A oltre un decennio dalla delibera con cui l’International Astronomical Union ha declassato Plutone a “pianeta nano”, la polemica sulla decisione continua a dividere la comunità degli astronomi. E le immagini del corpo celeste trasmesse di recente dalla sonda New Horizons della NASA la stanno riattivando
di Leonard David/Scientific American www.lescienze.it
E’ trascorso più di un decennio da quando l’International Astronomical Union (IAU) ha deliberato ufficialmente di riclassificare Plutone come “pianeta nano”, ma scienziati e persone comuni stanno ancora discutendo animatamente sulla decisione.
Alcuni fedeli sostenitori della natura planetaria di Plutone sono tornati a chiedere alla IAU di annullare la retrocessione di Plutone. I loro avversari insistono che debba rimanere. Altri – forse la maggioranza silenziosa – osservano con sentimenti contrastanti (se non con aperto fastidio) i loro colleghi più appassionati che litigano furiosamente e pubblicamente su un problema di nomenclatura. Tutte e tre le fazioni erano presenti la scorsa settimana alla 48° Lunar and Planetary Science Conference (LPSC), uno dei più prestigiosi raduni di scienziati spaziali del globo.
Comunque lo si voglia definire, non c’è dubbio che il primo sguardo ravvicinato a Plutone – ottenuto nel 2015 grazie al flyby della sonda New Horizons della NASA – ha rinfocolato il dibattito su questo famoso oggetto del nostro sistema solare. Con le sue cinque lune, le catene montuose ghiacciate, le gelide stagioni e l’atmosfera criogenica, la frigida bellezza e complessità di Plutone rivaleggia quelle di qualsiasi altro mondo in orbita intorno al Sole. Se queste stupefacenti caratteristiche permetteranno a Plutone di riconquistare il titolo di pianeta resta tuttavia da vedere.
Verso una fioritura di pianeti?
Plutone non è stato declassato per mancanza di bellezza, ma perché non corrisponde alla nuova definizione di pianeta della IAU. In base a una decisione presa dall’organizzazione nel 2006, i pianeti, per essere definiti tali, devono: orbitare intorno al Sole; essere abbastanza grandi perché la loro gravità faccia assumere loro una forma sferoidale; e spazzare i detriti più ingombranti dalle loro orbite.
Tra le centinaia di poster appuntati sui tabelloni nell’atrio della LPSC, uno sfidava la concezione di pianeta della IAU proponendo una nuova definizione basata più sulla geofisica che sulla meccanica orbitale. Il suo autore è Kirby Runyon, specializzando in geologia planetaria alla Johns Hopkins University, che fa parte del gruppo di ricerca di geologia della missione New Horizons.
L’idea di Runyon è che si possa chiamare “pianeta” qualsiasi corpo celeste di massa inferiore a quella di una stella che abbia una gravità sufficiente a fargli assumere una forma sferoidale, indipendentemente dalla sua orbita. Come si legge nella sua presentazione alla conferenza LPSC: “Gli astronomi interessati allo studio della dinamica possono considerare utile la definizione IAU. Ma molti planetologi sono più attenti alle scienze geologiche. Di conseguenza, la nostra definizione geofisica è più utile ai planetologi geofisici, agli insegnanti e agli studenti”. E potrebbe anche aumentare l’alfabetizzazione scientifica del pubblico in generale, osserva Runyon.
Oltre che a Plutone, la definizione di Runyon concederebbe l’appellativo di pianeta ad altri pianeti nani riconosciuti, come l’asteroide gigante Cerere, e anche a “pianeti-satelliti”, tra cui la luna di Plutone Caronte, le lune più grandi di Giove e Saturno, e anche la nostra Luna.
Così, con questa nuova definizione si aggiungerebbero almeno 110 pianeti conosciuti al nostro sistema solare. E il numero aumenterà, osserva Runyon, via via che gli astronomi troveranno altri oggetti nella fascia di Kuiper, la regione dello spazio che si estende oltre l’orbita di Nettuno e Plutone, arrivando magari a centinaia di migliaia di altri mondi ghiacciati.
