La grande scossa di Mw 6.6 del 31 maggio 1646 nel Gargano, un caso di terremoto recentemente rivalutato

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La grande scossa di Mw 6.6 del 31 maggio 1646 nel Gargano, un caso di terremoto recentemente rivalutato

Da INGVterremoti

Si potrebbe pensare che i cataloghi sismici storici – quegli “oggetti” in cui vengono raccolte e catalogate, sotto forma di stringhe (records) di parametri, le informazioni relative ai terremoti avvenuti nel passato – siano un qualcosa di “congelato” e impacchettato; un oggetto che, una volta compilato e pubblicato, è da considerarsi chiuso, acquisito, in qualche modo definitivo. Le cose però non stanno proprio così. Un catalogo storico è lo specchio che riflette le migliori conoscenze acquisite e aggiornate fino a un dato momento; in altre parole, riflette il cosiddetto stato dell’arte al momento della sua compilazione.

La ricerca storica, però, è qualcosa di dinamico, in continuo divenire, e per questo i cataloghi storici necessitano di periodici aggiornamenti che permettano di includere gli eventuali nuovi studi nel frattempo prodotti. E non solo: dati e parametri contenuti nei cataloghi sismici possono essere soggetti a modifiche e integrazioni a seguito di successive e più approfondite ricerche. Lo stesso catalogo sismico si arricchisce man mano che la ricerca storica scopre terremoti del tutto sconosciuti alla tradizione sismologica (le compilazioni descrittive di terremoti del passato prodotte in Italia fin dal XV secolo e che formano il background dei cataloghi recenti) oppure accerta la maggiore significatività di eventi che erano stati in qualche modo “sottovalutati” da studi e cataloghi precedenti.

Neanche i  terremoti già studiati e noti da tempo sono del tutto immuni da possibili, successive modifiche e integrazioni. Può capitare infatti che, a seguito di ulteriori ricerche mirate, o perfino in modo del tutto casuale e fortuito nel corso di ricerche di altro tipo, si scoprano nuove informazioni su un evento già noto e da tempo presente nel catalogo. E queste nuove informazioni, una volta portate alla luce, possono cambiare – a volte anche in modo radicale – le preesistenti conoscenze del quadro degli effetti di quell’evento, ridimensionandone oppure rivalutandone i parametri che fino a quel momento lo avevano caratterizzato in catalogo.

Esemplare, da questo punto di vista, è il caso del terremoto toscano del 13 aprile 1558ben descritto in un recente articolo su questo stesso blog; noto fin dal Settecento ma conosciuto, fino al 2004, come un “piccolo” evento di area senese, solo da una decina di anni è stato rivalutato come un terremoto ben più importante e rilocalizzato tra le colline del Chianti e il Valdarno superiore.

Un caso analogo, forse meno clamoroso ma altrettanto rilevante, è rappresentato da un terremoto distruttivo avvenuto nel Gargano attorno alla metà del XVII secolo. L’area della Puglia settentrionale, e in particolar modo il settore del Gargano, sono caratterizzati da una sismicità che si può definire relativamente “moderata”, con eventi abbastanza frequenti ma per lo più di energia medio-bassa.

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Figura 1. Mappa dei terremoti storici nell’area del Gargano dal’anno 1000 al 2006 (fonte CPTI11)

La versione corrente del Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani, CPTI11, complessivamente elenca poco più di venti terremoti con Mw ≥ 5.0 avvenuti in questo settore della Puglia tra l’anno 1000 e il 2006, più numerosi altri con magnitudo minore (Figura 1).

