Distribuzione della sismicità dal 1° gennaio 1976 al 31 dicembre 1977 in Friuli
Alcuni di essi hanno avuto magnitudo elevata, ma soltanto due hanno raggiunto magnitudo 5, senza eccedere il valore di 5.2. Terremoti di magnitudo superiore a 4 furono registrati per circa due mesi, fino alla metà di luglio; poi per il resto dell’estate la sequenza sembrò esaurirsi. Invece, l’11 settembre e il 15 settembre, oltre quattro mesi dopo la scossa devastante di maggio, si verificarono altri forti terremoti di magnitudo superiore a 5 con due eventi di magnitudo 5.9 e 6.0, rispettivamente alle ore 04.15 e 10.21 locali del 15 settembre.
Distribuzione della magnitudo degli eventi sismici in Friuli dall’inizio del 1975 all’inizio del 1979. Si notano bene la prima sequenza di maggio 1976 e la riattivazione di settembre (elaborazione di Franco Mele, Ingv)
La figura sopra mostra bene le due fasi principali della sequenza del Friuli del 1976, a cui fece seguito un’ulteriore ripresa nella seconda metà del 1977. Se guardiamo alla distribuzione degli epicentri dell’intera sequenza, vediamo che tra maggio e settembre del 1976 c’è una chiara migrazione dalla zona centrale verso est. Molto probabilmente ciò sta a indicare che si sono attivati dei sistemi di faglia adiacenti. Successivamente, la sismicità del 1977 sembra attivare un’ulteriore porzione del sistema di faglie friulano, visto che gli epicentri di quest’ultima fase sono migrati questa volta verso ovest.
Un fenomeno del tipo descritto non è strano, né nuovo. In molte sequenze studiate nel mondo negli ultimi decenni si sono osservate simili migrazioni. Per restare in Italia, mostriamo qui alcune delle sequenze della nostra storia sismica antica e recente che si sono manifestate con caratteristiche simili. Va anticipato che, all’interno di una data sequenza, i ritardi tra l’attivazione del primo sistema e del/dei successivo/i sono molto variabili. Si tratta di minuti in alcuni casi (Sannio-Irpinia 1962), ore in altri (es. Belice 1968, Colfiorito 1997), giorni (Appennino umbro e abruzzese nel 1703, o Lazio-Abruzzo del 1984), mesi (Friuli 1976, Calabria 1783).
Distribuzione della sismicità del 21 agosto 1962 nel Sannio-Irpinia
Tra i terremoti del 900, diversi si sono presentati con l’attivazione di segmenti di faglia adiacenti. In altri casi, invece, si sono mosse grandi faglie in maniera quasi simultanea. Per esempio, i dati sismologici hanno permesso di ricostruire in dettaglio il movimento della faglia del terremoto dell’Irpinia del 1980. In quel caso si trattò di una rottura multipla di almeno tre segmenti che si attivarono con un ritardo di venti secondi uno rispetto all’altro. Il risultato fu un evento sismico di magnitudo 6.9, quasi indistinguibile nelle sue tre fasi a causa della durata delle oscillazioni di ciascuno degli episodi di rottura. Nella figura sopra è mostrata la distribuzione epicentrale dei terremoti del Sannio-Irpinia del 1962. A causa delle poche stazioni sismiche disponibili in quegli anni in Italia, poco si sa dei numerosi aftershocks che avvennero dopo il terremoto del 21 agosto. Quello che si sa è che ci furono almeno due forti scosse a distanza ravvicinata (10 minuti), a cui ne seguì un’altra dopo 25 minuti, localizzata più a sudest. Forse un indizio di attivazione di faglie adiacenti, o di parti vicine della stessa faglia. Purtroppo i dati non consentono di ricostruire con precisione l’evoluzione spazio-temporale della sismicità, come invece si riesce a fare oggi.
Distribuzione della sismicità dal 14 al 15 gennaio 1968 in Bèlice
Sei anni più tardi, un’altra sequenza di forti terremoti colpì la Sicilia occidentale, nell’area del Bèlice. La distribuzione degli epicentri risente ancora di una scarsa precisione della rete sismica, ma certamente l’area colpita fu estesa, con diverse scosse di magnitudo superiore a 5 che si susseguirono per molti giorni a partire dal 14 gennaio. Anche in questo caso, sembra potersi identificare un processo piuttosto complesso di migrazione della sismicità.
