Il grande terremoto di Mw 7.0 che colpì il Sannio il 5 giugno 1688

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Il grande terremoto di Mw 7.0 che colpì il Sannio il 5 giugno 1688

Il 5 giugno 1688, attorno alle ore 20 locali, un violento terremoto (Mw 7.0) colpì l’Italia meridionale; Pompeo Sarnelli, all’epoca Abate del collegio di Santo Spirito a Benevento e testimone oculare dell’evento, così racconta i terribili attimi della scossa da lui stesso vissuti:

Era il quinto giorno di Giugno, Sabato vigilia della SS. Pentecoste, sesta del nostro insigne Collegio di S. Spirito nella Chiesa di S. Maria di Costantinopoli, quando io, Abate del medesimo [Collegio, ndr], preparavami per andarvi à celebrare la solennità de’ primi Vespri. Ed, essendo già hora, pensava d’inviarmi verso colà […]. Ed ecco, che sonate le 20. hore, sentii una grande scossa alla stanza. […] ed in un subito (erano le venti hore, e mezza) senza accorgermi di altra scossa, vidi precipitarmi addosso la soffitta, e tetto della stanza. […] onde cessata la scossa, restai tutto pesto, e contuso sotto le rovine della soffitta, del tetto, e del muro à me vicino… [Sarnelli 1688, pp.70-71]

I massimi effetti distruttivi si ebbero nel Sannio, a nord-ovest di Benevento e a sud-ovest dei Monti del Matese: i paesi di Cerreto Sannita, Civitella Licinio e Guardia Sanframondi furono completamente rasi al suolo. In questi centri l’intensità macrosismica della scossa arrivò al grado 11 della scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS), tra le più alte rilevate nella intera storia sismica italiana. Altri 20 paesi e villaggi situati nelle attuali province di Benevento e di Avellino furono quasi completamente distrutti (I>9 MCS).

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Effetti del terremoto del 5 giugno 1688 [fonte: DBMI11].

Nell’insieme, circa 120 centri subirono distruzioni più o meno estese, su un’area complessiva di oltre 50.000 kmq. Un’altra quarantina di località subì invece danni diffusi ma di minore entità. Fra i centri gravemente danneggiati ci furono anche le città di Napoli, Avellino e, soprattutto, Benevento. L’abitato di Benevento, infatti, complice anche la scarsa qualità dei materiali edilizi, subì enormi danni: più dell’80% degli edifici della città fu distrutto o gravemente danneggiato.

La pianta di Benevento con l'indicazione dei danni subito a seguito del terremoto del 5 giugno 1688 (fonte: V. Vari, 1927).

La pianta di Benevento con l’indicazione dei danni subiti a seguito del terremoto del 5 giugno 1688 (fonte: V. Vari, 1927).

Tutti gli edifici pubblici ed ecclesiastici riportarono crolli e danni estesi, alcuni crollarono totalmente. Fra i monumenti gravemente danneggiati c’è la Chiesa di Santa Sofia: crollarono le aggiunte medievali, la cupola centrale e il campanile romanico. Il nuovo campanile che oggi domina su Corso Garibaldi, la strada principale della città, fu ricostruito nel 1703, in una posizione diversa da quella originale, nell’ambito delle mura che allora recingevano il convento e il giardino.

http://www.comunebn.it/webcambn/SantaSofia.php

Chiesa di Santa Sofia a Benevento, VIII sec. http://www.comunebn.it/webcambn/SantaSofia.php

Molto gravi i danni anche a Napoli, distante circa 50 km dall’area epicentrale in direzione sud-ovest: tutti gli edifici della città subirono lesioni più o meno importanti e i crolli furono diffusi. Dopo la scossa le strade cittadine apparivano ingombre di macerie e di detriti, moltissimi erano gli edifici che dovettero essere puntellati. Una trentina fra chiese e altri edifici religiosi furono gravemente danneggiati.

La notizia del terremoto pubblicata dalla gazzetta bolognese “Bologna” del 29 giugno 1688, a più di tre settimane dall’evento. All’epoca le notizie impiegavano anche molti giorni o settimane per arrivare per lettera in altre città italiane e estere. In questo caso la notizia da Napoli arriva prima a Roma, poi da qui giunge a Bologna incorporata nelle lettere inviate da Roma (immagine per gentile concessione della Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio di Bologna).

