Le Api? Hanno una “inaspettata” vista d’aquila
Nuove misurazioni neurofisiologiche hanno stabilito che l’ape può vedere distintamente un oggetto che occupa un angolo di 1,9 gradi: si tratta di una risoluzione d’immagine del 30 per cento maggiore di quanto documentato finora in questi insetti. I risultati potrebbero trovare applicazione anche nella progettazione di sistemi di visione automatici per la robotica
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La vista delle api è decisamente migliore di quanto si pensava: lo ha scoperto un nuovo studio pubblicato sulla rivista “Scientific Reports” da un gruppo di ricercatori dell’Università di Lund, in Svezia, guidati da David O’Carroll.
La capacità di vedere distintamente un oggetto è risultata maggiore del 30 per cento, mentre la capacità di vedere un oggetto, anche se non distintamente, è cinque volte superiore.
I nuovi dati emersi dalla ricerca sono importanti non solo per la conoscenza della fisiologia di base di questi insetti ma anche per la progettazione di sistemi automatici di visione per le applicazioni robotiche.
La vista delle api affascina gli entomologi fin dalle ricerche pionieristiche di Karl von Frisch nel 1914. Con il passare dei decenni, gli studi si sono fatti sempre più complessi e raffinati, e hanno portato alla dimostrazione che questi insetti sono in grado di categorizzare gli oggetti e di imparare, tramite la visione, concetti come “simmetrico” oppure “sopra e sotto”.
“Oggi le api sono ancora un affascinante modello per i ricercatori, in particolare per i neuroscienziati”, ha spiegato Elisa Rigosi, coautrice dello studio. “Tra le altre cose, le api possono aiutare a capire come può un piccolo cervello di meno di un milione di neuroni svolgere compiti complessi.”
Ma una questione che è stata affrontata solo parzialmente è: quanto è buona la vista di un’ape?
Precedenti ricerche hanno misurato l’acuità visiva di questi insetti, ma la maggior parte degli esperimenti è stata condotta in condizioni di semioscurità, per verificare la capacità di distinguere il contrasto cromatico e quello acromatico. L’assenza di luce però provoca cambiamenti anatomici e fisiologici tali da alterare la risoluzione delle immagini.
L’apparato visivo delle api è costituito da migliaia di celle esagonali, dietro ognuna delle quali si trovano otto fotorecettori, cioè rivelatori presenti sulla retina che rilevano variazioni di luce: ogni volta che un oggetto passa nel campo visivo, il fotorecettore invia un segnale nervoso al cervello. L’ipotesi era quindi che in condizioni di luce piena vi fosse un notevole miglioramento dell’acuità visiva.
In questo nuovo studio, O’Carroll e colleghi hanno cercato di determinare due parametri chiave per capire l’acuità visiva dell’ape: le dimensioni del più piccolo oggetto distinguibile e la massima distanza a cui l’insetto può distinguere chiaramente un oggetto. Hanno così condotto una serie di registrazioni elettrofisiologiche delle risposte neurali in ogni singolo fotorecettore.
Dall’analisi è risultato che nella parte frontale dell’occhio, dove la risoluzione delle immagini è massima, l’ape può vedere distintamente un oggetto che occupa un angolo di 1,9 gradi: confrontato con la vista umana, è un po’ come distinguere il proprio pollice stendendo un braccio di fronte a sé.
Si tratta di una risoluzione del 30 per cento migliore rispetto a quanto documentato finora. In termini del più piccolo oggetto percepibile anche se non chiaramente, il limite è di 0,6 gradi, cioè circa un terzo rispetto al limite della visione distinta. È un valore cinque volte inferiore a quanto stimato finora: in altre parole, l’acuità visiva è cinque volte superiore.