E se le onde gravitazionali avessero una memoria?

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E se le onde gravitazionali avessero una memoria?

Un team di astrofisici australiani ha introdotto un nuovo concetto, quello della “memoria orfana” delle onde gravitazionali. Potrebbe essere possibile identificarle anche quando non rientrano nel range di rilevazione degli interferometri
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Si chiama memoria orfana ed è una nuova (presunta) caratteristica delle onde gravitazionali. A introdurre il concetto è stata un’équipe di astrofisici australiani della Monash University, che su Physical Review Letters raccontano come le onde gravitazionali producano un effetto misurabile, chiamato per l’appunto memoria, che potrebbe permettere a rilevatori come Ligo (lo strumento che per primo ha isolato un segnale di onde gravitazionali) di individuare le sfuggenti onde anche quando queste oscillano a frequenze diverse rispetto a quelle per cui il rilevatore stesso è stato progettato.

Osservate per la prima volta all’inizio del 2016, le onde gravitazionali erano state descritte cento anni prima da Albert Einstein nella teoria della relatività generale: secondo il modello teorico, tali onde gravitazionali sarebbero una perturbazione dello spazio-tempo, il tessuto di cui è composto il nostro Universo, dovuta all’accelerazione di grandi masse: una volta modificato, lo spazio-tempo non ritorna allo stato originale, bensì rimane distorto. È proprio la persistenza di questa modificazione, secondo i ricercatori, a rappresentare una sorta di memoria delle onde gravitazionali generate dal movimento delle masse. Perché orfana? Il termine allude al fatto che l’onda genitore, quella da cui si sono originate le onde figlie, non è direttamente rilevabile.

Va detto che il lavoro, per ora, è puramente teorico: “Queste onde potrebbero aprire la strada per studiare la fisica attualmente inaccessibile alla nostra tecnologia”, spiega Eric Thrane, uno degli autori dello studio.

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