Scoperto forse un gigantesco pianeta misterioso molto simile a Saturno

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Scoperto forse un gigantesco pianeta misterioso molto simile a Saturno

La luce della stella PDS 110 è offuscata periodicamente e per lungo tempo da un misterioso oggetto. Secondo alcuni scienziati potrebbe essere un pianeta extrasolare circondato da anelli simili a quelli di Saturno, ma molto più grandi. Si aspettano ora nuove misurazioni per confermare la scoperta
di Nola Taylor Redd/Scientific American
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Anche se gli anelli planetari sono estremamente comuni nel nostro sistema solare – ogni gigante gassoso che orbita attorno al Sole ne ha uno – si sono rivelati più difficili da individuare nel caso di mondi che orbitano intorno ad altre stelle. È un peccato, perché gli studi sui sistemi di anelli intorno ai pianeti più giovani potrebbero aiutare a chiarire com’erano i pianeti giganti del sistema solare quasi cinque miliardi di anni fa, nei loro primi milioni di anni.

Più di due decenni di caccia planetaria hanno rilevato un solo esopianeta dotato di anelli: una versione in grande di Saturno che i ricercatori hanno appena iniziato a studiare usando telescopi di grandi dimensioni. Ma ora potrebbero aver trovato un secondo super-Saturno, mezzo nascosto in un disco di gas e polvere che circonda una giovane stella, un mondo facilmente osservabile anche con telescopi amatoriali.

Alcuni anni fa, gli astronomi affiliati al Wide-Angle Search for Planets (WASP) hanno individuato una caratteristica insolita nell’oscura nebbia che circonda la stella chiamata PDS 110. Per quasi due anni la sconcertante scoperta è rimasta sulla scrivania del membro del gruppo WASP Hugh Osborn, dottorando dell’Università di Warwick, nel Regno Unito, che per primo l’ha notata. “Non ero sicuro di che cosa potesse essere”, dice Osborn. Poi, in una conferenza un anno dopo, un altro astronomo aveva notato che lo stesso segnale era apparso nei dati sul disco di PDS 110 registrati da un’analisi e uno strumento diversi, indipendenti dalla rilevazione originale di Osborn. A quel punto, “è stato chiaro che era un po’ più interessante di quanto pensato all’inizio”, dice. Un articolo dettagliato sulla ricerca è stato accettato per la pubblicazione sui “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society”.

Separati da più di 800 giorni, le osservazioni erano quasi identiche. Entrambe hanno rilevato un strana attenuazione della luce della stella durata 25 giorni: qualcosa di troppo lungo per essere spiegato come l’ombra di un pianeta che passa di fronte al disco della stella visto dalla Terra. Osborn e colleghi hanno ipotizzato che l’insolito oggetto possa essere un sistema di anelli attorno a un oggetto precedentemente non visto che si muove attraverso il disco di gas e polveri, il materiale rimasto dalla formazione della stella. Questi anelli si estenderebbero per circa 50 milioni di chilometri, sarebbero quindi quasi 200 volte più ampi degli anelli di Saturno, che hanno un diametro di circa 280.000 chilometri. Un sistema di anelli di queste dimensioni, secondo le stime di Osborn e colleghi, potrebbe essere mantenuto in loco solo da un enorme oggetto centrale, potenzialmente un pianeta gigante di gas ancora più grande di Giove. In alternativa, potrebbe trattarsi di una nana bruna, un oggetto di massa intermedia tra un pianeta e una stella.

Finora è stato scoperto solo un altro esopianeta dotato di anelli. Chiamato J1407 b, è un gigante gassoso che ogni dieci anni compie un’orbita completa attorno a una stella lontana; gli astronomi hanno dedotto l’esistenza del suo sistema di anelli super-saturniano in base a una sola osservazione avvenuta nel 2012, e dovranno aspettare al 2020, o giù di lì, per rivederlo. Il compagno con gli anelli di PDS 110 ha un’orbita molto più breve: gli astronomi hanno così maggiori possibilità di vedere e studiare la sua ombra, anche se finora non hanno capitalizzato queste opportunità.

In attesa del passaggio di un super-Saturno

Una suggestiva immagine di Saturno ripresa dalla sonda Cassini della NASA (Credit: NASA, JPL-Caltech, Space Science Institute)

Ora sta cambiando tutto, secondo Osborn, poiché l’orbita del pianeta con gli anelli dovrebbe tornare visibile a settembre 2017. Anche un telescopio di medie dimensioni acquistato in negozio dovrebbe essere in grado di rilevare l’ombra profonda degli anelli illuminati dalla stella, permettendo agli astronomi amatoriali di osservare e studiare il sistema. Qualunque sia la loro origine, un terzo gruppo di osservazioni di alta qualità dovrebbe fornire agli astronomi la confidenza necessaria per confermare che c’è infatti qualcosa che genera ombra nel disco e che blocca periodicamente la luce della stella. “Una volta non basta per convincere qualcuno”, dice Joel Kastner, astronomo che studia le stelle giovani al Rochester Institute of Technology e che non era coinvolto nella ricerca. Anche due avvistamenti potrebbero non essere correlati tra loro. Se fossero tre, invece, sarebbe improbabile che fossero frutto di una fluttuazione statistica. “Se vedi tre volte la stessa forma e la stessa profondità delle attenuazioni della luce, e le separazioni tra di esse sono uguali, di certo hai una prova molto convincente a favore della periodicità”.