La gran parte di questi terremoti ha una magnitudo Mw strumentale o equivalente (calcolata sulla base della distribuzione degli effetti macrosismici, per il periodo storico pre-strumentale) inferiore a 6.0. Da un punto di vista sismologico, cioè, si tratta di eventi di moderata entità. Fino al 2008 le uniche eccezioni erano rappresentate da due terremoti avvenuti nel corso del XVII secolo, negli anni 1627 e 1646, entrambi con Mw maggiore di 6.0  (si veda la versione precedente del Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani del 2004, CPTI04). Quello del 30 luglio 1627, i cui effetti furono particolarmente distruttivi nella zona di Lesina e San Severo, è l’evento storicamente più famoso della Capitanata (il nome storico di quel settore della Puglia che corrisponde all’attuale provincia di Foggia); a tutt’oggi ne è anche il più forte, con una magnitudo Mw 6.7 e un’intensità epicentrale I0 10 MCS.

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Figura 2. La regione interessata dal terremoto del 1646 (la Capitanata) in una acquaforte pubblicata appena undici anni prima (da Willem e Joan Blaeu, Theatrum Orbis Terrarum sive Atlas Novus, Amsterdam 1635)

Il terremoto del 31 maggio 1646 – la cui l’area epicentrale risultava situata immediatamente a est di quello del 1627, nel cuore del promontorio garganico – era conosciuto come un evento importante ma decisamente più piccolo. La sua esistenza era nota alla tradizione sismologica italiana fin dal Seicento. Agli inizi del Novecento Mario Baratta, nella sua famosa compilazione I terremoti d’Italia (Baratta, 1901) sottolineava la natura “garganica” dell’evento – “ha […] colpito la intera penisola Garganica e specialmente riuscì rovinoso nella parte orientale” – e citava, tra le altre fonti, anche un passaggio della “Cronologia de’ vescovi et arcivescovi Sipontini” di Pompeo Sarnelli (1680) in cui quel terremoto veniva descritto (Figura 3).

Figura 2. Il terremoto garganico del 31 maggio 1646 descritto da una fonte storica della seconda metà del XVII secolo (Sarnelli, 1680)

Figura 3. Il terremoto garganico del 31 maggio 1646 descritto da una fonte storica della seconda metà del XVII secolo (Sarnelli, 1680)

Sulla base delle conoscenze e degli studi storici disponibili fino al 2008, gli effetti dell’evento del 31 maggio 1646 erano noti solo in una decina di località, tutte concentrate nell’area del promontorio garganico. Per altre otto località si sapeva che il terremoto era stato avvertito ma le informazioni erano troppo generiche o insufficienti per poter essere convertite in una stima puntuale di intensità macrosismica (si veda il DBMI04 , la versione 2004 del Database Macrosismico Italiano utilizzato per la compilazione di CPTI04). In base a quei dati, nel catalogo CPTI04 la scossa era parametrizzata con una stima di magnitudo Mw 6.2, molto simile a quella dell’evento che ha colpito L’Aquila nel 2009. In altre parole, la sua energia era stata stimata circa 6-7 volte inferiore a quella del terremoto del 30 luglio 1627 (a tanto, infatti, corrisponde una differenza di 0.5 in magnitudo momento Mw).

Solo in anni recenti, nel corso di una estesa e sistematica indagine su fonti giornalistiche sei-settecentesche, sono state trovate nuove e preziose informazioni sul terremoto del 1646 (Camassi et al., 2008): queste principalmente sono contenute in corrispondenze diplomatiche e avvisi manoscritti, individuati negli Archivi di Stato di Modena e Firenze, e nell’Archivio Segreto Vaticano. Gli archivi degli antichi Stati Italiani sono estremamente importanti per la ricerca storica, in quanto rappresentano il punto di raccolta di una ricca documentazione prodotta da una intensa attività diplomatica che aveva come attori una fitta rete di funzionari, ecclesiastici, ambasciatori e compilatori di avvisi, tutti impegnati in diverso modo a raccogliere e diffondere informazioni, “notizie”. E’ proprio in quel periodo che esplode il fenomeno giornalistico, che vede la nascita – prima della metà del ‘600 – delle prime gazzette a stampa. Le dinamiche della comunicazione seicentesca vedono intrecciarsi in modo strettissimo funzioni diplomatiche, giornalismo “segreto” (degli avvisi manoscritti, destinati a diventare un prodotto elitario nel corso del tempo), giornalismo “commerciale” delle gazzette a stampa e dei pamphlets, diaristica privata (che attinge spesso ai medesimi canali di comunicazione).