Distribuzione della sismicità dal 19 maggio al 4 giugno 2012 nella Pianura Padana (Fonte: Iside)
Venendo ai casi più recenti, e quindi studiati meglio, nella figura sopra vediamo un esempio di migrazione molto chiaro: la sequenza sismica della pianura padana del maggio-giugno 2012, che si manifestò su un sistema di faglie esteso per oltre 50 chilometri in direzione circa est-ovest. Il primo forte terremoto avvenne il 20 maggio nel settore orientale e fu seguito da diversi aftershocks, alcuni dei quali piuttosto forti (cerchi gialli). La sequenza ebbe poi una seconda fase critica dal 29 maggio, quando un altro forte evento causò altri danni nel settore occidentale. Anche questo terremoto fu seguito da molti aftershocks, questa volta nel settore occidentale (cerchi arancioni). Infine, all’inizio di giugno, si registrarono altre scosse nell’estremo settore occidentale del sistema di faglie. I dati sismologici e geodetici hanno permesso in questo caso di ricostruire con estrema precisione i movimenti delle faglie stesse.
Andando indietro di trecento anni, vediamo come il fenomeno delle attivazioni di faglie adiacenti non sia una novità. Tra i molti casi documentati nel catalogo storico, mostriamo qui due casi del Settecento. Il primo è quello dei terremoti che colpirono l’Italia centrale tra gennaio e febbraio del 1703. In questo caso si registrarono due scosse principali: la prima in Umbria a metà gennaio (i cerchi rossi rappresentano i centri che subirono danni in seguito a questo terremoto), la seconda nell’aquilano i primi di febbraio (cerchi gialli). Si trattò anche in questo caso di due faglie adiacenti, o comunque vicine, che si attivarono. A titolo di confronto, la figura sotto mostra anche i centri danneggiati nel terremoto del 2009 (cerchi verdi). Si vede chiaramente da questa mappa che il terremoto del 2009 ha interessato un’area diversa, e quindi molto probabilmente un segmento di faglia diverso, più meridionale, rispetto a quello del 1703.
Distribuzione degli effetti di danneggiamento dal VII MCS in su per i terremoti del 14 gennaio 1703 (cerchietti rossi), del 2 febbraio 1703 (cerchietti gialli) e del 6 aprile 2009 (cerchietti verdi). (Fonte: DBMI11)
Infine, tra i casi di sequenze sismiche multiple della storia sismica italiana non si può non ricordare la lunga serie di terremoti che colpirono la Calabria meridionale nel 1783. L’area interessata in questo caso è stata di oltre 100 chilometri, con cinque scosse distruttive che hanno interessato la regione nell’arco dei mesi di febbraio e marzo.
I cerchi colorati corrispondono agli epicentri dei 5 terremoti più forti della lunga sequenza sismica del 1783 (5 febbraio, 6 febbraio, 7 febbraio, 1 marzo e 28 marzo). Il colore e le dimensioni dei cerchi indicano la massima intensità osservata Imax (Fonte: CPTI11)
I ricercatori hanno proposto diversi modelli per spiegare queste attivazioni successive di forti terremoti in sequenza, imputandoli al trasferimento di stress da una faglia a quelle circostanti, o alla migrazione di fluidi in profondità. Tuttavia, non è ancora chiaro il motivo per cui esse si manifestino in intervalli temporali così variabili: poche decine di secondi in Irpinia nel 1980; qualche ora, come in Umbria-Marche (Colfiorito) del 1997; alcuni giorni, come nel caso del Bèlice nel 1968 o dell’Appennino centrale nel 1703; fino a qualche mese come accadde in Calabria nel 1783 o in Friuli nel 1976. La ricerca sismologica prosegue, investigando questi aspetti con esperimenti in laboratorio, modelli al computer, campagne di studio sul terreno, perforazioni di faglie attive.
A cura di Alessandro Amato, Maurizio Pignone, Concetta Nostro, INGV-CNT.