14 giugno 1972: 52 anni fa la scossa di Mw 4.7 che causò molti danni ad Ancona!
Cinquantadue anni fa, il 25 gennaio 1972, iniziò ad Ancona un lungo periodo sismico. Le prime registrazioni della sequenza in corso furono effettuate da due stazioni fisse di rilevamento sismico situate a Corinaldo e Monte Porzio Catone. In seguito l’Istituto Nazionale di Geofisica (oggi INGV) potenziò il proprio sistema di rilevamento mettendo in funzione una stazione sismica mobile ad Ancona. A partire dalla metà di marzo, infine, un vecchio ma efficace sismografo Wiechert venne installato presso il palazzo dell’Amministrazione Provinciale di Ancona. Nell’arco di 6 mesi furono
registrate circa 500 scosse abbastanza forti da essere avvertite dalla popolazione, oltre a moltissime microscosse rilevate solo dalla stazione mobile.
Il quadro finale fu quello di uno “sciame sismico” cioè di una sequenza di eventi prolungata nel tempo e composta da parecchi eventi con una magnitudo non sensibilmente diversa da quella della “scossa principale” (14 giugno 1972, M. 4.7).
Gli eventi sismici registrati erano generalmente superficiali (ipocentro a meno di 10 km), localizzati nelle immediate vicinanze della città d’Ancona, erano di breve durata ma avevano valori di accelerazione di picco e frequenze piuttosto elevati.
Quella di Ancona infatti è una zona conosciuta per la sua pericolosità sismica, che non è elevata come all’interno della catena appenninica ma non è comunque trascurabile. La pericolosità sismica, lo ricordiamo, varia in funzione di diversi parametri, ma senza dubbio il più importante è la frequenza dei terremoti avvenuti in una regione e la loro magnitudo. La regione dell’off-shore adriatico, all’altezza delle Marche, presenta le caratteristiche di una zona sismica: terremoti storici e faglie attive. Il numero e la magnitudo dei terremoti del passato non sono confrontabili con i grandi eventi dell’Appennino, ma ugualmente hanno avuto un impatto rilevante.
La sequenza sismica del 1972 causò ad Ancona un danneggiamento diffuso, anche se non grave, che riguardò soprattutto le costruzioni del centro storico e quelle rurali dell’area periurbana. Su un totale di oltre 35.000 alloggi compresi nel perimetro urbano, più di 7000 risultarono inagibili. Il quadro complessivo degli effetti non è superiore al grado VIII della scala d’intensità MCS ed è stato determinato dal cumulo degli effetti di un gran numero di eventi, ciascuno dei quali – se considerato singolarmente – era di energia relativamente modesta.
Ricostruzione del danneggiamento nella città di Ancona (da PFG, 1981
La storia sismica di Ancona (fonte: DBMI) rivela numerosi eventi con Intensità Mercalli (MCS) pari o superiore al VII grado, nel 1269, 1474, 1690, 1741, 1870.
Storia sismica di Ancona
Esaminiamo qui i terremoti più recenti avvenuti nel ‘900 lungo la fascia costiera, in una figura riassuntiva che ne mostra i risentimenti e quindi la loro localizzazione:
1) Il terremoto del 1917 (Numana), magnitudo stimata intorno a 5;
2) Il terremoto del 1930 (Senigallia), magnitudo stimata 5.8-6.0;
3) Il terremoto del gennaio 1972 (Ancona), magnitudo stimata 4.6;
4) Il terremoto del giugno 1972 (Ancona), magnitudo stimata 4.6.
Distribuzione dei risentimenti per i 4 terremoti dell’off-shore marchigiano nel ‘900
Come si vede dalle figure, il terremoto di Senigallia del 1930 è l’evento più forte e può essere considerata di riferimento per questo settore. I danni furono numerosi in un’ampia fascia da Senigallia (VIII-IX grado) fino a sud di Ancona ( VIII grado ad Ancona, Sirolo, Numana e altre località, si veda DBMI).
Il terremoto del 1917 è relativamente piccolo, confrontabile con quello della scorsa notte in termini di magnitudo, ma localizzato probabilmente un po’ più a nord.
I due terremoti del 1972 appartengono a una lunga sequenza sismica e anche questi si localizzarono leggermente più a nord di quello del 21 luglio.
La conoscenza delle faglie attive nel settore dell’off-shore adriatico si basa soprattutto sull’esplorazione sismica effettuata negli ultimi decenni per ricerche di idrocarburi. L’interpretazione delle linee sismiche ha mostrato l’esistenza di diversi fronti compressivi sepolti, analoghi in qualche modo a quelli della pianura padana. Si tratta di strutture a carattere compressivo o trascorrente, come anche testimoniato dai (pochi) meccanismi focali dei terremoti recenti (per quelli antichi non esistevano dati per determinarli). Secondo i modelli geologici prevalenti questi fronti geologici sepolti sono attivi e orientati parallelamente alla costa, e sarebbero frammentati da faglie trascorrenti (ossia con spostamento laterale di un settore rispetto a quello adiacente) perpendicolari ai fronti stessi. Si veda il Database delle Sorgenti Sismogenetiche Italiane (DISS) per dettagli sulle faglie attive nella regione.
Schema interpretativo di una delle linee sismiche attraverso la costa all’altezza del M. Conero. La faglia indicata in rosso è una delle possibili sorgenti sismiche attive nella regione
Nello schema mostrato in figura, una sezione verticale che attraversa da ovest a est la costa adriatica all’altezza dell’area epicentrale, si vede la strutturazione sepolta sotto i sedimenti del Mare Adriatico (a destra nella figura) con i fronti sepolti caratterizzati da diverse faglie inverse (o thrust) che si approfondiscono da est a ovest.
Il catalogo della sismicità storica (CPTI11) riporta un terremoto di magnitudo M 5.1 nel 1917 a Numana e un terremoto di M 5.8 nel 1930 a Senigallia e altri eventi di magnitudo intermedia, lungo la costa. Tuttavia in alcuni punti della costa Adriatica sono state stimate magnitudo fino a 6.1, come nel 1916 quando nell’arco di pochi mesi una serie di terremoti (M 5.5-6.1) ha interessato la zona settentrionale della costa marchigiana.
La mappa di pericolosità sismica e la sismicità storica nell’area interessata dalla sequenza.
In tempi più recenti, ricordiamo gli anni 1970-71-72, quando è avvenuta a nord del Conero una lunga sequenza con eventi di magnitudo inferiori o prossimi a M 5.5, e il terremoto di M 5.1 del 1987 di Porto San Giorgio.