La Capitanata, come le altre province della Puglia (la Terra di Bari e la Terra d’Otranto) e tutta l’Italia meridionale, faceva parte del Regno di Napoli, che all’epoca era sotto il dominio della corona spagnola retta dal re Filippo IV (1621-1665), che vi aveva istituito un Vicereame. A Napoli, capitale del regno, risiedevano numerosi consoli, ambasciatori e altri diplomatici di vari stati italiani ed europei. Le prime notizie sul terremoto riguardano proprio l’avvertimento della scossa nella capitale partenopea: secondo numerose testimonianze napoletane coeve il terremoto fu avvertito il 31 maggio alle ore 2.00 GMT (“verso le sette hore di notte” secondo l’orario all’italiana in vigore all’epoca). A Napoli la scossa fu percepita come lunghissima (“due Miserere”, “tre credi”, secondo l’usanza di adoperare le preghiere cristiane come unità di misura temporale). Una fonte coeva parla di tre scosse distinte avvertite nello spazio di un quarto d’ora (Nuova Relatione…, 1646 in Figura 4).

Figura 3: una fonte storica coeva all’evento (Nuova Relatione…, 1646)

Figura 4. Una fonte storica coeva all’evento (Nuova Relatione…, 1646)

Il 5 giugno gli ambasciatori a Napoli – fra cui il Nunzio Apostolico, cardinale Altieri, e il console del Granducato di Toscana – cominciano a spedire ai loro sovrani i dispacci con notizie di gravi danni e molte vittime in Puglia. Il quadro degli effetti si precisa con gli avvisi e dispacci dei giorni seguenti. Il 9 giugno, per esempio, il Nunzio Apostolico scrive a Roma: “[il terremoto ha]fatto cadere in più di 20 luochi molte Case, Campanili, e grosse Muraglie di fortezza con morte di mille Persone” [1]; il 19 giugno il console fiorentino scrive: “quasi tutte le case, che non erano cadute […] la maggior parte erano rimaste inhabitabili, et il danno fatto da d[etto] terremoto si và ogni dì più scoprendo maggiore tanto nella mortalità delli habitanti come delle case” [2].

Questo tipo di documentazione, coeva all’evento ma prodotta non in area locale, pugliese (e conservata in archivi anche molto distanti dalla zona interessata dai danni), si è rivelata estremamente utile e preziosa per ricavare nuove informazioni, mai considerate prima, sugli effetti causati dal terremoto garganico del 1646. Le nuove evidenze storiche, infatti, hanno permesso non solo di riverificare i dati per alcune località già note, ma soprattutto di ottenere notizie sui danni e gli effetti in una ventina di centri non individuati dagli studi precedenti, portando complessivamente a una trentina le località individuate alle quali è stato possibile assegnare una stima di intensità macrosismica (Camassi et al., 2008).

Figura 4: distribuzione degli effetti del terremoto del 31 maggio 1646 secondo lo studio di Camassi et al. (2008) [fonte: DBMI11 link].

Figura 5. Distribuzione degli effetti del terremoto del 31 maggio 1646 secondo lo studio di Camassi et al. (2008) [fonte: DBMI11 ]

Il quadro che ne emerge (Figura 5) è quello di un grande terremoto che causò danni gravissimi non solo nei paesi del promontorio garganico ma in un’area molto più vasta, estesa da Vieste a Foggia e al Subappennino Dauno (Troia, Bovino, Ascoli Satriano), da Serracapriola (al confine col Molise) e dalle isole Tremiti fino a Canosa di Puglia, sull’altopiano delle Murge.

