litri di acqua lanciata dall’alto. Colonne nere e dense di fumo visibili anche da Napoli, arrivate fino in Salento, Ma perché? Sono andati distrutti non solo pini e noccioleti ma tonnellate di scarti industriali di aziende tessili e di vernici che il Corriere del Mezzogiorno ha trovato e fotografato. Diossina sprigionata dalla fusione dovuta alle altissime temperature che hanno avvolto le lastre di amianto abbandonate e cumuli di pneumatici, respirata per giorni dai residenti dei paesi che avvolgono le pendici del Vesuvio.
E se non bastasse c’erano agenti chimici di solventi usati per il trattamento dei prodotti in pelle. Nelle pinete del Vesuvio c’era tutto questo: la bomba ecologica è scoppiata e la prova non è data da ciò che è stato distrutto dalle fiamme e che quasi sicuramente non si ritroverà più, ma da ciò che è rimasto intatto a pochissimi metri dalla linea di fuoco. Da via Zabatta si sale per le pendici del vulcano e ci si perde nelle pinete, ma ogni sera qualcuno che conosce benissimo quelle strade solitarie e buie, ha abbandonato sacchi di tessuti, barattoli di vernice, pneumatici, televisori, bidoni, frigoriferi, tubi con lastre di amianto. E ci sono vie dove i rifiuti sono talmente vecchi che sembrano far parte del panorama: un camion e un serbatoio di una motrice che arrugginiti, da lontano, possono sembrare rocce vulcaniche.