La notizia del terremoto pubblicata dalla gazzetta bolognese “Bologna” del 29 giugno 1688, a più di tre settimane dall’evento. All’epoca le notizie impiegavano anche molti giorni o settimane per arrivare per lettera in altre città italiane e estere. In questo caso la notizia da Napoli arriva prima a Roma, poi da qui giunge a Bologna incorporata nelle lettere inviate da Roma (immagine per gentile concessione della Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna).

I morti furono diverse migliaia. In alcuni dei paesi più devastati la mortalità fu elevatissima: a Cerreto Sannita il terremoto uccise la metà degli abitanti (4000 vittime su 8000 residenti); a Guardia Sanframondi oltre 1000; a Civitella Licinio le uniche persone sopravvissute furono quelle che al momento della scossa si trovavano al lavoro nei campi; a Benevento morirono quasi 1400 dei 7500 abitanti che la città all’epoca contava. Un numero imprecisato di vittime si contarono anche a Napoli e ad Avellino. Si stima che le vittime totali del disastro furono circa 10.000, anche se a questo riguardo le fonti storiche non forniscono un numero preciso. Il numero dei morti fu influenzato dall’ora a cui avvenne la grande scossa, quando gran parte della popolazione rurale si trovava al lavoro nei campi; già all’epoca si ritenne che se il terremoto fosse avvenuto in piena notte avrebbe fatto un numero ancora più elevato di morti.

Particolare della figura precedente.

Particolare della figura precedente.

La scossa principale fu avvertita in almeno 5 delle attuali regioni italiane: Campania, Molise, Abruzzo, Lazio, Basilicata e Puglia, su un’area di oltre 80.000 kmq. Secondo Sarnelli (1688) già a metà febbraio del 1688 a Benevento erano state avvertite due scosse di terremoto, che non avevano causato danni. Un’altra scossa fu avvertita nella stessa giornata del 5 giugno, circa mezz’ora prima dell’evento principale. A questo poi seguirono repliche almeno fino a dicembre 1688.

Imponenti furono anche gli effetti causati dalla scossa sull’ambiente naturale e sul territorio. Furono interessati sia i suoli che le acque: grandi spaccature si aprirono nei monti del Sannio, accompagnate in alcuni casi dalla fuoriuscita di gas, nacquero nuove sorgenti, altre già esistenti si intorbidarono. Ci furono frane e cadute di massi dai versanti montani. Un’enorme frana si abbatté sul villaggio di San Lorenzello e uccise centinaia di persone su un migliaio di abitanti. I fiumi Sabato e Volturno subirono deviazioni e intorbidamenti (Boschi et al., 2000).

Una stampa raffigurante la città di Benevento nel XVII secolo.

Una stampa raffigurante la città di Benevento nel XVII secolo.

Quello del giugno 1688, per estensione dell’area colpita, gravità degli effetti e numero di vittime, è uno dei disastri sismici più importanti della storia italiana. Il terremoto interessò due antichi stati: gran parte dell’area colpita apparteneva infatti al Regno di Napoli (per la geografia politico-amministrativa del Regno di Napoli si veda qui), governato da un viceré spagnolo (all’epoca il re era Carlo II di Spagna); la città di Benevento invece afferiva allo Stato della Chiesa – e dunque costituiva una enclave del papato dentro il Regno di Napoli – e aveva un governatore nominato dal Papa. I villaggi e i castelli della campagna costituivano dei piccoli potentati locali, in parte feudali.

Per ricostruire la storia di questo catastrofico evento e lo scenario degli effetti sul territorio, i sismologi storici hanno svolto una approfondita ricerca in vari archivi, dislocati tra Italia e Spagna: principalmente l’Archivio di Stato di Napoli, ma anche l’Archivio General di Simancas in Spagna, per quanto riguarda il Regno di Napoli (notizie utili sono state inoltre rintracciate anche nella documentazione diplomatica conservata presso l’Archivio di Stato di Venezia); l’Archivio di Stato di Roma e l’Archivio Segreto Vaticano per quanto riguarda invece il territorio appartenente allo Stato Pontificio (Boschi et al., 2000). Oltre che nelle fonti archivistiche, altre importanti descrizioni degli effetti si trovano in documenti di vario tipo, dalle gazzette del tempo (ad es. Bologna, 1688.06.29) alle relazioni a stampa (per un dettagliato elenco di fonti storiche su questo evento si rimanda alla bibliografia presentata da Boschi et al., 2000).