Le fonti coeve concordano sul fatto che i centri più gravemente danneggiati furono quelli sul promontorio garganico, che subirono tutti distruzioni più o meno estese. Vieste viene descritta “rovinata affatto [3] […] con la morte d’infinite persone, delle quali non si sà il numero, per esser rimasti sotto le pietre” (Nuova Relatione…, 1646). Secondo una memoria coeva [4], il terremoto fece crollare il Castello, la Torre dello scoglio “e quasi tutta la Città di Vieste” ma non il convento dei Cappuccini, posto fuori dall’abitato, dove trovarono rifugio i superstiti. Ischitella viene citata tra le località “rovinate e atterrate”. Secondo i notai Cardassi [5]non vi è rimasto altro che trenta persone e tutte stroppiati”. Le testimonianze coeve concordano nell’attribuire a Vico del Gargano danni gravissimi e oltre 150 vittime. Il crollo del Convento dei Cappuccini è menzionato dalla Nuova Relatione (1646) e confermato da alcuni memorialisti cappuccini, mentre Sarnelli (1680) parla di un centinaio di case crollate e solo 40 morti. Rodi Garganico fu “affatto spianata, con grandissima mortalità degli habitanti d’essa, de’ quali non si può saper’ il numero certo, per esser luogo assai popolato; ma alcuni di quelli, che sono restati, dicono sia il numero di trecento circa […] ma Vico, e Rodi bisogna ergerli di nuovo dalli fondamenti” (Nuova Relatione…, 1646). Risulta degno di nota il caso di Canosa di Puglia: la città è situata a considerevole distanza (oltre 60 km) dal promontorio del Gargano, area dei massimi effetti, e tuttavia diverse fonti coeve concordano nel descriverla tra i centri maggiormente devastati: secondo la Nuova Relatione (1646) a Canosa “cadero nel medesimo tempo da cento cinquanta Case, & il castello fù rovinato, e spiantato affatto, che non si scorge altro”; una lettera dell’ambasciatore fiorentino a Napoli [6] descrive Canosa come “tutta spianata”.

Figura 5: Domenico Gargiulo (più noto come Micco Spadaro), seconda metà del XVII secolo: La rivolta di Masaniello (Museo Nazionale di San Martino, Napoli). L'artista riassume in un’unica scena tutti gli episodi principali della rivolta; scoppiata nella capitale del Regno, Napoli, nel luglio del 1647, l’imponente rivolta potrebbe aver distolto l’attenzione delle autorità napoletane dai problemi delle popolazioni pugliesi colpite dal terremoto di un anno prima (fonte: C. De Seta, Napoli fra Rinascimento e Illuminismo, Napoli, Electa, 1997). Link biografico per Micco spadaro: http://www.treccani.it/enciclopedia/gargiulo-domenico-detto-micco-spadaro_%28Dizionario-Biografico%29/

Figura 6. Domenico Gargiulo (più noto come Micco Spadaro), seconda metà del XVII secolo: La rivolta di Masaniello (Museo Nazionale di San Martino, Napoli). L’artista riassume in un’unica scena tutti gli episodi principali della rivolta; scoppiata nella capitale del Regno, Napoli, nel luglio del 1647, l’imponente rivolta potrebbe aver distolto l’attenzione delle autorità napoletane dai problemi delle popolazioni pugliesi colpite dal terremoto di un anno prima (fonte: C. De Seta, Napoli fra Rinascimento e Illuminismo, Napoli, Electa, 1997).

Manfredonia, Monte Sant’Angelo, Peschici, Rignano Garganico, San Giovanni Rotondo, San Marco in Lamis, Sannicandro Garganico e l’insediamento fortificato di Torre Fortore furono “rovinate più della metà”, secondo avvisi e corrispondenze molto vicini all’evento. Verso l’Appennino i danni furono altrettanto gravi a Torremaggiore, più modesti ad Apricena e San Severo. Nella Capitanata meridionale ci furono danni gravissimi a Troia e Serracapriola, danni più modesti (ma comunque gravi) a Bovino e Ascoli Satriano. A Foggia fu gravemente lesionato il Convento dei Cappuccini e “rovinarono sei Case, ma solamente con la morte di due persone”. Secondo un avviso del 16 giugno i danni raggiunsero anche le isole Tremiti. Il terremoto fu avvertito fortemente ma senza danni a Napoli (dove causò panico) e a Bari, e distintamente nell’area di Montecassino (Camassi et al., 2008).

