Il distacco dell’iceberg da Larsen C spiegato da un glaciologo

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Il distacco dell’iceberg da Larsen C spiegato da un glaciologo

Un evento naturale, o un effetto del riscaldamento globale? Quali conseguenze avrà sul livello del mare? Perché è avvenuto durante l’inverno (antartico)? Dove si dirigerà ora? Focus lo ha chiesto a un glaciologo, e le risposte non sono affatto scontate.
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Tra il 10 e il 12 luglio 2017 un iceberg di quasi 6.000 km quadrati e mille miliardi di tonnellate di peso si è staccato dalla piattaforma di ghiaccio Larsen C, la più grande della Penisola Antartica. Il processo è stato ampiamente ripreso dai media di tutto il mondo, e spesso interpretato come un altro dei disastrosi effetti dei cambiamenti climatici. È davvero così? Come è avvenuta la separazione del mega iceberg – ribattezzato A-68 – e che cosa dobbiamo aspettarci?

Ne abbiamo parlato con Renato R. Colucci, climatologo e glaciologo dell’Istituto di Scienze Marine (ISMAR) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, docente di glaciologia all’Università di Trieste.

Che cos’è il calving? Il calving (“partorire”, in inglese) o distacco dei ghiacci «è uno dei processi di ablazione (fusione) naturale caratteristico dei ghiacciai, che nel loro lento fluire verso valle per effetto della gravità e delle deformazioni interne causate dalla loro stessa massa, raggiungono un lago o il mare. Il processo di fusione che avviene nella parte a più bassa quota dei ghiacciai in prossimità della fronte, porta in questo caso al distacco e crollo di porzioni di ghiaccio più o meno grandi: gli iceberg. Le stesse Alpi hanno qualche ghiacciaio che terminando in un lago alpino genera dei piccoli iceberg da calving; altri esempi noti avvengono nei mari dell’emisfero australe – un famoso ghiacciaio che fa calving è il Perito Moreno».

Ai poli è diverso? «Ai poli il calving riguarda principalmente gli ice streams, veri e propri fiumi di ghiaccio che drenano verso il mare il ghiaccio delle calotte antartica e groenlandese, e le ice shelves o piattaforme polari, ma su scala molto più grande: una ice shelf può avere dimensioni da decine o centinaia, fino a decine di migliaia di km quadrati di superficie. Stiamo parlando di ghiacciai continentali che arrivano in mare e avanzano in esso appoggiandosi spesso in parte sul fondale, per poi assottigliarsi nella parte terminale e galleggiare sotto la spinta idraulica marina (da qui il loro aspetto in sezione simile ad una mensola – shelf appunto)».

Come è fatta una piattaforma glaciale (ice shelf): nello schema si nota che poggia sul fondale marino. | Wikimedia Commons

Dove avviene il distacco? «Il comportamento dei calving glaciers è molto vario. Alcuni fluiscono più lentamente e producono iceberg solo di rado, altri sono molto rapidi e generano enormi quantità di iceberg alla loro fronte. La produzione maggiore di iceberg si verifica in ogni caso nella parte terminale di ogni ghiacciaio dove le caratteristiche climatiche sono più miti e il ghiaccio rimane esposto per lunghi periodi in seguito alla fusione nivale. Se non intervenisse il calving a tagliare queste lingue di ghiaccio, il ghiacciaio potrebbe espandersi indefinitamente, ed è quanto avviene durante le ere glaciali, quando le calotte di ghiaccio crescono di dimensione per le mutate condizioni climatiche».

Che rapporto c’è tra calving e cambiamenti climatici? Risposta breve: il riscaldamento globale accelera un processo di per sé naturale.

