Ecco come El Nino e La Nina condizionano il clima, la natura e l’economia a livello globale
tratto da www.meteo.it
El Nino, in italiano significa letteralmente Bambino Gesù, è un anomalo riscaldamento delle acque Pacifico Tropicale, determinato da un temporaneo indebolimento della fascia degli Alisei. A causa della vastità del Pacifico (a latitudini tropicali occupa un terzo della circonferenza terrestre) in occasione degli episodi più intensi si hanno conseguenze sul clima a livello planetario. Ma El Nino rimane comunque un fenomeno tipico del Pacifico. Il nome deriva dal fatto che sia gli episodi più intensi (eventi con la cadenza di 4-6 anni), quanto quelli più leggeri che si presentano annualmente, si sviluppano intorno al periodo natalizio. Ad oggi viene ritenuto, insieme all’effetto serra, una causa delle anomalie climatiche a scala planetaria.
Lo scorso anno El Nino, l’anomalo riscaldamento del Pacifico equatoriale, ha prosciugato le colture di riso in tutto Sud-Est asiatico, i campi di cacao in Ghana, il caffè in Indonesia e la canna da zucchero in Thailandia dallo scorso anno. Ha contribuito al più forte uragano dell’emisfero occidentale e all’anno più caldo del pianeta almeno dal 1880.
Ora la superficie dell’oceano sta cominciando a raffreddarsi, un segnale di inizio de La Nina. Vi è una sostanziale concordanza tra gli esperti che questo fenomeno contribuisce in genere ad un maggior numero di uragani in Atlantico, alla siccità in Brasile e alla pioggia battente in Indonesia e in India (dove, tutto sommato, viste le recenti condizioni del Paese, potrebbe non essere decisamente negativo). Mentre potrebbe dare una spinta ai consumi statunitensi di gas naturale, ma potrebbe minare le attività sul carbone australiane e peggiorare la produzione di olio di palma in Malesia. Per alcune zone, può essere peggio di un tipico fenomeno di El Nino. Quest’ultimo tende ad avere picchi più elevati: al contrario, La Nina tende ad essere più persistente. I cicli si verificano ogni due o tre anni in media e aiutano a regolare la temperatura della Terra.
L’oceano Pacifico equatoriale assorbe il calore del sole durante la fase di El Nino e poi lo rilascia in atmosfera. La Nina costituisce una “fase di ricarica”, come è stata definita da Trenberth del NCAR, quando tutta la Terra risulta più fredda di quanto non fosse prima dell’inizio del fenomeno. Le previsioni annunciano l’inizio de La Nina per quest’anno: il Climate Prediction Centre americano fornisce una probabilità del 75 per cento, collocando l’inizio del fenomeno entro dicembre, ma potrebbe avvenire anche prima, tra luglio e settembre; mentre l’ufficio meteorologico australiano è più cauto.
Nei secoli scorsi i pescatori peruviani sono stati i primi a notare il riscaldamento dell’oceano, chiamando il fenomeno di El Nino, ispirandosi a Gesù bambino. I ricercatori moderni cominciarono a rendersi conto della sua importanza sul clima globale nel 1960, quando hanno riconosciuto il legame tra l’acqua calda in superficie e i corrispondenti cambiamenti atmosferici. Denominarono il fenomeno come “El Nino/Southern Oscillation“. La nomenclatura de La Nina arrivò circa due decenni più tardi.
I due eventi non sono semplicemente i lati opposti della stessa cosa. La Nina è più simile a un elemento di rafforzamento di un andamento climatico normale. In pratica se una regione è tipicamente secca, con La Nina potrebbe diventare arida; al contrario, una regione di per se già umida potrebbe essere soggetta a piogge alluvionali. Per entrambe le parti del ciclo, maggiore intensità significa maggiore impatto. Il El Nino appena passato è stato uno dei tre più forti da sempre, generando le temperature più calde in più di 130 anni, contribuendo anche a rafforzare l’uragano Patricia nello scorso anno, che ha fatto registrare venti superiori a 320 chilometri all’ora prima di toccare terra in Messico.