Non sono note scosse avvenute nei giorni e nelle ore precedenti, mentre alcune testimonianze coeve menzionano l’avvertimento di diverse scosse dopo l’evento principale. In particolare, una corrispondenza napoletana del 19 giugno [7] riferisce che i terremoti “di quando in quando s’andavano sentendo”, e che per questo “molte persone dormivano in Campagna sotto baracche”.

Alcune fonti dell’epoca, inoltre, descrivono anche effetti ambientali prodotti dalla scossa principale. Secondo Sarnelli (1680) “gli Orti di Carpino si trovarono pieni delle conchiglie del lago”, possibile riferimento ad un effetto di tracimazione del vicino Lago di Varano, per effetto di un’onda anomala. Una insolita agitazione del mare (“strepito”) fu notata dai pescatori, anche sulle navi più grandi. L’insieme di questi scarsi elementi, tuttavia, non è sufficiente a definire l’accadimento di un maremoto, che come tale infatti non risulta inserito nel recente Catalogo degli Tsunami Euro-Mediterranei EMTC . Alcune profonde spaccature nel terreno furono osservate nelle zone di Ischitella e di San Giovanni Rotondo; a Rodi Garganico fu vista fuoruscire tutta l’acqua dalle cisterne.

Figura 6: una veduta del centro storico di Vieste (FG). La cittadina, situata sulla punta orientale del promontorio garganico e oggi rinomato centro balneare e turistico, fu fra quelle maggiormente danneggiate dal terremoto del 31 maggio 1646, che la distrusse quasi completamente. (foto da: http://www.vieste.it/ )

Figura 7. Una veduta del centro storico di Vieste (FG). La cittadina, situata sulla punta orientale del promontorio garganico e oggi rinomato centro balneare e turistico, fu fra quelle maggiormente danneggiate dal terremoto del 31 maggio 1646, che la distrusse quasi completamente. (foto da: http://www.vieste.it/ )

La distribuzione degli effetti di danneggiamento causati dal terremoto del 31 maggio 1646 nella sua porzione più occidentale va a sovrapporsi all’area maggiormente danneggiata dall’evento del 30 luglio 1627. Alcune località che erano state quasi completamente rase al suolo dal primo terremoto, diciannove anni più tardi subirono nuovi gravissimi danni (Serracapriola, Torremaggiore) o danni più contenuti ma comunque rilevanti (San Severo, Apricena); altre ancora, che già nel 1627 avevano riportati gravissimi danni e numerosi crolli, col secondo terremoto di una ventina di anni dopo furono quasi completamente distrutte (Sannicandro Garganico, San Giovanni Rotondo, San Marco in Lamis, Rignano Garganico, Canosa di Puglia); infine ci furono località che subirono un quadro di danneggiamento simile in entrambi i terremoti (Foggia, Ascoli Satriano, Bovino).