Vecchie regole per nuove frontiere
La ridefinizione proposta da Runyon è stata oggetto di commenti contrastanti. “La mia opinione è semplice”, dice James Green, direttore della divisione di scienze planetarie della NASA. “La NASA non si preoccupa della nomenclatura. Tutto quello che posso dire dopo aver visto Plutone grazie al flyby di New Horizons è che è ancora più affascinante di quanto avrei potuto immaginare!”
Già ora, prosegue Pieters, rivelazioni su oggetti più vicini a noi gettano benzina sull’infuocato dibattito sulla definizione della IAU. La sonda Dawn della NASA, osserva, ha inviato immagini di Cerere, un pezzo di roccia e ghiaccio sferoidale delle dimensioni del Texas che è il più grande oggetto nella fascia degli asteroidi tra Marte e Giove. “E’ un altro pianeta nano, un corpo planetario su cui avvengono processi planetari. E per Plutone è lo stesso.”
Allora, un corpo che è abbastanza grande da subire processi planetari come la formazione di un nucleo fuso, un vulcanismo persistente o addirittura la creazione di un’atmosfera, come dobbiamo etichettarlo? “Chiamare ‘pianeti nani’ questi corpi planetari più piccoli è probabilmente un buon compromesso”, ha detto Pieter.
“Scienze” planetarie
Se chiedete ad Andrew Cheng del declassamento di Plutone, vi proporrà una prospettiva diversa. Cheng è responsabile scientifico del dipartimento spaziale del Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory, ed è palesemente furibondo per la retrocessione di Plutone. “Penso che sia stata una decisione sbagliata, a partire dal chiedere a una comunità scientifica di fornire una definizione scientifica che includa attentamente otto corpi e lasci fuori Plutone”, spiega Cheng. “La mia posizione è che, tanto per cominciare, la definizione di pianeta non è una questione scientifica… non lo si sarebbee mai dovuto fare.”
Cirtesia NASA/JHUAPL/SwRI
Che si tratti o meno di un oggetto da considerare un pianeta è una questione di convenzioni sociali, non di scienza, dice Cheng: chiedere se Plutone è un pianeta è come mettere in discussione cos’è un continente della Terra. “Ci sono sette continenti… L’Australia lo è, ma la Groenlandia no. C’è una buona ragione scientifica? No, è solo una convenzione. E per un pianeta la situazione è del tutto simile” , dice Cheng, che fino allo scorso anno è stato il responsabile della fotocamera Long Range Reconnaissance Imager (LORRI) a bordo di New Horizons.
Se nel 2006 la IAU avesse saputo su Plutone quanto ne sappiamo oggi, sostiene, probabilmente questo dibattito non ci sarebbe neppure mai stato. “Ci sono molti scienziati che semplicemente si rifiutano di accettare che Plutone non sia considerato un pianeta”, proprio come molti geografi rifiuterebbero di declassare l’Australia da continente. “Quindi continueremo a chiamarlo pianeta, e sarà sempre così.”
Una lacrima per Plutone
Per Runyon, il geologo planetario che spinge per una riconsiderazione dello stato di Plutone, il suo nuovo significato di “pianeta” non ha bisogno della benedizione costituita da una “definizione ufficiale” della IAU. Inoltre, insiste che, poiché la competenza della IAU è l’astronomia e non la geologia, in realtà non avrebbe l’autorità per dettare definizioni e uso dei termini ai geologi. (La IAU non concorda. A febbraio ha annunciato che – come autorità riconosciuta a livello internazionale per la denominazione dei corpi celesti e delle loro caratteristiche geologiche di superficie – aveva approvato le proposte del team di New Horizons della NASA per la denominazione dei siti su Plutone e le sue lune.)
“Non voglio cadere nella trappola di una scienza per autorità. Non credo che la IAU stia cercando di fare questo, ma è ciò che ne consegue: ‘la IAU ha parlato, e così sarà!’. Questo è un modo orribile per cercare di far capire la scienza al pubblico”, dice Runyon. Il suo tentativo di riaprire il caso di Plutone è legato alla convinzione che la parola “pianeta” abbia in sé un “peso psicologico”. Gli scienziati, dice, dovrebbero essere interessati al fatto che la perdita – con un atto di forza – dello stato di pianeta di Plutone è qualcosa che “fa piangere.”