Il terremoto del 3 giugno 1781 nell’Appennino marchigiano: un evento disastroso in un periodo di intensa attività sismica tra Romagna e Marche
Tratto da blogingvterremoti
Il più forte e “disastroso” di questi terremoti, e anche uno dei massimi eventi sismici dell’Italia centrale (magnitudo Mw 6.4 e intensità Io pari al grado 10 della scala macrosismica Mercalli-Cancani-Sieberg; CPTI11), ebbe luogo la mattina della domenica 3 giugno 1781. I suoi maggiori effetti interessarono l’area appenninica che si trova al confine attuale tra Marche settentrionali, Umbria e Toscana, e in particolare l’area compresa tra Cagli e Piobbico, nell’entroterra appenninico della odierna Provincia di Pesaro-Urbino. All’epoca si trattava di un’area caratterizzata da una fitta rete di insediamenti rurali di modeste dimensioni e di poderi isolati facenti capo a chiese parrocchiali o pievanili. Qui si ebbero gravissime ed estese distruzioni (“buona parte delle parrocchiali, e un’infinità di case coloniche sono del tutto rovinate” [1]). La coincidenza del terremoto con una importante festa liturgica – la domenica di Pentecoste – contribuì ad accentuare il numero delle vittime. La mortalità, infatti, fu abbastanza elevata principalmente a causa del crollo di numerose chiese rurali. Un contemporaneo riporta:
il massimo però degli effetti tragici di questo sì orribile castigo si è rovesciato nella campagna attorno alla città predetta [Cagli, NdR] con essere diroccate interamente da settecento case rurali, compresovi quasi tutte le chiese tutte de’ curati, dicesi tutte perite, ed estinte, al tempo in cui li poveri curati celebravano al loro popolo la Santa Messa, e contasi la mortalità di campagna a novecento e più persone con li curati che sopra, ed in seguito restò sotto sassi gran quantità di bestiame. (Pichi, 1781)
Le perdite umane in realtà sembrano essere state più contenute. Gli studi più accreditati (basati su documenti riepilogativi coevi per lo più conservati presso l’Archivio di Stato di Pesaro) suggeriscono da un minimo di 260 a un massimo di poco più di 300 morti. Numeri comunque elevatissimi per un’area rurale, soprattutto considerando le dimensioni relativamente piccole della maggior parte degli insediamenti colpiti.
Un testimone di eccezione del terremoto del 3 giugno 1781 fu il vescovo di Cagli, Ludovico Agostino Bertozzi, che dopo essere fortunosamente scampato al crollo della cupola della cattedrale di Cagli (in cui si trovava al momento della scossa) scrisse una relazione delle sue esperienze per il cardinal Antonelli, Protettore della città di Cagli (Bertozzi, 1781). Proprio a partire da questa lettera è possibile ricostruire la cronologia delle scosse avvenute quel 3 giugno.
Dopo una prima, lieve scossa forse avvertita nella notte tra il 2 e il 3 giugno (“sostengono certuni d’aver sentita una piccola concussione”), due scosse fortissime si verificarono la mattina del giorno 3, alle 11:00 e alle 11:15 “italiane” (secondo l’uso orario “all’italiana” in vigore all’epoca), corrispondenti alle 7:00 e alle 7:15 circa, ora locale [2] (cioè le 6:00 e le 6:15 GMT). La prima, che potrebbe essere stata la più violenta, causò il crollo della cupola del duomo di Cagli, in cui rimasero uccisi molti dei fedeli che gremivano la cattedrale per la messa mattutina:
… rimanendo vittima, e sepolti tutti quelli, che ivi in buon numero in quella festiva giornata si trovavano radunati ad ascoltare la Santa Messa […] Quelli […] che trovavansi nelle case sentendo che il continuo tremare non cessava, si risolvettero di uscirne […] ed ottima fu la loro ispirazione, poiché sette minuti dopo in circa sopravvenne un’altra scossa di terremoto così fiera, e veemente, che fuori di poche, tutte quante rimasero le abitazioni in tutto, o in parte abbattute. (Succinto ragguaglio …, 1781)
Effetti di estrema gravità si ebbero in particolare a Piobbico (PU) “rovinato affatto [3]” e in alcune località rurali nell’area del Monte Nerone e del monte di Montiego (Ca’ Magagno, Ravignana, Rocca Leonella, Pieve di Accinelli e Naro). Tra le molte epigrafi commemorative del terremoto è da segnalare quella che nella chiesetta rurale di San Donato dei Pecorari (Piobbico) ricorda come l’edificio “il 3 giugno 1781 crollò a terrà quasi completamente per il terremoto trovandovi morte e sepoltura l’eccellentissimo parroco Domenico Crini, che vi stava celebrando la messa, insieme a 48 parrocchiani.”
Tra le località di dimensioni (relativamente) maggiori, Cagli e Apecchio furono le più gravemente colpite. Una fonte archivistica [4] dell’epoca riporta che “nella terra d’Apecchio tutte le sue fabbriche, Chiese, Palazzo apostolico, forni, molini e case rurali del territorio sono affatto atterrate, e vi sono periti molti di quegli abitanti senza sapersene finora il numero”. A Cagli i danni furono enormi, gran parte degli edifici pubblici e privati subirono crolli o rimasero gravemente lesionati.
Gravi ma meno diffuse distruzioni si ebbero a Sant’Angelo in Vado, dove il crollo della volta di una chiesa uccise 6 persone e “tutte le fabbriche e le case […] hanno patito e non poche sono in pericolo”, a Mercatello sul Metauro, dove “non vi è casa che non abbia sofferto discapiti considerabili, ed alcune le più eminenti qualche diroccamento, onde niuno s’azzarda di entrarvi” e a Urbania dove “cadde alle prime scosse il coro delle Monache di Santa Chiara […] Ogni Chiesa, ed ogni casa ha sofferto qualche considerabile danno, ma diroccate, e cadute non sono che nella maggior parte le mura castellane”.
Per maggiori dettagli sugli effetti del terremoto del 3 giugno 1781 e sulla ricca documentazione relativa ai danni nella zona di Cagli e di Apecchio si veda anche l’articolo di Stefano Lancioni: “Il terremoto del 3 giugno 1781. Documenti riguardanti Cagli ed Apecchio”.
L’area di danneggiamento moderato, molto estesa, raggiunse ad ovest Città di Castello, dove ci furono danni diffusi ma complessivamente non gravi (“patirono delle case, caddero dei camini, e ventaglie dei tetti, e qualche piancito di casa”), e Sansepolcro, a nord Urbino (“poche sono quelle case, che non ne abbiano sentito quamche notabile nocumento”), Fossombrone (“sono rimaste alquanto danneggiate alcune chiese e case di questa città”), e Fano, a est Pergola, a sud Gubbio, Cingoli, Arcevia e Fabriano. Danni ancora più lievi si ebbero a Senigallia, Pesaro e ad Arezzo.
Si dispone di relativamente pochi dati sull’estensione dell’area di risentimento. Questa comprese comunque buona parte della Toscana, da Firenze, dove il terremoto fu avvertito in modo leggero, all’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, una quarantina di km a sud di Siena, e in Romagna almeno fino a Ravenna, dove il 3 giugno “alle 11 circa si sentirono due leggiere scosse”.
Dopo il terremoto del 1781 i cagliesi decisero di mettersi sotto la protezione di s. Emidio. Una pala d’altare collocata in cattedrale (navata laterale destra) lo raffigura mentre raccomanda la città a Gesù in gloria.