Osborn è d’accordo. “Non possiamo dire che sia periodica finché non vediamo un’altra eclissi”.

Matthew Kenworthy, un cacciatore di pianeti all’Osservatorio di Leiden che ha lavorato con Osborn e faceva parte del gruppo che ha identificato J1407 b, pensa che le prime osservazioni di PDS 110 possano rappresentare una promessa per ulteriori scoperte. “Sono entusiasta perché penso che sia un altro sistema di anelli”, dice.

A differenza degli anelli di Saturno, che sono quasi sullo stesso piano dell’orbita del pianeta, i presunti anelli attorno al compagno di PDS 110 sarebbero molto più inclinati, come quelli di Urano, e sporgerebbero dal disco circumstellare. Osborn afferma che una simile distorsione potrebbe essere il risultato di interazioni con un altro pianeta, non osservato.

Geoffroy Lesur, astronomo dell’Istituto di planetologia e astrofisica di Grenoble, in Francia, che studia i dischi circumstellari giovani e non ha partecipato al lavoro, pensa che Osborn e il suo gruppo siano sulla buona strada. Ma non è sicuro di aver visto un anello. “È abbastanza convincente, perché è l’unica spiegazione che si adatta a tutti i dati disponibili”, dice. Anche se è d’accordo sul fatto che il compagno probabilmente ha materiale che lo circonda, non è certo che un sistema di anelli possa rimanere stabile nel disco della stella. Poiché il pianeta passa davanti al disco due volte a ogni orbita, il materiale del disco che circonda la stella dovrebbe attrarre tutti gli anelli di gas e polvere presenti attorno al pianeta, distorcendoli. Lesur pensa che sia più probabile che si tratti di uno strato di detriti anziché di un anello. “Potrebbe non essere un bell’insieme di anelli come Saturno”, dice. “È più simile a un bozzolo attorno al pianeta.”

Kenworthy considera un simile bozzolo “assolutamente possibile”, ma sostiene che avrebbe dato una forma diversa all’oscuro oggetto che ruota intorno a PDS 110 rispetto a quanto osservato. Un pianeta in orbita all’interno del disco di PDS 110 potrebbe creare uno spazio vuoto, in cui gli anelli potrebbero sopravvivere senza essere disturbati dai detriti circostanti. In alternativa, se gli anelli fossero sufficientemente massicci, potrebbero semplicemente farsi largo attraverso il disco rimanendo relativamente inalterati.

In attesa del passaggio di un super-Saturno

Un’immagine di Saturno scattata dalla sonda Cassini a una distanza di 1,1 milioni di chilometri dal pianeta (Credit: NASA/JPL/Space Science Institute)

È anche possibile che l’oscuro oggetto attorno alla stella non abbia nulla a che fare con un pianeta, ma sia invece uno o più accumuli di detriti che ritornano nel disco circumstellare. Questi dischi non sono uniformi e tendono a formare grumi, sono attraversati da flussi turbolenti che proiettano materiale verso l’esterno del disco, che poi ritornerà indietro per effetto della gravità. I detriti espulsi in questo modo possono dare origine ad aggregazioni delle dimensioni dell’oggetto osservato, sostengono Lesur e Kastner. Un accumulo particolarmente longevo – o due accumuli indipendenti che per coincidenza si mostrano al momento giusto – potrebbero spiegare l’osservazione ripetuta dell’oggetto misterioso.

Anche se questi scenari sono possibili, sostiene Kenworthy, è improbabile che producano due segnali indipendenti, ma identici, così distanti nel tempo. Anche se gli anelli fossero gravitazionalmente mantenuti in loco dal loro pianeta, gli accumuli indipendenti sarebbero legati solo debolmente e loro orbite dovrebbero sperimentare cambiamenti notevoli. “È difficile spiegare come questo possa mantenere la stessa forma per 800 giorni e dare la stessa forma all’eclissi”, dice.

Strutture come i vortici all’interno del disco potrebbero anche teoricamente eclissare la stella ma il gruppo sostiene – e Lesur è d’accordo – che tali strutture sarebbero molto più grandi rispetto a quanto previsto per spiegare la misteriosa presenza. “La loro argomentazione è abbastanza convincente”, dice Lesur.

Monitorando attentamente la forma delle ombre all’interno e intorno al disco di PDS 110, le osservazioni dettagliate di settembre dovrebbero aiutare a distinguere gli anelli dagli accumuli e potrebbero anche rivelare strutture e lacune all’interno degli anelli stessi. Se gli anelli fossero confermati, “sarebbe emozionante”, dice Kenworthy. “Potremmo quindi pianificare la successiva eclissi con esperimenti più dettagliati in grado di determinare il tipo di materiali negli anelli.”

Nei primi milioni di anni dopo la loro formazione, Saturno e Giove potrebbero essere stati circondati da enormi anelli che sono stati poi dissipati in qualche modo, o si sono aggregati a formare satelliti o sono caduti sui pianeti. Osservare pianeti con anelli attorno a giovani stelle può aiutare gli scienziati a meglio capire che cosa potrebbe essere successo nel sistema solare primordiale.

“Penso che ciò che stiamo osservando in questi sistemi di anelli giganti – dice Kenworthy – è il periodo iniziale della formazione delle lune, come quando il sistema solare era incredibilmente giovane”.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Scientific American il 25 maggio 2017. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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