Sei astrofisiche italiane conquistano la NASA con uno studio sui buchi neri
Sei astrofisiche italiane con un’età compresa tra i 27 e i 46 anni hanno attirato l’attenzione della NASA con un affascinante studio sui buchi neri. Una delle ricercatrici è stata coinvolta per parlare di questi (e altri) oggetti celesti sul blog ufficiale dell’agenzia.
di Andrea Centini
scienze.fanpage.it
A sinistra e a destra dello schermo Raffaella Schneider e Edwige Pezzulli. Nello schermo, da in alto a sinistra e in senso orario: Rosa Valiante, Tullia Sbarrato e Simona Gallerani. Crediti: Michele Ginolfi
in foto: A sinistra e a destra dello schermo Raffaella Schneider e Edwige Pezzulli. Nello schermo, da in alto a sinistra e in senso orario: Rosa Valiante, Tullia Sbarrato e Simona Gallerani. Crediti: Michele Ginolfi
Grazie a uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Monthly notices of royal astronomic society dell’Università di Oxford, una delle più autorevoli al mondo nel settore di riferimento, un gruppo di ricerca composto da sei giovani astrofisiche italiane è riuscito a catturare l’interesse della NASA, che dopo aver pubblicato una cosiddetta “press release” ha coinvolto una delle ragazze per trattare di quasar, buchi neri e origine dell’Universo sul proprio blog ufficiale.
Nello studio che ha conquistato gli americani, dal titolo “Faint progenitors of luminous z ∼ 6 quasars: Why do not we see them?”, le ricercatrici si sono concentrate sull’analisi di un antichissimo quasar (un brillante nucleo galattico di 13 miliardi di anni) e lo hanno messo in relazione con l’attività dei buchi neri primordiali, quando l’Universo era piuttosto giovane, ovvero a 800 milioni di anni dal Big Bang che lo ha originato. Le studiose, che si sono avvalse delle rilevazioni del telescopio spaziale Chandra e dello Sloan digital sky survey (SDSS), un progetto spettroscopico per lo studio delle galassie e di altri grandi oggetti celesti, hanno spiegato che non riusciamo a vedere questi giganti poiché “il loro processo di accrescimento – nel quale emettono radiazioni – fu rapido e si spense in fretta”.
L’ambito riconoscimento della NASA, considerato un vero e proprio traguardo per molti ricercatori che si occupano di astronomia, è frutto del durissimo – e altamente specializzato – lavoro che Edwige Pezzulli, Rosa Valiante, Maria C. Orofino, Raffaella Schneider, Simona Gallerani e Tullia Sbarrato hanno portato avanti con passione e tenacia negli ultimi anni. Non senza alcune difficoltà di carattere sociale, strettamente connesse al modo in cui i ricercatori, molto spesso, sono costretti a lavorare nel nostro Paese. Basti pensare che delle sei, che hanno tutte un’età compresa tra i 27 e i 46 anni, ben in cinque sono ricercatrici precarie.
Soltanto la professoressa Scheneider può contare su un contratto di lavoro stabile come docente all’Università Sapienza di Roma. La dottoressa Pezzulli, ventinovenne, è dottoranda presso la Sapienza, l’Istituto nazionale di astrofisica e Tor Vergata; Tullia Sbarrato lavora presso il dipartimento di Fisica dell’Università di Milano Bicocca, mentre Simona Gallerani e Maria Orofino sono ricercatrici della Scuola Normale superiore di Pisa. Tutte e sei fanno parte del cosiddetto team First, un progetto di ricerca finanziato dalla European Research Council.