Vergogna Italiana: vendiamo sempre più armi a regimi sanguinari (e ne andiamo fieri)

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Vergogna Italiana: vendiamo sempre più armi a regimi sanguinari (e ne andiamo fieri)

Nel 2016 le esportazioni italiane di armamenti hanno superato i 14,6 miliardi di euro, con un aumento dell’85,7% rispetto al 2015. E molte di queste armi vanno a paesi fuori dalla Nato, spesso, come l’Arabia Saudita, autori di massacri

Forse il passo che più stupisce della Relazione consegnata dal Governo sul commercio e sulle autorizzazioni all’esportazione di armi per il 2016 è quello che dipinge entusiasticamente il volume del business militare, «a dimostrazione di una capacità di penetrazione e flessibilità dell’offerta nazionale all’estero».

Fa niente se poi gran parte di bombe, missili, caccia e via dicendo vadano a Paesi fuori da accordi Nato, magari regimi dittatoriali e magari fuori dal perimetro consentito dalla legge. «L’elemento che maggiormente ci preoccupa – commenta non a caso il portavoce della Rete per il Disarmo, Francesco Vignarca – riguarda la soddisfazione sia della Presidenza del Consiglio che del Ministero degli Esteri per l’aumento delle vendite di armamenti italiani», dato che «in realtà il ruolo del Governo sarebbe quello di controllore al fine di rilasciare autorizzazioni, non di sponsor dell’industria militare».
I dati che emergono dal rapporto, d’altronde, sono chiari: nel 2016 le esportazioni italiane di sistemi militari hanno superato i 14,6 miliardi di euro, con un aumento dell’85,7% rispetto ai 7,9 miliardi del 2015. E se paragonassimo il dato rispetto al 2014, sarebbe ancora più impressionante: + 452% in soli due anni.

D’altronde è la stessa relazione che sottolinea come il clamoroso balzo in avanti sia dovuto soprattutto alla commessa di 28 Eurofighter della Leonardo al Kuwait del valore di 7,3 miliardi di euro. «In 27 anni di esportazioni di sistemi militari – sottolinea non a caso Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL) di Brescia – si è raggiunto il record assoluto». Il grafico lascia spazio a pochi dubbi

Export Armi

LA VENDITA AI REGIMI

Ma a chi vendiamo? Domanda capitale per capire il lato oscuro del made in Italy armato. C’è una legge infatti – la n. 185 del 1990 – che regolamenta in maniera esplicita il mercato bellico: «l’esportazione ed il transito di materiali di armamento – recita la norma – sono vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato» in contrasto con le direttive Onu, «verso i Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione», verso i Paesi «responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani». Chiaro. Limpido. Lapalissiano. Eppure tra i principali acquirenti del nostro Paese troviamo il già citato Kuwait (nel 2016 esportazioni per 7,7 miliardi), l’Arabia Saudita (427,5 milioni) prima ancora degli Stati Uniti, poi Qatar (341 milioni) e Turchia (133 milioni).

Tutti Stati in cui i diritti umani vengono sistematicamente violati e su cui, tra le altre cose, ci sono pesanti ombre sulla fornitura di armi e appoggio ai miliziani dell’Isis. E poi, ancora, Paesi in cui vige la pena di morte come Pakistan e Malesia (qui, ha denunciato Amnesty, nel braccio della morte ci sono attualmente 1.042 persone): per il primo sono state autorizzate esportazioni militari per 97,2 milioni, per il secondo per 39,9.

Come se non bastasse, peraltro, la Rete per il Disarmo fa notare che, tra le zone geopolitiche di esportazione, figurano al primo posto i paesi dell’Africa Settentrionale e del Medio Oriente che con oltre 8,6 miliardi euro ricoprono da soli più del 58,8% delle autorizzazioni. «Fornire armi e sistemi militari a questi regimi – commenta ancora Beretta – oltre a contribuire ad alimentare le tensioni, rappresenta un tacito consenso alle loro politiche repressive». Ma non c’è da sorprendersi che proprio in questi anni ci sia stato un clamoroso balzo in avanti. Basti pensare ai tanti viaggi di Renzi, dall’Arabia al Turkmenistan. Tutti Paesi che poi, prima o dopo, hanno visto una crescita spaventosa delle commesse militari. Il regime turkmeno, per dire, è passato da acquisti per 5,7 milioni a 38,6. Ma il premier nel 2014, per dire, è andato anche in Angola, altro Paese monitorato annualmente da Amnesty per le violazioni dei diritti umani. Ebbene qui la crescita è ancora più clamorosa: da 72 mila euro nel 2015 agli 88 milioni dell’anno scorso.

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