Forse il passo che più stupisce della Relazione consegnata dal Governo sul commercio e sulle autorizzazioni all’esportazione di armi per il 2016 è quello che dipinge entusiasticamente il volume del business militare, «a dimostrazione di una capacità di penetrazione e flessibilità dell’offerta nazionale all’estero».
Fa niente se poi gran parte di bombe, missili, caccia e via dicendo vadano a Paesi fuori da accordi Nato, magari regimi dittatoriali e magari fuori dal perimetro consentito dalla legge. «L’elemento che maggiormente ci preoccupa – commenta non a caso il portavoce della Rete per il Disarmo, Francesco Vignarca – riguarda la soddisfazione sia della Presidenza del Consiglio che del Ministero degli Esteri per l’aumento delle vendite di armamenti italiani», dato che «in realtà il ruolo del Governo sarebbe quello di controllore al fine di rilasciare autorizzazioni, non di sponsor dell’industria militare».
I dati che emergono dal rapporto, d’altronde, sono chiari: nel 2016 le esportazioni italiane di sistemi militari hanno superato i 14,6 miliardi di euro, con un aumento dell’85,7% rispetto ai 7,9 miliardi del 2015. E se paragonassimo il dato rispetto al 2014, sarebbe ancora più impressionante: + 452% in soli due anni.
D’altronde è la stessa relazione che sottolinea come il clamoroso balzo in avanti sia dovuto soprattutto alla commessa di 28 Eurofighter della Leonardo al Kuwait del valore di 7,3 miliardi di euro. «In 27 anni di esportazioni di sistemi militari – sottolinea non a caso Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL) di Brescia – si è raggiunto il record assoluto». Il grafico lascia spazio a pochi dubbi