Risposta articolata: «È chiaro che il concetto di calving è strettamente legato alle condizioni climatiche, cioè sia alla temperatura atmosferica, sia a quella dei mari. I ghiacciai sono per così dire “attaccati” da questi due fronti. Se il distacco di questo grande iceberg dalla Larsen C sia strettamente collegato al global warming è difficile da stabilire. Ma tutto il processo di accelerazione del calving che si sta osservando in Antartide, nei ghiacciai più piccoli della Patagonia così come in Groenlandia o in Alaska è chiaramente legato alla modificazione del clima, quindi all’aumento delle temperature medie annuali, al prolungamento della stagione calda e all’aumento della temperatura degli oceani. La correlazione è ovvia».

Un iceberg tabulare (cioè ghiaccio “piatto”) al limitare di una piattaforma di ghiaccio antartica. | Shutterstock

Quali studi lo dimostrano? «Moltissimi, in particolare quelli che si sono occupati di misurare le interazioni clima-atmosfera e le variazioni di velocità degli ice-stream antartici. Si è ad esempio visto come il limite di vitalità delle ice shelves corrisponda all’isoterma (una delle linee sulle carte meteorologiche che uniscono le località con la stessa temperatura) dei – 9 °C. Quando cioè la temperatura media dell’anno sale al di sopra dei 9 gradi sotto lo zero, le ice shelves collassano.

Se tracciamo l’isoterma – 9 °C nella Penisola Antartica, questa linea corrisponde perfettamente con il profilo delle altre piattaforme che hanno subito distacchi in passato, come Larsen A e Larsen B. Questo perché la temperatura dall’altra parte, dove non c’è più il ghiaccio, è ora troppo alta per sostenere la permanenza di una ice shelf».

Perché allora alcuni ricercatori sul campo sembrano aver ridimensionato il rapporto tra l’evento e il global warming? Risposta breve: perché la componente naturale è prevalente.

Risposta articolata: In un articolo pubblicato su The Conversation, Adrian Luckman, un autorevole glaciologo esperto in immagini satellitari che negli ultimi anni ha lavorato su Larsen C, ha affermato che questo processo non possa essere trattato esclusivamente come una questione di global warming. Perché questa precisazione?

«Luckman non ha radicalmente escluso una relazione tra il fenomeno e i cambiamenti climatici. Voleva forse affermare, un po’ provocatoriamente, che non tutti i processi possono essere assimilati soltanto al riscaldamento globale. Anche perché se non ci fosse il calving, l’ice sheet non sarebbe in equilibrio nemmeno in fasi climatiche stabili e si espanderebbe indefinitamente, cosa che non avviene verosimilmente da almeno 10 mila anni, ossia nel corso di tutto l’Olocene».

Le piattaforme di ghiaccio della Penisola Antartica occupano tre diverse baie lungo la costa: Larsen C è la più grande. Larsen A si è del tutto disintegrata nel 1995. Larsen B è in parte collassata nel 2002. Rimangono buona parte di Larsen C, e Larsen D. | Image via Antarctic Glaciers.org

Quali gli effetti sul livello dei mari? Risposta breve: per il momento, nessuno. «Un altro punto toccato da Luckman riguarda l’innalzamento del livello del mare. Il distacco del super iceberg ha suscitato allarmismo in tal senso, ma ingiustificato: se anche le ice shelves collassassero tutte, l’effetto sul livello del mare sarebbe minimo in quanto si tratta di ghiaccio che già è in acqua.

Se ho un bicchiere d’acqua con un cubetto di ghiaccio dentro e traccio una linea col pennarello sul livello raggiunto, quando il ghiaccio sarà completamente fuso il livello sarà lo stesso. Quando gela, l’acqua si espande del 9% rispetto al volume iniziale. Il ghiaccio che sta in acqua, a causa di questa espansione, affiora più o meno del 9%. Quindi la parte che sta fuori è più o meno corrispondente a quella parte che tornando acqua ridurrà il volume. Sostanzialmente, non capita niente».

