Crateri sottomarini raccontano di antiche “esplosioni” di metano sui fondali dell’Artico

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Crateri sottomarini raccontano di antiche “esplosioni” di metano sui fondali dell’Artico

Alla fine dell’ultima glaciazione, fra 15.000 e 12.000 anni fa, il metano intrappolato come gas idrato nei fondali dell’Artico venne rilasciato in maniera esplosiva, con la formazione di centinaia di crateri sottomarini. Il riscaldamento delle acque potrebbe riproporre il fenomeno, permettendo a quel potente gas serra di raggiungere l’atmosfera
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All’interno di crateri sottomarini sono intrappolate enormi riserve di metano che al momento ne filtrano in quantità ridotte, ma che potrebbero dar luogo a improvvisi rilasci massicci, tali da raggiungere l’atmosfera, con effetti sul clima ancora tutti da chiarire.

E’ questa la conclusione di uno studio condotto da ricercatori dell’Università Artica Norvegese a Tromsø, che firmano un articolo pubblicato su “Science”, che hanno analizzato lo stato di centinaia di questi crateri individuati sul fondale del mare di Barents.

Antiche "esplosioni" di metano sui fondali dell'Artico

I crateri si formarono circa 12.000anni fa, ma anche oggi continua una lenta fuoriuscita di gas. (Cortesia Andreia Plaza Faverola/CAGE)

Durante le glaciazioni, il metano liberato dal fondale marino è rimasto intrappolato sotto gli spessi strati di ghiaccio soprastanti, formando miscele di gas e acqua, o idrati, che sono stabili e rimangono allo stato solido a pressioni come quelle che si hanno a 300 metri di profondità e se le temperature sono inferiori ai 5 °C.

Karin Andreassen e colleghi hanno scoperto che in seguito al riscaldamento climatico avvenuto fra 15.000 e 12.000 anni fa, si liberarono improvvisamente enormi quantità di questo metano intrappolato, creando caratteristiche formazioni a cratere e raggiungendo l’atmosfera.

Antiche "esplosioni" di metano sui fondali dell'Artico

L’area studiata dai ricercatori. (Cortesia K. Andreassen/CAGE)

Alcuni di questi crateri sono stati osservati per la prima volta negli anni novanta, ma grazie alle nuove tecnologie si è dimostrato che interessano un’area molto più ampia di quanto si credeva inizialmente.

“Noi ci siamo concentrati sui crateri da 300 metri a 1 chilometro di diametro, mappandone circa un centinaio, ma ci sono molte centinaia di crateri più piccoli, di larghezza inferiore a 300 metri”, spiega Andreassen.

La presenza di grandi depositi di gas idrati nei fondali dei mari artici è nota da tempo, ma le modalità del rilascio di metano influiscono significativamente sul suo destino.

Pur essendo un potente gas serra, il metano rilasciato lentamente dai depositi sottomarini non contribuisce in modo particolarmente sensibile al riscaldamento climatico – osservano i ricercatori – perché gran parte di esso viene ossidato nella risalita lungo la colonna d’acqua che attraversa per raggiungere l’atmosfera. Al contrario, un rilascio improvviso e violento permetterebbe al gas di raggiungere inalterato l’atmosfera sotto forma di grandi bolle.

Allo stato attuale, concludono i ricercatori, non si può escludere che il cambiamento in atto delle condizioni dei mari artici, con l’assottigliamento dello stato dei ghiacci e l’innalzamento delle temperature dell’acqua, possa portare a una repentina destabilizzazione dei gasi idrati e quindi alla liberazione esplosiva di metano.

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