L’analisi delle fonti ha permesso di ricostruire l’impatto devastante del terremoto sul tessuto sociale e sulla economia della vasta area colpita, che entrambi i governi coinvolti nel disastro tentarono di arginare con politiche di sgravio fiscale e interventi di vario tipo. La popolazione abbandonò gli abitati distrutti e abitò a lungo in baracche e alloggi di fortuna, spesso in condizioni di grande precarietà. Intere infrastrutture – tra cui mulini, forni e frantoi – andarono distrutte, creando enormi disagi anche negli approvvigionamenti alimentari.

A Napoli, capitale del Regno, ci furono problemi di ordine pubblico e episodi di sciacallaggio e saccheggio; le carceri rimasero gravemente danneggiate e molto detenuti fuggirono o furono lasciati liberi. I rappresentanti del governo e gran parte della aristocrazia napoletana abbandonarono la città e si rifugiarono nelle residenze estive di campagna o di mare, lasciando ancora più nel caos la situazione già difficile in cui versava la capitale. Alla fine di giugno, a oltre tre settimane dall’evento, tutte le attività economiche e di governo risultavano ancora ferme.

A Benevento la situazione era anche peggiore, con gran parte della città in rovina. L’impatto della notizia del terremoto del 1688 fu così forte che il Papa inviò i suoi esperti della Camera Pontificia per visionare gli edifici distrutti di Benevento. I danni erano enormi e le risorse economiche messe a disposizione dall’amministrazione papale, largamente insufficienti, vennero destinate per lo più alla ricostruzione dell’edilizia pubblica ed ecclesiastica. La conseguenza fu che la ricostruzione nel beneventano fu molto lenta e spesso intralciata da contenziosi che nascevano tra la cittadinanza beneventana e le autorità della Camera Pontificia, e che in alcuni casi andarono avanti anche per decenni (Boschi et al., 2000). Oltre a ciò la ricostruzione fu rallentata anche da un altro violento terremoto che colpì gravemente Benevento e la sua provincia il 14 marzo 1702 (Locati et al., 2011), appena 14 anni dopo la catastrofe del 1688.

Dalle osservazioni degli esperti della Camera Pontificia scaturirono indicazioni fondamentali per la ricostruzione. In particolare, nelle murature fu riscontrato l’uso di ciottoli di fiume per i quali la calce non rappresentava un buon legante, mentre gli edifici in mattoni, per quanto danneggiati, resistettero meglio. Nella ricostruzione fu quindi consigliato di usare mattoni o pietre squadrate al posto di ciottoli e pietrame, di costruire case basse e usare le macerie per produrre nuova calce.

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Una veduta odierna dei resti del vecchio abitato di Cerreto Sannita, raso al suolo dal terremoto del 1688 e successivamente abbandonato (http://it.wikipedia.org/wiki/Cerreto_antica).

Il vecchio abitato di Cerreto Sannita, totalmente raso al suolo dalla scossa, fu abbandonato. Il conte Marzio Carafa, feudatario di Cerreto, su consiglio di tecnici e ingegneri decise di ricostruire la nuova cittadina più a valle, su un terreno considerato più stabile e seguendo criteri di costruzione considerati all’epoca moderni e antisismici: una pianta con strade larghe, isolati squadrati, edifici di 1 o 2 piani, muri di pietre squadrate, ecc.

Quello di Cerreto è solo uno degli innumerevoli casi, nella storia italiana, di abitati distrutti da eventi naturali (terremoti, frane, alluvioni ecc.) e ricostruiti in una sede diversa, ritenuta più sicura, come nel caso di Gibellina dopo il terremoto del Belice del 1968.

Il Beneventano, come già accennato, sarà nuovamente colpito da forti terremoti distruttivi nel 1702 e nel 1805 (quest’ultimo in realtà è un grande terremoto con epicentro nell’area del Matese, in Molise), a riprova dell’elevata pericolosità sismica che caratterizza questo settore dell’Appennino meridionale.

A cura di Filippo Bernardini (INGV-Bo), Concetta Nostro (INGV-CNT), Maurizio Pignone (INGV-CNT), Carlo Meletti (INGV-Pi).

Si ringrazia la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna per i materiali gentilmente concessi.

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