Rappresentazione artistica dei due buchi neri all’origine delle onde gravitazionali rivelate da Ligo. Crediti: SXS Lensing
Nei suoi primi mesi di attività, Advanced Ligo ha rilevato onde gravitazionali da tre sorgenti: in tutti e tre i casi si tratta di coppie di buchi neri che si sono fuse a formarne uno solo, sebbene per una delle tre sorgenti questa ipotesi debba ancora essere confermata. Un team guidato da ricercatori dell’Università di Birmingham ha ottenuto un risultato importante per la comprensione di questi sistemi binari, dimostrando che per tutti e tre i casi osservati da Ligo abbiamo a che fare con un singolo canale evolutivo. Lo studio è apparso sulla rivista Nature Communications.
La prima rilevazione confermata di onde gravitazionali è avvenuta il 14 settembre del 2015, da parte dei due interferometri Ligo (Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory). La sorgente, chiamata Gw150914 è stata identificata come il frutto della fusione di due buchi neri di massa intermedia. In seguito a questo segnale sono stati rilevati anche Gw151226 e Lvt151012, entrambi riconosciuti come sistemi binari di buchi neri in coalescenza, anche se il secondo è statisticamente meno significativo e in attesa di conferma.
Simon Stevenson. Crediti: Università di Birmingham
Queste scoperte hanno fornito nuove prove a favore della teoria della relatività generale di Einstein, e hanno aperto una nuova finestra sull’osservazione del cosmo. Nonostante ciò, non sappiamo ancora con chiarezza come si formino queste coppie di buchi neri. Lo studio, guidato da Simon Stevenson, dottorando dell’Università di Birmingham, descrive i risultati di un’indagine condotta con uno strumento pensato proprio per comprendere meglio queste enigmatiche sorgenti, chiamato Compas (Compact Object Mergers: Population Astrophysics and Statistics).
Affinché due buchi neri possano fondersi emettendo onde gravitazionali devono trovarsi molto vicini tra loro, almeno per gli standard astronomici, ovvero non devono essere lontani più di un quinto della distanza che separa la Terra dal Sole. Tuttavia, le stelle massicce, progenitrici dei buchi neri osservati da Ligo, occupano molto più spazio nel corso della loro evoluzione. La sfida principale, dal punto di vista evolutivo, era capire come stelle così grandi potessero finire in orbite tanto strette.
Con il loro lavoro i ricercatori hanno dimostrato che tutti e tre gli eventi osservati da Ligo possono avere avuto lo stesso canale di formazione: un’evoluzione binaria isolata con una fase di inviluppo comune. In questo scenario abbiamo due stelle massicce inizialmente lontane tra loro, che durante la loro evoluzione si espandono, innescando vari episodi di trasferimento di massa. Una delle ultime fasi del sistema è quella in cui i due oggetti si ritrovano a condividere un inviluppo comune: il trasferimento di massa è così rapido che il sistema si trova circondato da un’unica nube di gas. Il rilascio di gas da parte del sistema fa sì che le due stelle si avvicinino sempre di più, e permette all’emissione di onde gravitazionale di diventare abbastanza efficiente. L’intero processo richiede alcuni milioni di anni per la formazione dei due buchi neri e altri miliardi di anni per arrivare alla loro fusione.
Rappresentazione schematica dell’evoluzione di un sistema binario di stelle fino ala fase (in basso) di inviluppo comune. Crediti. Adrian Potter
Le simulazioni sviluppate con Compas hanno permesso ai ricercatori di comprendere meglio le proprietà delle stelle che possono formare queste coppie di buchi neri, e gli ambienti in cui questo può accadere. Ad esempio, lo studio mostra che la fusione di due buchi neri con masse significativamente differenti è una forte indicazione che le stelle progenitrici erano formate quasi interamente da idrogeno ed elio, con gli altri elementi che contribuiscono meno dello 0.1 per cento (per confronto, nel Sole questa frazione è pari a circa il 2 per cento).
«Il vantaggio di Compas è che ci permette di combinare tra loro tutte le osservazioni e di iniziare a mettere insieme i pezzi per capire come si formano questi sistemi binari di buchi neri, attualmente responsabili per la totalità delle sorgenti di onde gravitazionali note», dice Stevenson.
«Questo lavoro permette di effettuare una sorta di “paleontologia” delle onde gravitazionali», aggiunge Ilya Mandel, professore all’Università di Birmingham e coautore dell’articolo. «Un paleontologo non ha mai visto un dinosauro, ma è in grado di capire come viveva a partire dai suoi resti scheletrici. In modo analogo possiamo studiare le fusioni di buchi neri e utilizzare le osservazioni per comprendere come le stelle progenitrici hanno interagito durante la loro breve ma intensa vita».