Un cratere da impatto sulla superficie di Marte, immagine ripresa da Hirise a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter della Nasa. Crediti: Nasa/Jpl/University of Arizona
Nei meteoriti che arrivano da Marte e dalla Luna coesistono composti di silicio assai diversi tra loro, un mistero questo su cui gli scienziati si sono interrogati da sempre. Ora un team di ricercatori guidati da Leonid Dubrovinsky, dell’Università di Bayreuth, sembra essere riuscito a dare una soluzione al mistero grazie all’esperimento Desy (Deutsches Elektronen-Synchrotron), e in particolare all’anello di stoccaggio e accelerazione Petra III.
Gli scienziati hanno studiato un minerale (SiO2) chiamato cristobalite, o biossido di silicio, che deve il suo nome al Cerro San Cristobal, vicino a Pachuca, in Messico. «Questo minerale è particolarmente interessante quando si analizzano campioni planetari, come le meteoriti, perché è il minerale di silice predominante nei materiali extraterrestri», spiega il primo autore dello studio Ana Černok, del Bayerisches Geoinstitut dell’Università di Bayreuth. «La cristobalite ha la stessa composizione chimica del quarzo, ma la struttura è significativamente diversa», aggiunge il coautore Razvan Caracas del Cnrs, Ens di Lione.
La cristobalite è relativamente rara sulla superficie terrestre: si forma infatti solo a temperature molto alte e in condizioni particolari. È però abbastanza comune nei meteoriti di origine lunare e marziana, nei quali i ricercatori hanno rinvenuto anche un altro composto di silice, la seifertite, sintetizzata da Dubrovinsky e dai suoi colleghi 20 anni fa, che ha bisogno di pressioni estremamente elevate per formarsi. «Il rinvenimento di cristobalite e seifertite nello stesso grano di materiale meteorico è davvero un enigma, in quanto i due minerali si formano in condizioni di pressione e temperatura molto diverse», sottolinea Dubrovinsky. «A partire da questa osservazione, il comportamento della cristobalite ad alta pressione è stato esaminato in numerosi studi sperimentali e teorici da più di due decenni, ma il puzzle non era stato mai stato risolto». Fino ad ora.
Utilizzando gli intensi raggi X del Petra III dell’esperimento Desy, in Germania, e lo Esrf (European Synchrotron Radiation Facility) di Grenoble, gli scienziati hanno analizzato il comportamento della crisobalite in condizioni di pressione elevate, fino a 83 gigapascal (GPa), circa 820mila volte la pressione atmosferica. «Gli esperimenti hanno mostrato che quando la cristobalite è compressa in modo uniforme o quasi uniforme – in gergo, in condizioni idrostatiche o quasi-idrostatiche – essa assume una conformazione che viene definita cristobalite X-I», spiega la coautrice Elena Bykova, del Desy. «Quando la pressione viene rilasciata il processo si inverte, e la cristobalite torna alla sua struttura “normale”».
Cristalli di cristobalite allo Harvard Mineralogical Museum Crediti: Rruff Project / University of Arizona
Ed ecco la scoperta: gli esperimenti hanno dimostrato che, se la cristobalite è compressa in modo non uniforme, ovvero in condizioni non idrostatiche, essa si converte in una struttura simile alla seifertite. Questa struttura si forma in condizioni di pressione assi minori rispetto a quelle necessarie per formare seifertite dalla silice ordinaria. «I calcoli confermano la stabilità dinamica della nuova fase fino a pressioni elevate», afferma Caracas. «Inoltre essa rimane stabile anche quando la pressione viene liberata».
Lo studio ha quindi stabilito che la cristobalite si può trasformare in seifertite a una pressione molto inferiore rispetto a quella prevista. Pertanto, i meteoriti che contengono seifertite associata a cristobalite non hanno necessariamente subito impatti massicci, con le conseguenze del caso sullo studio dei processi da impatto nel Sistema solare.
Le osservazioni mostrano, più in generale, che lo stesso materiale può reagire in modo molto diverso alla pressione idrostatica e non idrostatica.