Per quanto affidabili e coerenti possano essere, nelle fonti coeve disponibili, le descrizioni dei gravi danni provocati dal terremoto 1646, si potrebbe sostenere che tali danni siano da imputarsi, almeno in parte, alla maggiore vulnerabilità degli edifici che erano già stati duramente colpiti da un terremoto molto forte appena 19 anni prima. Su questo aspetto, tuttavia, gli studi più recenti e aggiornati sull’evento del 1627 (Boschi et al., 2007) fanno notare che, secondo le fonti storiche, la ricostruzione – anche grazie ad una favorevole congiuntura economica – fu piuttosto veloce ed efficacemente completata nell’arco di una decina di anni (almeno per quanto riguarda quasi tutta l’edilizia privata e anche una buona parte di quella ecclesiastica). Se prendiamo per buono il fatto che ad una ventina di anni dalla catastrofe del 1627, quando la terra tornò a tremare fortemente nell’area della Capitanata e del Gargano, la gran parte degli edifici fosse stata nel frattempo ricostruita, possiamo ragionevolmente ipotizzare che il grave quadro del danneggiamento causato dal terremoto del 1646 fu dovuto interamente o quasi alla violenza del terremoto stesso e alla vulnerabilità degli edifici ricostruiti dopo il 1627. In altre parole, i dati di intensità stimati per l’evento del 1646 non sarebbero “viziati” da possibili effetti di cumulo con le intensità del terremoto di 19 anni prima. Grazie alla revisione storica condotta nel 2008, e alla nuova distribuzione di dati macrosismici così ottenuta, i parametri del terremoto garganico del 31 maggio 1646 sono stati fortemente rivalutati e come tali compaiono nell’ultima versione del catalogo – CPTI11 – aggiornata al 2006. In particolare, con una stima di magnitudo Mw 6.6 questo evento diventa – allo stato attuale delle conoscenze – uno dei terremoti più forti e importanti non solo dell’area garganica, al pari di quello del 1627 (Mw 6.7), ma anche dell’intera storia sismica dell’Italia meridionale.

L’intensa attività sismica nel Gargano e nella Capitanata non si concluse con i terremoti del 1627 e del 1646. Forti eventi sismici interessarono tutta quest’area anche nei decenni successivi. La stessa ricerca storica che ha permesso di rivalutare completamente quell’evento, infatti, ha portato anche a scoprire o a rivalutare altri tre terremoti significativi che, dopo il 1646, nel giro di poco più di 40 anni (1647, 1657 e 1688) colpirono a più riprese il Gargano e che fino a quel momento erano stati in parte dimenticati, sottovalutati, o addirittura risultavano del tutto sconosciuti (Camassi et al., 2008).

Figura 7: epicentri macrosismici dei terremoti garganici avvenuti nel corso del XVII secolo, tra 1627 e 1688 [immagine da Camassi et al. (2008), modificata]

Figura 8. Epicentri macrosismici dei terremoti garganici avvenuti nel corso del XVII secolo, tra 1627 e 1688 [Camassi et al. (2008), immagine modificata]

La figura 8 mostra gli epicentri di questi eventi. E’ importante notare come la sequenza di forti eventi che dal 1627 e per oltre 60 anni ha interessato questo settore della Puglia, nei 3 secoli successivi non si sia più ripetuta, almeno fino ad oggi e con quelle caratteristiche. Gli epicentri macrosismici dei terremoti del 1646, 1647, 1657 e 1688 mostrano un allineamento e una successione temporale che va da Est a Ovest e che, secondo lo studio di Camassi et al. (2008), sarebbe riconducibile a diverse sorgenti sismogenetiche che si sono attivate in sequenza, probabilmente come conseguenza della grossa quantità di energia liberata dal terremoto del 1627 che ha perturbato fortemente l’intero settore. Queste sequenze che “migrano” in una direzione sono frequenti nella storia sismica dell’Italia (si veda, per esempio, la grande sequenza del 1783 in Calabria centro-meridionale)  e la loro comprensione sarebbe di grande utilità per migliorare la valutazione della pericolosità sismica, sia a lungo termine, sia a breve termine. Anche per la riduzione della vulnerabilità degli edifici esistenti o per la progettazione di nuovi, sapere che una struttura può subire forti scuotimenti ravvicinati cambia la prospettiva di intervento.

A cura di Filippo Bernardini, Viviana Castelli, Romano Camassi (INGV, Sezione di Bologna) e  Carlo Meletti (INGV, Sezione di Pisa) .

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