«Quello che potrà eventualmente succedere in futuro è che, non avendo più un freno sul mare, tutti i ghiacciai che fluiscono in questo ice shelf accelerino, diventino più dinamici e drenino quindi maggior ghiaccio continentale, che a sua volta fonderà in mare; allora sì, ci sarebbe un contributo all’aumento del livello dei mari, perché in questo caso si tratterebbe di ghiacci che stanno sulla terra (che quindi per il momento hanno portato via ghiaccio ai mari). Per lo stesso motivo anche se fondesse tutto l’Artico il livello dei mari praticamente non ne risentirebbe, perché è già ghiaccio che sta in acqua».

Un gigantesco iceberg tabulare nel mare di Weddell, in Antartide. | Shutterstock

Perché il distacco è avvenuto in inverno? «Di solito questi processi avvengono durante l’estate. In questo caso, è successo quando in Antartide era pieno inverno. Questo perché a comandare il processo, date le dimensioni della spaccatura (oltre 175 km di lunghezza) era ormai un discorso di tipo meccanico e non climatico. Sarebbe potuto succedere in qualunque stagione».

Come si fratturano le ice shelves? Risposta breve: prima si formano crepe, poi fratture vere e proprie.

Risposta articolata: «Immaginiamo di tirare una bistecca: tutte le fibre della sua struttura si allungheranno e romperanno internamente creando degli spazi. La stessa cosa fa un ghiacciaio, scivolando ed accelerando il suo flusso si stira, dando origine a crepacci che raggiunto il mare si riempiono di acqua. Spesso sulla superficie delle piattaforme glaciali durante l’estate si formano anche dei laghi superficiali che hanno la doppia funzione di concentrare la radiazione solare scaldando l’acqua (perché l’acqua è più scura della neve e l’albedo è minore) e scavare il ghiacciaio in profondità, bucandolo, un po’ come avviene nelle rocce carsiche con le grotte.

A un certo punto tutte queste fette di ice shelf verticali cominciano a ribaltarsi una sull’altra come in un effetto domino, portando alla creazione di migliaia di iceberg più piccoli che fondono poi molto più rapidamente. Questo iceberg di Larsen C, con l’arrivo dell’estate inizierà verosimilmente a frammentarsi – anche perché probabilmente inizierà a spostarsi verso acque più calde a nord – ma essendo molto grande potrebbe resistere molto più a lungo. Il destino finale sarà comunque quello di rompersi in tanti iceberg minori».

La localizzazione della Penisola Antartica, e l’avanzamento della frattura di Larsen C nei mesi scorsi. | MIDAS

Dove andrà a finire il super iceberg? «La circolazione intorno all’Antartide è abbastanza chiusa, è verosimile che cominci a girare attorno al continente. Ma se dovesse andare verso nord il processo di fusione accelererebbe». I ricercatori dell’Helmholtz Centre for Polar and Marine Research hanno individuato quattro possibili “autostrade” in cui si muovono gli iceberg antartici di varia dimensione, a seconda del punto di origine. Il gigantesco A-68 dovrebbe seguire la rotta che porta alla costa orientale della Penisola Antartica, dal mare di Weddell verso l’Atlantico. Probabilmente si dirigerà verso la Georgia del Sud e le Isole Sandwich Australi.

Che ne sarà dei fondali marini sui cui la piattaforma staccata si poggiava? «Il “pezzo” di Larsen C che si è staccato è interamente galleggiante, ma in generale i segni lasciati sul fondale dalle ice shelves scomparse saranno utili ai glaciologi del futuro: già oggi la ricostruzione delle ice sheets del passato si fa guardando ai fondali oceanici, perché questi giganti di ghiaccio hanno lasciato tracce sul fondale, preservate anche a distanze di 20 mila anni. Grazie a queste macro-tracce è possibile ricostruire le estensioni delle calotte glaciali del passato.

Le ice shelves e gli icebergs poi, quando fondono, rilasciano in mare massi strappati dal continente e scivolati fino a valle. In questo modo è stato possibile, per esempio, calcolare dove arrivava l’Artico 20 mila anni fa: la calotta eurasiatica copriva l’intera Scozia partendo dalle Alpi norvegesi, mentre gli iceberg in mare la lambivano scendendo dall’Atlantico settentrionale».

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